Auto Usa, salvataggio in due mosse Dal Tesoro 17 miliardi di dollari di Ennio Caretto, Corriere della Sera, 20/12/2008, pag. 34, 20 dicembre 2008
AUTO USA, SALVATAGGIO IN DUE MOSSE DAL TESORO 17 MILIARDI DI DOLLARI
Affermando che sarebbe stato irresponsabile non andare al loro salvataggio, il presidente Bush ha ieri stanziato 17 miliardi e 400 milioni di dollari per la General Motors e la Chrysler, i due colossi dai piedi di argilla di Detroit, attingendo al fondo di 700 miliardi per le banche creato alcuni mesi fa. Le case automobilistiche riceveranno 13 miliardi e 400 milioni a dicembre e gennaio, 9 miliardi e 400 milioni la General Motors, 4 miliardi la Chrysler, che è di proprietà di una «private equity », la Cerberus. Per questi versamenti, non sarà necessaria l’autorizzazione del Congresso. Lo sarà invece per quello dei restanti 4 miliardi, da erogare a febbraio sotto il governo Obama. Di fatto si tratta di un prestito ponte diretto da un lato a evitare la bancarotta di Detroit, con l’eccezione della Ford, almeno al momento, e dall’altro a permettere al presidente eletto di rilanciare l’industria dell’auto. Un prestito che, tra le colpe dei superpagati manager e gli scandali di Wall Street, suscita polemiche.
L’intervento di Bush ha concluso un mese di suspense, culminato nel «no» dei repubblicani al Senato al piano di aiuti da lui concordato con i democratici al Congresso la settimana scorsa. Ma il prestito in «extremis» – la General Motors e la Chrysler, che chiuderà per un mese, erano sull’orlo della bancarotta – non è un regalo di Natale, è legato alla ristrutturazione di Detroit, volontaria o su «diktat» del ministro del tesoro Henry Paulson, l’architetto dell’operazione. L’industria, ha ammonito Bush, «avrà tre mesi per dimostrare di poter sopravvivere e prosperare, in caso contrario dovrà restituire i soldi». Il presidente ha posto altre condizioni per il prestito: tetti agli stipendi dei manager; concessioni dei sindacati; nessun dividendo agli azionisti; divieto di transazioni di oltre 100 milioni di dollari senza il placet di Paulson; e così via. Solo in tale modo, ha detto Bush, «Detroit tornerà competitiva».
Bush non ha neppure escluso che dopo marzo per salvarsi le tre case dichiarino con l’appoggio del governo «chapter 11», la bancarotta protetta, che consentirebbe loro di non pagare i creditori e restare in attività. Il presidente ha ammesso di avere pensato di costringerle a farlo adesso, ma non ne erano in grado, ha notato; «il loro collasso avrebbe causato enormi danni all’economia in un momento di grave crisi», mentre fra tre mesi sarebbe diverso. E ha difeso la propria decisione, di nuovo criticata dai repubblicani per motivi ideologici: «In circostanze normali, avrei seguito le regole del libero mercato lasciando che chiudessero i battenti. Ma oggi, il Paese vuole che le teniamo in vita». Obama, che ha allo studio altri interventi, lo ha elogiato: «E’ una misura necessaria. Che le tre case non sprechino adesso la possibilità di fare cambiare abitudini ai dirigenti».
La General Motors e la Chrysler, che in cambio di esso forniranno warrant o titoli senza diritto di voto allo Stato, hanno annunciato che attingeranno immediatamente al prestito. In un breve comunicato, la prima ha ringraziato Bush dell’aiuto che «tutela il posto di lavoro di milioni di persone anche nell’indotto», assicurando che farà fronte alle sue responsabilità. La seconda ha definito i sussidi «un segno di fiducia nella nostra industria» e promesso che «vi risponderà costruttivamente». Wall Street ha tirato un respiro di sollievo: se Bush non si fosse mosso, la Borsa avrebbe subito un crollo, anziché aprire al rialzo come è avvenuto. Sui 4 miliardi di dollari di febbraio per le due case, tuttavia, c’è qualche dubbio. A differenza dei 13,4 miliardi di questo mese e di gennaio, che provengono dalla tranche di 350 miliardi del fondo per le banche approvata dal Congresso, gli ultimi 4 miliardi dovranno provenire dalla restante tranche, sulla quale il Congresso dovrà votare, non si sa con che esito.
La zona salvezza di Detroit è ancora lontana: non a caso l’entourage di Obama, secondo cui è stato il presidente eletto a spingere Bush al controverso passo, sottoporrà al Congresso un programma di 850 miliardi di dollari nei prossimi due anni per risanare l’economia.