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 2008  dicembre 22 Lunedì calendario

Come si fa a raccontare, senza correre il rischio di cadere nell’ovvio, una storia di cui sappiamo quasi tutto? Come si fa a raccontare una vicenda a proposito della quale i giornali non si sono stancati di riempire pagine e pagine di resoconti, interviste, inchieste, retroscena? Come si fa a raccontare un delitto che è ancora vivissimo nella memoria dell’opinione pubblica e i cui contorni, anzi, sono in corso di chiarimento giudiziario? La soluzione a queste domande sta nello stile e nella costruzione narrativa che si intende adottare

Come si fa a raccontare, senza correre il rischio di cadere nell’ovvio, una storia di cui sappiamo quasi tutto? Come si fa a raccontare una vicenda a proposito della quale i giornali non si sono stancati di riempire pagine e pagine di resoconti, interviste, inchieste, retroscena? Come si fa a raccontare un delitto che è ancora vivissimo nella memoria dell’opinione pubblica e i cui contorni, anzi, sono in corso di chiarimento giudiziario? La soluzione a queste domande sta nello stile e nella costruzione narrativa che si intende adottare. Deve averlo intuito bene Fiorenza Sarzanini, prima di mettersi a scrivere il suo Amanda e gli altri (sottotitolo «Vite perdute intorno al delitto di Perugia»), appena uscito per Bompiani. Lei che da cronista giudiziario del «Corriere della Sera» ha seguito passo a passo tutti gli sviluppi di un fattaccio avvenuto nella provincia italiana ma che per ragioni varie ha coinvolto mezza Europa. Stiamo parlando – lo si sarà capito – dell’assassinio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto a Perugia subito dopo la notte di Halloween del 2007. Sarzanini ha il coraggio di scegliere una cifra stilistica non soltanto cronistica, alternando le testimonianze documentali al commento. Va detto, intanto, che il libro è composto di sei capitoli racchiusi da un prologo e da un brevissimo epilogo, e tagliati su altrettanti punti di vista dei personaggi-chiave: Giacomo, il fidanzato di Meredith; Sophie, la sua amica del cuore; Amanda, Raffaele e Rudy, i maggiori indiziati; Patrick, che sulle prime venne ingiustamente accusato dell’omicidio. Forte di questa solida struttura, il libro, come si potrà immaginare, raggiunge il culmine nelle parti centrali, dove vengono ascoltati i due imputati. In realtà, l’autrice decide di adottare una seconda persona molto confidenziale e ogni volta molto vicina alla voce dei protagonisti, il che le permette di evitare un «io» pressoché ingestibile o una terza persona eccessivamente giornalistica. Il montaggio e la scelta del punto di vista creano dunque un movimento interno che spiazza e insieme aderisce ai fatti. E non solo a quelli. Sarzanini lavora su più piani. Ricostruisce gli ambienti della Perugia universitaria multietnica, indolente di giorno, notturna, festaiola, eternamente sopra le righe fino all’autodistruzione. Una prospettiva esistenziale che lo scrittore ungherese Sándor Márai riassunse in queste parole, semplici e fulminanti, poste in epigrafe: «I ragazzi avevano la sensazione che la loro vita dietro lo schermo del reale fosse più autentica della realtà». lo scenario di una realtà, appunto, quasi sistematicamente alterata dall’alcol, dalla droga, dal sesso estremo che permettono di dimenticare la nostalgia o i dolori lasciati a casa e insieme di costruire un habitat impermeabile alla vita vera. E di dolore ce n’è parecchio, in questo libro. Nelle vittime, nei semplici testimoni come nei presunti carnefici. il dolore di una generazione di giovani lasciati al loro destino da famiglie distratte o disperse. L’angoscia è diffusa, quasi una costante che Sarzanini racconta con precisione senza con ciò arrivare a facili conclusioni giustificazioniste. Fatto sta che si percepisce un disorientamento diffuso rispetto al mondo, un miscuglio di anaffettività, inconsapevolezza, desiderio di fuga, grandi passioni che finiscono all’alba senza rimpianti, irresponsabilità adolescenziali, sogni puerili e investimenti sentimentali persino eccessivi. Un giro di relazioni sommerse, consegnato, come nel caso di Amanda, a diari allucinati dove si cerca una improbabile sintesi tra non meglio specificate esigenze dell’anima e pressanti incombenze del corpo, tra vaghe proiezioni metafisiche e pulsioni prive di filtri razionali. Tutti infelici e tutti bugiardi: la menzogna come strumento quotidiano per gestire il proprio ruolo nei confronti dei genitori che blandamente pretendono risultati e rispetto ai compagni di avventure che chiedono invece una piena complicità. Poi, a cose fatte, ostinatamente, anche rispetto all’autorità giudiziaria che vorrebbe fare luce su tutto quel sangue e quelle crudeltà solo in apparenza inspiegabili. Senza dimenticare le dinamiche puntuali dei fatti, Sarzanini si concentra con onestà e rigore sulle zone d’ombra intime, psicologiche, sociali che la luce abbagliante dei riflettori ha finora impedito di vedere.