Note: [1] Marco Imarisio, Corriere della Sera 19/12; [2] Gerardo Ausiello, Il Messaggero 18/12; [3] Gabriele Villa, Il Giornale 18/12; [4] Eduardo Di Blasi, lཿUnità 18/12; [5] Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 20/12; [6] Emilio Gioventù, Italia Oggi , 20 dicembre 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 DICEMBRE 2008
Alfredo Romeo nacque a Cesa, paese di braccianti e contadini in provincia di Caserta, il primo marzo 1953, figlio di un cameriere e di una casalinga. A Napoli dall’età di 15 anni, si iscrisse subito alla Fgci, la federazione dei giovani comunisti. Marco Imarisio: «Entrava nella sezione Chiaia-Posillipo del Pci addobbato di cravatta, foulard e pochette infilata nella giacca principe di Galles. Le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani, ma anche digressioni che ai tempi venivano considerate bizzarre, come la medicina alternativa, affidarsi all’iridologo anche per un mal di pancia. Ne derivò un soprannome che ancora gira tra i vecchi compagni, l’equivalente dialettale di ”fighetto”». [1]
Per pagarsi gli studi in legge, Romeo fece il cameriere al ristorante Mattozzi. Presa la laurea, mollò la politica e frequentò un master in management. Sposata Maria Vittoria Parisio Perrotti, nobili origini, ne ebbe tre figli. Imarisio: «Lavora con ritmi da minatore, questo glielo riconoscono ancora tutti. Sudore della fronte e ricerca dello status sociale. Vacanze invernali a Sankt Moritz, al Badrutt’s Palace frequentato da Gianni Agnelli, estate a Sorrento, cene a base di pesce da don Alfonso. Nel 1983 apre la sua prima agenzia immobiliare. Ai suoi cinque impiegati infligge un testo autografo sul ”culto del management”, nel quale si legge: ”Altro che Milano da bere, occorre perseguire la ricerca del modello milanese”». [1]
Aiutato in ufficio dalla moglie, presenza discreta ma importante, Romeo prese a mandare i dipendenti alla Sda (Scuola di direziona aziendale) Bocconi. Nel 1987 fuse le cinque filiali in una società, la Romeogest. [1] Gerardo Ausiello: «Tutto comincia, però, con gli immobili del capoluogo partenopeo: nel 1989 l’avvocato inventa il Global service, ovvero l’esternalizzazione totale del comparto, dalla manutenzione alla riscossione dei fitti fino ai contenziosi legali contro i morosi». [2] Era la prima volta che un privato si aggiudicava il censimento e l’amministrazione di un grande patrimonio pubblico, un affare da 100 miliardi di lire. [3]
L’appalto vinto a Napoli fece di Romeo un protagonista del mercato immobiliare italiano. Finché, nel 1993, finì invischiato in Tangentopoli. «Mi saltavano addosso come cavallette, sì, cavallette, volevano i soldi, non potevo far altro che pagare, funzionava in questo modo», disse ai magistrati pochi giorni dopo essersi costituito. Il suo nome l’aveva fatto Alfredo Vito, mister centomila preferenze condannato per voto di scambio. L’imprenditore arrivò davanti ai giudici dopo una breve latitanza. Eduardo Di Blasi: «Con gli occhi rossi si era sfogato: ”Con la nostra gestione il Comune ha portato l’introito annuale dei fitti da 4 miliardi a 24. Per tutta risposta dopo l’assegnazione dell’appalto mi sono saltati addosso come iene inferocite, minacciandomi di cancellare la concessione se non avessi pagato”». [4]
Nel 1996 la settima sezione del tribunale di Napoli lo condannò per corruzione e illecito finanziamento ai partiti: quattro anni e mezzo di reclusione 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Scrissero all’epoca i giudici: «Nel corso dell’iter amministrativo (degli appalti, ndr) prende contatti con tutte le forze politiche e a tutte, in relazione alla loro importanza, offre contributi, anche se cerca il concreto appoggio solo del ”partito trasversale”...». E poi: «Egli non mira solo alla gestione del patrimonio della città di Napoli; ha interessi, come da lui stesso affermato, nella Immobiliare Italia e mira alla gestione del patrimonio del Comune di Roma, e ad estendere l’esperienza napoletana anche altrove...». [5] In appello la condanna scese a due anni e mezzo, in Cassazione (2000) fu prescritta. [6]
