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 2008  dicembre 21 Domenica calendario

La Stampa, domenica 21 dicembre 2008 Per i sex-and-the-city-dipendenti la scena è un cult. Carrie che scende la scalinata della biblioteca di New York raggiante per aver trovato, fra tomi antichi e autorevoli leggii, il set adatto al matrimonio con mister Big

La Stampa, domenica 21 dicembre 2008 Per i sex-and-the-city-dipendenti la scena è un cult. Carrie che scende la scalinata della biblioteca di New York raggiante per aver trovato, fra tomi antichi e autorevoli leggii, il set adatto al matrimonio con mister Big. In una mano, la protagonista del film tratto dalla fortunata serie tv tiene alcuni volumi, nell’altra una grande borsa, optional di classe, scrigno di promesse e segreti. Una borsa Kisim, pensata a Tel Aviv e realizzata a Gaza. Yael Rozen Ben Shahor, la stilista israeliana trentasettenne che l’ha disegnata, l’ha scoperto per caso. «Una cliente mi ha portato il libro del backstage di ”Sex and the City” e ho riconosciuto la mia borsa in tre parti del film», racconta Yael seduta tra gli scatoloni al secondo piano del piccolo negozio in Hahashmal Street, un quartiere popolare tra Tel Aviv e Jaffa adottato dalla bohème e ormai di moda come il Pigneto a Roma, Kreuzberg a Berlino, Brooklyn a New York. Al pianterreno, dove il libro aperto sulla scena della biblioteca di New York campeggia in vetrina, la socia Orly Cohen non smette di prendere ordinazioni per il modello Cube, «la borsa di Carrie» moltiplicatasi in pochi mesi anche senza le mani abili dei sarti palestinesi che, tagliati fuori dal blocco di Gaza, non cuciono più. La storia inizia tre anni e mezzo fa. Yael Rozen Ben Shahor, designer di accessori diplomata all’Accademia Betzalel di Gerusalemme, si mette in proprio e apre la bottega di Hahashmal. «Sex and the City» furoreggia già sulle televisioni di mezzo mondo, Gaza compresa, nonostante Hamas. I nomi più famosi della moda fanno a gara per vestire almeno una volta le quattro amiche disinibite e firmatissime. Yael ha studiato sui disegni degli stilisti Yamamoto e Prada ma non pensa alla gloria. Non ancora: «Vengo da una famiglia di commercianti. Mamma e papà vendevano casalinghi, mia nonna abitava a Rishon LeZion e aveva un negozio di abiti, cento per cento made in Israel. Io volevo fare borse, semplici, comode: per questo le ho chiamate Kisim che in ebraico significa tasche». Fino agli Anni 70 Israele eccelleva nella lavorazione della pelle, una tradizione sefardita importata dagli ebrei marocchini. Quando gli artigiani hanno gettato la spugna, inariditi dalla mancanza di allievi e incalzati dalla concorrenza cinese, sono rimasti i palestinesi. «Ho lavorato con i sarti palestinesi sin dall’inizio, sono i migliori», continua Yael. Borse pensate a Tel Aviv, cucite a Gaza, vendute negli Stati Uniti dove il marchio Kisim è regolarmente ospite delle principali fiere. In una queste mostre-mercato i trovarobe di «Sex and the City» scovano la «tasca» di Carrie: «Era la primavera del 2007, un ragazzo israeliano, Agas, mi disse di lasciargli qualche modello, tipo campionario. Tornò indietro tutto tranne la Cube». Il film di Michael Patrick King esce nelle sale cinematografiche un anno dopo e rivoluziona la produzione della piccola e fino a quel momento sconosciuta bottega di Hahashmal: clienti in lista d’attesa; mille Cube vendute in meno di tre mesi (dieci volte tanto la norma); lo stylist di Gossip Girl, il nuovo telefilm popolarissimo tra le adolescenti americane, che ordina tre borse, modello teenagers. «Le Kisim? Eccome se mi ricordo. Sembra una vita fa», dice al telefono Farhan Abu Mezid, 41 anni, 9 figli, uno dei sarti che Yael Rozen Ben Shahor chiamava al cellulare ogni giorno fino a quando Israele non ha chiuso qualsiasi rapporto con la Striscia di Gaza controllata da Hamas. Non sono passati neppure due inverni e Farhan ripensa ai quattordici anni di lavoro per il laboratorio israeliano Efod come una mitica età dell’oro: «Eravamo una quarantina, tutti uomini. Guadagnavamo 150 shekel al giorno, circa 30 euro». Ora è fortunato se li mette insieme in un mese. Di «Sex and the City» ha saputo dall’amico Barak, l’ex capo con cui è ancora in contatto. « l’aspetto triste della storia, oltre che bravi Farhan e gli altri erano persone di famiglia», chiosa Yael. sera, chiude il negozio per tornare al kibbutz vicino a Gadera, a Sud del Paese, dove vive con il marito e due figlie piccole. Un giorno magari, chissà, tornare a lavorare insieme. Sembra improbabile ora, ma in fondo in fondo lo è meno dell’eroina di «Sex and the City» che scende le scale della biblioteca di New York con una borsa pensata a Tel Aviv e realizzata a Gaza. Francesca Paci