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 2008  dicembre 24 Mercoledì calendario

Una pietra da 17 milioni di dollari, una grossa pietra per chiudere definitivamente con lo scandalo «Oil for food», storia di scambi di generi di prima necessità, petrolio e mazzette tra duemila aziende occidentali e l´Iraq di Saddam Hussein isolato dall´embargo commerciale

Una pietra da 17 milioni di dollari, una grossa pietra per chiudere definitivamente con lo scandalo «Oil for food», storia di scambi di generi di prima necessità, petrolio e mazzette tra duemila aziende occidentali e l´Iraq di Saddam Hussein isolato dall´embargo commerciale. Storia d´inizio secolo, tra il 2000 e il 2003, invecchiata di colpo solo per la caduta del dittatore di Baghdad, non certo per la fine di una guerra che continua. L´accusa della Sec, la commissione di controllo statunitense, è pesante: le società del gruppo Fiat, in particolare Iveco, Cnh France e Cnh Italia, avrebbero pagato mazzette per 4,3 milioni di dollari a funzionari di Saddam in cambio di forniture di trattori e camion all´Iraq. Le commesse venivano trattate direttamente a Bagdad ma i pagamenti arrivavano attraverso un fondo istituito dall´Onu in cambio delle forniture petrolifere del dittatore. Petrolio in cambio di cibo dunque, dove per cibo si intendevano generi di prima necessità in senso lato, compresi mezzi di trasporto e macchine movimento terra. Così nel 2005 la Fiat rimane coinvolta nello scandalo che lambisce da vicino l´allora segretario generale del Palazzo di Vetro, Kofi Annan, e suo figlio Kojo, impiegato nella società svizzera Cotecna, uno dei centri nevralgici del sistema «Oil for Food». Nell´ingranaggio finiscono diverse società occidentali che ungono le ruote per ottenere gli appalti di Baghdad. In una lettera partita dal Lingotto nel 2001 ci si lamenta del fatto che «le vendite dirette in Iraq sono impossibili a causa del famoso 10». Frase che gli inquirenti statunitensi avrebbero decodificato ipotizzando una mazzetta del 10 per cento da pagare ai funzionari di Saddam per far giungere l´affare a buon fine. da escludere che le bustarelle arrivassero solo da Torino ed è anzi probabile che fossero semplicemente un sistema per vincere appalti come accade, per la verità, non solo in Iraq. Giustificate dall´etica del Così fan tutte le mazzette arrivavano dunque da ogni parte del mondo e venivano rubricate sotto la voce «servizi post-vendita». Le avrebbero pagate, oltre alla Fiat, importanti società come la Volvo e la Siemens, anch´esse sanzionate nei giorni scorsi mentre altri gruppi sono in attesa di essere giudicati nelle prossime settimane. In Italia lo scandalo «Oil for food» aveva lambito nel 2005 anche i collaboratori del presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. La Sec ha inflitto al Lingotto una multa dal 10 milioni di dollari (3,6 di ammenda e 7,2 di interessi sugli appalti sospetti) condannando poi la Fiat a pagare altri 7 milioni al Dipartimento di Giustizia «per aver autorizzato pagamenti impropri ai funzionari dell´ex governo iracheno». La casa torinese non ha formalmente ammesso alcuna responsabilità nella vicenda limitandosi a proporre alla Sec una sorta di patteggiamento per chiudere il contenzioso legale senza giungere a una vera e propria sentenza di condanna. Ed ha dunque accettato di pagare i 17 milioni di dollari (circa 13 milioni di euro) per mettere la parola fine a quella che un comunicato della stessa azienda definisce «una vicenda spiacevole che ha coinvolto il gruppo Fiat molti anni fa». Il Lingotto sottolinea che oggi «il gruppo ha posto in essere un rigoroso sistema di verifiche interne e severi programmi di controllo ai quali tutte le società Fiat si attengono rigidamente». Anche se, nel caso delle mazzette irachene, è difficile credere che fossero state pagate dai dirigenti del Lingotto all´insaputa di coloro che all´epoca ricoprivano gli incarichi di vertice del gruppo torinese. Paolo Griseri