Nel 1997 il Comune di Roma indisse un’asta per la gestione di 33mila unità immobiliari. R. Giovannini & F. Grignetti: «Il Comune non sapeva nemmeno quante case aveva, figuriamoci riscuotere gli affitti. Rutelli decise quindi di affidare la riscossione delle pigioni all’esterno». [7] Base d’asta 82 miliardi di lire in 7 anni, nonostante le proteste di chi lo considerava troppo vicino all’Ulivo, Romeo sconfisse il gotha dell’economia con un’offerta al ribasso giudicata ”suicida”: 40%. In seguito l’imprenditore casertano aggiunse alla sua collezione, solo per citare i pezzi più pregiati, l’Inpdap, l’Inps, l’Agenzia del demanio, il ministero dell’Economia, il Quirinale. [6]
Oggi il gruppo Romeo è «una realtà imprenditoriale di livello europeo, una struttura impegnata nella valorizzazione degli immobili e della loro utilizzazione intelligente» (dal sito internet). Oltre 500 dipendenti, valore complessivo del patrimonio in gestione oltre 48 miliardi di euro. Dal 2007 Romeo è vicepresidente di Assoimmobiliare (Confindustria) con Carlo Puri Negri ed Elio Gabetti, nel 2004 si aggiudicò un premio «per aver contribuito alla crescita qualitativa del patrimonio immobiliare italiano». [8] Con il passare del tempo la Romeo Gestioni ha accumulato formidabili utili: negli ultimi 5 anni l’imprenditore casertano ha portato nelle casse della sua azienda oltre 110 milioni di euro. [9]
Romeo è una specie di Re Mida. Fabio Pavesi: «Quei 25 milioni, euro più euro meno, che ogni anno entrano nelle sue tasche, sono prodotti su ricavi non così eclatanti. I soldi che incassa dai committenti (per lo più pubblici) valgono ogni anno tra i 130 e i 145 milioni di euro, che non è gran cosa. Se poi aggiungiamo la grande abilità (sic!) di Romeo nella gestione del costo del lavoro (a cui va solo il 7-8% del fatturato prodotto) e ovviamente dei servizi prestati, ecco il segreto del successo». Poche aziende possono vantare nel nostro Paese simili livelli di profittabilità: nel 2007 l’Eni ha trasformato in utili netti solo l’11% dei suoi ricavi, Geox non è andata oltre il 16%. Romeo, 20% e più di utili netti sui suoi (pochi) ricavi, non ha debiti con le banche e vanta un patrimonio di oltre 70 milioni di euro più una sessantina di milioni in libretti bancari e postali. [9]
L’appalto romano per la manutenzione delle strade (in regime di «aggiudicazione provvisoria» per via di un contenzioso con una ditta concorrente che lamentava irregolarità nella gestione dell’appalto [7]) gli ha reso 64 milioni l’anno per nove anni. Alberto Statera: «Totale 576 milioni per 800 chilometri, cioè 80 mila euro a chilometro ogni anno, contro i 5 mila e cinquecento euro a chilometro che per lo stesso lavoro spende il comune di Bologna, con risultati che difficilmente possono risultare peggiori rispetto a quelli dei tombini che scoppiano alle prime piogge. Utili in tre anni della volpe di Posillipo: 75 milioni su un fatturato di 130». [10]
La gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli ha reso alla collettività 13 milioni di euro su un ”pacchettone” di case e uffici (30.500 alloggi per un totale di 135mila inquilini) che di milioni ne vale oltre 2.000. Pavesi: «Chiunque, viste le cifre, avrebbe saputo far rendere quelle case assai di più. E allora l’equazione è quasi scontata. Appalto ricco, Romeo ci si ingrassa e i Comuni ci perdono». [9] Rita Bernardini, deputato pd della delegazione Radicale, nel 2000 si batté contro la cessione di milletrecento case nel centro storico di Roma decisa dalla giunta Rutelli. Da un’intervista di Alessandro Capponi: «Mi accorsi che stavano vendendo case di pregio a prezzi stracciati». Cosa significa per lei ”stracciati”? «Faccio un esempio: tre camere a piazza Navona a sessanta milioni, ovviamente di lire». [11]
La Bernardini fece subito un’interrogazione urgente al sindaco. «Chiedevo di mettere on line, in internet, case e nomi dei futuri proprietari. Era chiaro che i romani dovevano sapere che, invece di fare cassa, il Campidoglio stava cedendo un patrimonio simile a questi prezzi». A chi? «Sindacalisti, attori, anche qualche giornalista». Quale fu la risposta all’interrogazione? «Silenzio assoluto». Niente, neanche una parola? «Neanche una». E lei? «Feci tutto il chiasso possibile, ricorsi al Tar, un’altra interrogazione ». E Rutelli? «Silenzio». Poi? «Poi riuscii a bloccare quella delibera, almeno inizialmente. E in ogni caso poi ci fu il cambio della guardia, al Campidoglio fu eletto Veltroni». Cambiò qualcosa? «Gli elenchi delle case in vendita finirono in internet». [11]
La scorsa settimana Romeo è finito in galera nell’ambito dell’inchiesta ”Magnanapoli”. Secondo i magistrati, uomini del centro destra e del centro sinistra si sarebbero accordati per fargli ottenere la manutenzione delle strade e dell’arredo urbano di Napoli con la formula del global service. Compenso 400 milioni di euro per nove anni, la delibera del comune guidato dal sindaco Rosa Russo Iervolino fu bloccata per mancanza di copertura finanziaria. Dall’esame delle intercettazioni, i pm configurano un ”sistema Romeo” «in grado di assicurare una vera e propria blindatura dei bandi di gara» e di «cucire addosso come un vestito» appalti milionari destinati al potente imprenditore. [12]
Romeo è accusato di associazione per delinquere insieme a quattro assessori (tutti del Pd) e a due parlamentari, Renzo Lusetti (Pd) e Italo Bocchino (Pdl). [12] Nella descrizione dei giudici, i politici appaiono miserabili figurine nelle mani dell’imprenditore. Giuseppe D’Avanzo: «Lo assecondano in ogni ambizione e desiderio; sgomitano tra di loro ”come in ogni harem che si rispetti”, esagerano i pubblici ministeri, per diventare ”il favorito del sultano”. Il ”sultano”, chiamiamolo così, è generoso. Assume amici, mogli, figli, parenti prossimi». [13]
Secondo l’accusa, quando non assumeva Romeo allargava i cordoni della borsa con una consulenza o con un contratto assicurativo. D’Avanzo: « Si lascia indicare di buon grado ditte a cui affidare un subappalto. In qualche caso, affiora ”denaro sonante”, ma la vera posta è un’altra: fare di un consigliere circoscrizionale un consigliere comunale. Di un consigliere comunale, un parlamentare. Di un parlamentare, un sottosegretario da governare come un burattino. La politica diventa lo ”strumento attuativo” dei progetti dell’impresa, soltanto la funzione servente e sottordinata delle mire dell’imprenditore». [13]
Nel 1993, alla prima deposizione Romeo ammise gli illeciti e accusò i politici. Stavolta ha spiegato che il suo progetto, imprenditoriale e non criminale, era diventare consulente del Comune di Napoli. Fulvio Bufi: «Un incarico fisso, quindi, e non collegato a progetti e gare d’appalto da aggiudicarsi di volta in volta. E comunque per lui le gare non sono un problema, purché tutto si faccia in regola, però. ”Perché se si rispettano le regole vinco io: la mia azienda è la migliore, la più forte”». La procura per ora non gli crede. E presto potrebbero arrivare nuovi guai dalle indagini riguardanti gli appalti con Comune di Roma e Regione Campania. [14]