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 2008  dicembre 22 Lunedì calendario

ROMA – Se proprio si volesse cercare una preferenza di Giorgio Napolitano tra le diverse forme costituzionali vagheggiate dalla politica, il modello sarebbe quello del cancellierato alla tedesca

ROMA – Se proprio si volesse cercare una preferenza di Giorgio Napolitano tra le diverse forme costituzionali vagheggiate dalla politica, il modello sarebbe quello del cancellierato alla tedesca. Ne ha accennato in tempi ormai quasi lontani, senza tuttavia mai appassionarsi granché al tema, durante gli infiniti dibattiti promossi da chi vagheggiava «più moderne e incisive» architetture istituzionali, recriminando sulla «permanente confusione di poteri» e sulla «debolezza degli esecutivi». insomma una vecchia storia di tentativi guardati con sospetto e comunque frustrati, quella del presidenzialismo in Italia (storia ricostruita anni fa in un bel saggio di Antonio Carioti, che partiva dalla proposta del Partito d’Azione alla Costituente), e nessun inquilino del Quirinale l’ha mai sopravvalutata. Ma un conto sono le dispute più o meno accademiche su quale sia la più efficace forma-Stato per il Paese, un conto è veder inserire formalmente la questione nell’agenda della legislatura. E prometterne il varo, come ha fatto l’altra sera Berlusconi, «perché la gente è ormai pronta». Davanti a una simile promessa, per di più lanciata da un premier che dispone di un’assai larga maggioranza e che esibisce ogni giorno sondaggi plebiscitari sul suo nome, è ovvio che le cosiddette alte cariche si chiudano in un «cauto riserbo». Un silenzio che diventa addirittura tombale nel caso del presidente della Repubblica, nei cui confronti già il semplice tratteggiare un simile scenario si configura come una dichiarazione di decrepitezza istituzionale, chiamiamola così, se non come un preavviso di sfratto. La consegna del no comment è dunque obbligata. Pena un’accusa di interferenza. Il pensiero di Napolitano sulla questione è però ricostruibile in modo abbastanza preciso da alcuni suoi pubblici interventi. Il più completo dei quali è quello del 18 settembre scorso, a Venezia, durante un convegno sui sessant’anni della nostra Magna Charta. Disse allora il capo dello Stato, forse anche per smentire il luogo comune secondo cui chi ricopre la sua carica è obbligato a essere un passatista, che la Costituzione è sì «rigida, ma non immutabile ». E spiegò che ancorarsi alla prima parte – come è accaduto per tutti i suoi predecessori al Quirinale – «non significa conservatorismo » né tantomeno fare di quel documento «un’icona intoccabile» e da mitizzare. Ecco: lanciava una visione «non statica», il presidente, contemplando la possibilità di qualche accorto engineering costituzionale. Del resto, aggiunse, «tra il 1963 e il 2005 sono stati modificati ben 38 tra articoli e commi anche di notevole rilievo » del testo originario. Riforme se ne possono quindi mettere in cantiere ancora, precisò Napolitano, «purché mirate e condivise» e dentro un quadro di democrazia parlamentare. Cioè il contrario di un assalto su larga scala, progettato per diroccare fin dalle fondamenta il nostro patto fondativo. Infatti, concluse, gli pareva «velleitaria e dannosa » l’idea di una «riscrittura complessiva », maturata magari su certi «progetti defatiganti e inconcludenti » già visti fallire attraverso l’esperienza delle varie commissioni bicamerali o comunque bocciati dal vaglio del referendum popolare confermativo. Marzio Breda