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 2008  dicembre 20 Sabato calendario

LA FIAT DI MARCHIONNE FU VERA GLORIA? (ALESSANDRO PENATI)

La ristrutturazione e il rilancio della Fiat sono stati esemplari per rapidità ed efficacia. Dal 2005, il titolo è arrivato a guadagnare l´86% più dell´indice europeo di settore. Ma poi il guadagno è svanito. E oggi il bilancio di Marchionne in Borsa è, nel complesso, negativo: da quando è al comando, Fiat ha perso il 26% rispetto al settore. Ristrutturare un´azienda, è una cosa; farla crescere stabilmente nel tempo, un´altra.
La recessione ha riportato in evidenza le antiche debolezze del gruppo, che la ristrutturazione non ha risolto. L´elenco è noto:
1. La ristrutturazione ha beneficiato di una crescita mondiale e un boom delle costruzioni, senza eguali negli ultimi 40 anni. Illusorio che potesse continuare.
2. Fiat opera in quattro settori (auto, componenti, autocarri, e macchine movimento terra) caratterizzati da forti economie di scala; ma non è leader in alcuno. Marchionne ha puntato sulle joint ventures. Ne ha annunciate molte, creando entusiasmi in Borsa. Ma è noto che funzionano raramente: se va male, i partners hanno interesse a scaricare gli oneri sull´altro; se va bene, litigano per acquisire il controllo.
3. In ogni settore, i margini di Fiat sono inferiori a quelli dei migliori concorrenti; e sono molto esposti al ciclo economico. Auto e autocarri sono troppo concentrati nei segmenti minori, e nel mercato europeo, a bassa crescita. Così, la produttività aumenta poco: dal 2004, il fatturato per dipendente è cresciuto mediamente del 2,3%.
4. Il finanziamento all´acquisto è una componente essenziale del successo. Ma richiede spalle robuste, che Fiat non ha. Oggi ha quasi 16 miliardi di debiti netti a fronte di crediti concessi (magari a tasso zero!); senza contare quelli delle società collegate. La decisione del buyback e di aumentare il dividendo, solo 8 mesi fa, non è stata lungimirante.
Forse sarebbe meglio puntare a diventare leader in un settore, piuttosto che rimanere piccoli in tutti. Una decisione che spetta agli azionisti di controllo. Invece, i quesiti sul futuro di Fiat sono scaturiti da una dichiarazione di Marchionne sull´inevitabilità di fondersi per chi produce meno di 5 milioni di auto: siccome è il caso di Fiat, è scattata la caccia al partner per arrivare a 5. Ma le auto non sono patate: non si contano, si valutano. E purtroppo, quelle della Fiat valgono poco per il mercato. Tutto il gruppo capitalizza 6 miliardi (Bmw, per esempio, ne vale 12): tolta Cnh, Iveco e Ferrari, il valore implicitamente attribuito alle auto e componenti è nullo. L´annunciata ricerca di un "partner" è dunque la traduzione politicamente corretta del tentativo di cedere il ramo autoveicoli, in cambio di una partecipazione di minoranza.
La fusione di Ifil in Ifi, le holding di controllo degli Agnelli, conferma che l´uscita dall´auto è una possibilità realistica. Le holding permettono il controllo con pochi capitali, ma devono pagare al mercato uno sconto rispetto alle attività detenute: oggi, circa 41% per Ifil e 25% per Ifi. La fusione, riducendo lo sconto, permette di far affluire meglio agli azionisti di controllo i benefici di un´operazione che valorizzi Fiat: ai prezzi attuali, lo sconto complessivo post fusione si ridurrebbe al 29%. Una fusione logica, quindi, in prospettiva di un´operazione che risollevi le sorti del titolo Fiat. Uscire da auto e componenti, che hanno bassi margini e produttività, in cambio di una partecipazione, è la via più rapida per farlo; specie, viste le valutazioni di Borsa.
Un´ipotesi corroborata dalle modalità di fusione, che avvantaggiano le azioni di Ifil (70% degli Agnelli) a danno delle Ifi privilegiate, in maggioranza detenute dal mercato. Un trasferimento di ricchezza tre le due classi di azionisti di 430 milioni, guardando ai prezzi di mercato al momento dell´annuncio. Si potevano tutelare le Ifi privilegiate: ma agli Agnelli sarebbe andato solo il 40% della nuova Exor, invece del 59%. E il capitalismo all´italiana non si smentisce mai.