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 2008  dicembre 20 Sabato calendario

Stella di prima grandezza nel firmamento della psicologia del ragionamento, Philip Nicholas Johnson-Laird (Phil per gli amici) è attualmente professore all’Università di Princeton, ma inglese per nascita, per formazione, per carriera, e soprattutto per quel suo stile elegante, compassato e insieme cordiale

Stella di prima grandezza nel firmamento della psicologia del ragionamento, Philip Nicholas Johnson-Laird (Phil per gli amici) è attualmente professore all’Università di Princeton, ma inglese per nascita, per formazione, per carriera, e soprattutto per quel suo stile elegante, compassato e insieme cordiale. Con l’Italia ha legami accademici e personali antichi e robusti, parla la nostra lingua correntemente, ci visita almeno un paio di volte all’anno e ha pubblicato più lavori scientifici su riviste scientifiche internazionali con colleghi italiani che non con tutti i suoi collaboratori di altri Paesi messi insieme. Ad esempio, con Amelia Gangemi (Cagliari) e Francesco Mancini (Roma) Phil ha di recente pubblicato su Psychological Review un importante lavoro che dimostra come le persone che hanno una tendenza alla patologia mentale – depressione o ossessione – ragionano meglio e non peggio delle persone normali, almeno quando ragionano sui temi su cui sono, purtroppo, esperti come, ad esempio, la colpa o la paura. In un’intervista in esclusiva Phil aggiunge: «Va a farsi benedire, quindi, la teoria di Aaron Beck (noto psichiatra americano) secondo la quale causa delle nevrosi sarebbe un difetto nel ragionare». La fama di Johnson-Laird riposa soprattutto sulla sua teoria dei modelli mentali. Il suo classico libro dal titolo omonimo (edizione italiana Il Mulino 1988) esiste in numerose traduzioni in varie lingue. Mi è capitato di sentir usare l’espressione «modelli mentali» perfino in riunioni di dirigenti di industria. Che cosa sono questi modelli mentali? Basti un semplice esempio (che Phil ha escogitato, tra tanti, insieme al suo collega informatico Sabien Favary): Consideriamo una mano di carte che noi non possiamo vedere, ma sappiamo con certezza che una delle due seguenti affermazioni è vera, mentre l’altra è falsa: (1) Se c’è un re, allora c’è anche un asso. (2) Se non c’è un re, allora c’è un asso. La maggioranza dei soggetti così testati conclude che c’è un asso. Strano, perché, ragionando a dovere, se la prima affermazione è falsa, allora c’è un re, ma non un asso. Se la seconda è falsa, allora non c’è nè un re, nè un asso. La maggioranza sbaglia, quindi. Ma gli psicologi del ragionamento non sono qui per bocciare, nè per dare premi ai più intelligenti, vogliono, piuttosto, spiegare perché la maggioranza sbaglia. Ebbene, quando ragioniamo, nella nostra mente si crea spontaneamente, appunto, un modello. Nel nostro modello vengono rappresentate solo le possibilità che rendono le premesse vere, non quelle che le rendono false. Rappresentate solo quelle possibilità (cioè la presenza di un re con un asso, e l’assenza di un re con un asso), contrariamente a quanto precisa il testo, ne concludiamo che c’è un asso. In altre parole, nella nostra mente, non ci sono autostrade dirette per i con tro-esempi, le negazioni e le falsità. Si passa sempre per la strada di ciò che è vero, o perlomeno potrebbe essere vero. E troppo spesso ci si ferma lì. Infatti, per nostra natura, riteniamo che un solo modello mentale sia meglio di due, due meglio di tre e così via. Quindi, economia mentale ed errore, spesso, ma non sempre, vanno di pari passo. A parte le innumerevoli onorificenze chiedo a Phil di presentarsi nella sua essenza di studioso: «Da studente (ma ho iniziato tardi, quasi trentenne, dopo aver fatto un po’ di tutto, compreso il contabile nei cantieri edili e il pianista jazz) studiavo psicologia e filosofia, ma la mia vera formazione avveniva durante i week-end, quando leggevo i testi di Bertrand Russell, e partecipavo a manifestazioni pacifiste, guidate da Russell, per il bando delle armi nucleari. In quanto studioso della psicologia del ragionamento, cerco di integrare esperimenti, teoria e simulazioni su calcolatore». Potrebbe, in termini semplicissimi, spiegarci cosa sono i modelli mentali? «Quando ragioniamo, ci rappresentiamo le possibilità e costruiamo un modello di com’è il mondo, un po’ come un architetto si rappresenta mentalmente il futuro edificio. Rappresentiamo l’insieme, ma non i dettagli. Ciò che omettiamo spiega molti dei nostri errori di ragionamento. Il fattore più frequente e più importante che causa errori è il non considerare alcune possibilità». E aggiunge: «Come e’ stato per la guerra in Irak». Il Mulino ha appena pubblicato la traduzione italiana del suo recente libro «How we reason » (titolo italiano «Pensiero e Ragionamento»). Chiedo a Phil di riassumere le novità che il libro contiene: «Sono applicazioni della teoria dei modelli mentali alle emozioni, le credenze, le malattie mentali e svariati tipi di ragionamento nella vita ordinaria. Per finire, gli chiedo quale rovello mentale, quale curiosità profonda lo abbia sospinto costantemente nelle sue ricerche: «Fino da quando ero studente volevo svelare il mistero del pensiero, di come noi pensiamo. Allora ne sapevamo ancora meno, nessuno insegnava corsi sul ragionamento. Ma resta per me ancora misterioso cosa mi abbia sospinto verso questo mistero.» ***** Il test dei cinque cappelli Ci sono tre sventurati, sulla testa di ciascuno dei quali poniamo un cappello: o bianco o nero. In questo gioco, esistono solo tre cappelli bianchi e due neri. Nessuno dei tre può vedere di che colore sia il proprio cappello, ma ciascuno deve ragionare giusto, pena la morte. I tre sono in uno strettissimo corridoio, in fila indiana, e non possono voltarsi. Possono solo dichiarare il colore del proprio cappello, se lo hanno indovinato, o dichiarare onestamente «non lo so». Niente altro. La prima persona, chiamiamola A, vede il colore dei cappelli degli altri due. La seconda, chiamiamola B vede solo il colore del capello della terza (chiamiamola C). C non vede nessun cappello. A dichiara «non lo so». B, che ha udito la dichiarazione di A, dice anche lui: «non lo so». C ha sentito le dichiarazioni di entrambi. Cosa dirà C? Soluzione C concluderà correttamente che il proprio cappello è bianco. Perché? A ha dichiarato: «non lo so», quindi non può aver visto due cappelli neri, in quanto avrebbe, altrimenti, dichiarato «lo so, il mio cappello è bianco». (Ricordiamoci che ci possono essere solo, al massimo, due cappelli neri) B ha sentito la dichiarazione di A, e conclude che A può solo aver visto una delle tre seguenti possibilità: bianco bianco, nero bianco, bianco nero. B vede il colore del cappello di C, ma questo non lo aiuta a indovinare il colore del proprio cappello, quindi dichiara anche lui «non lo so» C ha sentito queste due dichiarazioni, quindi conclude (come B) che A non può aver visto due cappelli neri. Ma anche B ha dichiarato di non sapere di che colore è il proprio cappello. Quindi non può aver visto su C un cappello nero, in quanto, se lo avesse visto, avrebbe concluso, giustamente, che il proprio cappello è bianco. Quindi il colore del cappello di C è bianco.