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 2008  dicembre 20 Sabato calendario

«IO SE FOSSI GABER? CANTEREI L’AMORE»

«Che cosa è stato per me il teatro di Gaber? Prima di tutto un raggio di luce, visto che lui era il faro. Poi una scuola: dall’asilo all’università. Tutti gli attori, soprattutto comici, che hanno avuto una chitarra in mano, gli hanno rubato qualcosa. Perché sapeva saltare con classe dalla profondità alla leggerezza e all’ironia. Un movimento in su e giù come un perfetto sismografo».
Parlare di Gaber con Enzo Iacchetti è come portare un appassionato ferrarista a Maranello: non se ne andrebbe mai. Perché di Giorgio, il co-conduttore di «Striscia la notizia» (ha esordito come attore e cantante al Derby Club), si ritiene tuttora allievo, ammiratore, tifoso, amico, al di là che lui non ci sia più. E non manca iniziativa, in primo piano i vari Festival promossi dal-l’attivissima Fondazione Giorgio Gaber, che non lo vedano sul palco o almeno nelle vicinanze.
Iacchetti, come è cominciata questa folgorazione gaberiana?
«Le sue prime canzoni, quando ero ragazzino, ma soprattutto il repertorio di Teatro- Canzone, un genere inventato da lui e portato in giro per l’Italia. Quando uscivi eri talmente compenetrato in quello che aveva cantato e recitato che non riuscivi a parlare d’altro. Anche sulle parti che magari avevano convinto meno, si discuteva per ore».
Genere inventato da lui e in qualche modo ispirato alla scuola francese?
«Jacques Brel era in quel binario e Giorgio lo apprezzava, però non aveva la sua teatralità e quell’incredibile movimento del corpo».
Se dovesse curare una antologia di Gaber da che cosa comincerebbe?
«Mmmh, sono già in crisi. Tendenzialmente sarei estremista, dunque propenderei per l’opera omnia. Però dovendo scegliere, vado per genere e dico che Giorgio mi ha più entusiasmato quando ha parlato senza retorica né banalità dell’amore. Con i dubbi, l’intensità, le devastazioni che l’accompagnano. Nessuno ha mai scritto una canzone d’amore bella come "Quando sarò capace d’amare"».
E sul sociale?
«Straordinario, figuriamoci. "Io se fossi Dio" è stata una vera bomba. Lui sapeva mirare ai centri di potere, agli stili di vita fasulli, alle classi dirigenti in modo da lasciare il segno. Però su questo ho avuto il privilegio di parlarci direttamente, quindi so come la pensava. Ecco perché trovo più interessante la sua parte intimista ».
Guardando i primi spettacoli di Teatro-Canzone che cosa le verrebbe da cantare?
«"Com’è bella la città", stupenda. Da ragazzo cantavo con i miei amici "I Borghesi più sono lerci/più ci hanno i milioni/ i borghesi sono tutti co.....i/. Che godere. Un altro brano molto forte, che oggi sarebbe molto attuale è "La chiesa si rinnova"».
Da giovane anche lei sedeva in qualche «Bar Casablanca » a parlare-parlare di rivoluzione e proletariato?
«No anzi, nel mio piccolo mi piaceva stare in prima fila e ho preso pure qualche mazzata. Giovane e nemmeno furbo: sulla cinquecento avevo disegnato la A di anarchia con la frase "Se la Patria ti chiama, dille che ripassi". Risultato: tanti miei amici hanno fatto il militare belli comodi a Milano, io in una caserma "punitiva" in Friuli».
C’è un erede di Gaber oggi?
«No, ci sono diversi suoi interpreti molto bravi. A teatro Giulio Casale per esempio canta e si muove bene: fosse un pochino meno bello potrebbe essere un suo clone. Ma l’eredità è qualcosa di più impegnativo ».
Nel culto totale, senza trovargli nemmeno un difetto?
«Giorgio era d’un rigore assoluto. Anche nei dettagli. Nelle discussioni andava per la sua strada, era un tipo per niente facile. Non credo però sia un difetto».
Nei tanti festival gaberiani di questi anni chi l’ha colpita di più?
«Ron, ottimo. Ma la vera sorpresa forse è stato Gioele Dix. Non sapevo fosse così bravo a cantare e pure sensibile».
E chi l’ha delusa?
«Ligabue perché non ha cantato nessun pezzo di Giorgio e Luca Barbareschi perché se n’è andato prima del tempo dicendo al pubblico "io qui non c’entro niente". I gaberiani sono duri: non fischiano ma sanno essere gelidi».
Il titolo d’uno spettacolo teatrale degli anni ’80: «Io se fossi Gaber». E se lei fosse Gaber?
«Convincerei Iacchetti a interpretare il mio repertorio senza farsi troppe seghe mentali. Non è immodestia, me l’hanno già proposto. Ma mi tremano troppo le gambe».