David Ignatius, Corriere della Sera 22/12/2008, pagina 28, 22 dicembre 2008
Corriere della Sera, lunedì 22 dicembre 2008 E’ facile cedere alla disperazione, leggendo le notizie che arrivano dall’Afghanistan
Corriere della Sera, lunedì 22 dicembre 2008 E’ facile cedere alla disperazione, leggendo le notizie che arrivano dall’Afghanistan. Gli insorti acquistano ogni giorno più forza, e gli Stati Uniti si apprestano a dispiegare altri 20 mila soldati nel Paese. Eppure, lo stesso ministro della Difesa, Bob Gates, ammette che il rinforzo militare Usa non rappresenta una soluzione di lungo termine. Che cosa fare, dunque? Per sbrogliare tali dilemmi politici, può esser utile fare una chiacchierata con due cittadini afghani come Saad e Jahid Mohseni, che si scontrano con simili difficoltà ogni giorno. I due fratelli imprenditori sono a capo di una società del settore dell’informazione con sede nella zona di guerra di Kabul e, anziché gettare la spugna e darsi per vinti, si ostinano a elaborare strategie innovative per adeguarsi alla nuova realtà e andare avanti. Ho conosciuto i fratelli Mohseni lo scorso aprile, negli uffici del loro gruppo editoriale «Moby» a Kabul. Ci siamo poi nuovamente incontrati a Washington, la scorsa settimana, e le loro osservazioni mi hanno definitivamente convinto che buona parte degli strateghi Usa sta formulando una diagnosi errata di quello che è il vero pericolo in Afghanistan. A mandare in frantumi l’esperimento democratico in quel Paese non saranno i talebani o altri gruppi di insorti, bensì l’illegalità e la corruzione che hanno potuto incancrenirsi sotto il governo del presidente Hamid Karzai. Il nodo cruciale sta nel malgoverno. Il rischio più grave che i fratelli Mohseni corrono, oggi, non è quello di attacchi per mano degli insorti talebani, bensì di un rapimento ad opera delle bande criminali che stanno mettendo a ferro e fuoco Kabul. «Il ritorno dei talebani è l’effetto della sete di ordine pubblico da parte della popolazione», mi confida Saad Mohseni. I fratelli Mohseni erano tornati in patria per avviare la loro nuova attività dopo la cacciata dei talebani, nel 2001. E attraverso la loro principale emittente, «Tolo Tv» hanno iniziato a trasmettere programmi divenuti un simbolo del nuovo Afghanistan, dalle inchieste giornalistiche allo show musicale intitolato «Afghan Star». Il prossimo gennaio, nel corso del Sundance Film Festival, verrà proiettato un nuovo documentario che racconta l’incredibile storia di «Afghan Star». E ripercorre la «caccia al talento» lanciata dai fratelli Mohseni in tutto il territorio nazionale, alla ricerca del miglior debuttante canoro. Tutto ciò in un Paese dove la musica stessa era stata messa al bando dai talebani e dove, come si legge nel kit promozionale del film, «cantare significa mettere a rischio la propria vita». I concorrenti, appartenenti a vari gruppi etnici afghani, si sono sfidati sul palcoscenico a suon di dolci melodie. E la serata finale della gara, ben 11 milioni di persone, ovvero un terzo della popolazione, sono rimaste incollate al televisore. questa la prima lezione che i fratelli Mohseni hanno appreso: la strategia migliore per rimettere in sesto un Paese dilaniato dalla guerra come il loro, è offrire alla popolazione qualcosa che tutti amano – in questo caso, la musica. Se il governo riuscisse a garantire l’ordine pubblico, si azionerebbe lo stesso meccanismo virtuoso. I fratelli Mohseni hanno ideato altri programmi assai innovativi. Ad esempio il «Bazar della Risata», ormai giunto alla terza stagione, che vede come protagonisti vari cabarettisti afghani. (Che non staranno per prendere il posto di Jay Leno e David Letterman, ma sono divertenti.) C’è anche uno show che prende in giro i burocrati del governo di Kabul, intitolato «Ai Suoi ordini Ministro» e ispirato alla famosa serie Britannica «Yes Minister». E uno sceneggiato intitolato «Segreti di famiglia» affronta il tema della tossicodipendenza, delle conflittualità familiari e altri problemi della vita di tutti giorni. Infine, è in via di realizzazione un nuovo reality intitolato «La città corrotta», che grazie a telecamere nascoste e a una rete di spie smaschera truffe e imbrogli. Con la libertà dei loro programmi, ovviamente, i fratelli Mohseni hanno suscitato lo sdegno dei musulmani più tradizionalisti, tanto che, nel nostro primo incontro dello scorso aprile, mi confidarono il timore di una ri-talebanizzazione dell’etere. Ma ciò non si è verificato, e il successo messo a segno dai dirigenti di «Tolo tv» nelle trattative con le autorità religiose induce a sperare che vi possa essere una simile via d’uscita al ben più intricato e complesso groviglio afghano. A infastidire i conservatori musulmani sono state soprattutto due soap opera di Bollywood. Si trattava della solita, innocua paccottiglia, ma di produzione indiana, il che ha messo in agitazione più di un afghano. Così, i Mohseni hanno lanciato l’idea di un compromesso: anziché cancellare il popolare polpettone di Bollywood, avrebbero inserito nella programmazione una nuova serie tv di produzione turca intitolata «Mondo Segreto», ispirata ai principi dell’Islam. Una scelta che ha placato i timori delle autorità religiose che compongono l’ulema, riscuotendo per di più uno straordinario successo tra il pubblico. Avendo intuito buone possibilità di mercato per i programmi di ispirazione islamica, i Mohseni hanno lanciato un nuovo show televisivo che premierà il concorrente più bravo a recitare il Corano (ma per favore, non chiamatelo «Koran Idol») secondo il parere di una giuria – ebbene sì, indovinato! – di rappresentanti dell’ulema. Un altro successone. E lo stesso dicasi del nuovo spot sull’«Hadith del Giorno», che dispensa perle di saggezza del profeta Maometto. La storia dei fratelli Mohseni mi ha ricordato che il popolo afghano è come tutti gli altri. Non desidera che una vita normale, con un reddito dignitoso, un posto sicuro dove crescere i propri figli e bei programmi da guardare alla televisione. Per mettere al sicuro la regione potrebbero esser necessari altri 20 mila soldati americani, ma solo quando il governo afghano sceglierà di proteggere il suo popolo, anziché consentire alle bande criminali di terrorizzarlo, potremo assistere a una vera svolta. In tutta franchezza, un Paese che va a letto guardando il «Bazar della Risata» non può essere condannato a un conflitto permanente. David Ignatius