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 2008  dicembre 20 Sabato calendario

VITTORIO SABADIN PER LA STAMPA DI SABATO 20 DICEMBRE 2008

Non dovremmo essere così felici che il prezzo del petrolio sia sceso, nella giornata di ieri, a 36 dollari al barile. Anche se adesso paghiamo meno la benzina, l’elettricità e il riscaldamento, il conto vero da saldare potrebbe arrivare fra qualche anno e potrebbe essere salatissimo. I rappresentanti di 27 paesi si sono incontrati ieri al London Energy Meeting per proseguire il tentativo di dialogo tra consumatori e produttori iniziato a giugno a Gedda su iniziativa dell’Arabia Saudita. E sono arrivati alla conclusione che con questi prezzi così bassi non ci saranno risorse disponibili da investire nei giacimenti che richiedono tecnologie estrattive più costose.
I governi, inoltre, avranno un’ottima giustificazione per rinviare i progetti di diversificazione energetica, soprattutto in un momento nel quale quasi tutte le risorse disponibili se ne vanno per salvare banche e aziende in difficoltà. Il rischio è che il mondo, quando finalmente riuscirà a superare la crisi economica in corso, ne debba immediatamente affrontare una più grave ancora: la ripresa della domanda di petrolio - se nel frattempo non si sarà fatto qualcosa o per produrne di più o per cominciare a farne a meno - riporterà immediatamente i prezzi al di sopra dei 140 dollari, tornerà l’inflazione e saremo da capo.
Ali Ibrahim Al-Naimi, ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, ha indicato in 70 dollari il valore giusto del barile: a questo livello ci saranno risorse da investire nello sviluppo pensando al futuro, e gli stati occidentali pagheranno un prezzo onesto e sopportabile per il petrolio di cui hanno bisogno. Le fonti di energia rinnovabili che ora hanno costi non più competitivi torneranno a essere interessanti e si investirà denaro per adottarle. Anche il ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola, che rappresentava al vertice il governo italiano, ritiene che un prezzo del petrolio troppo basso può fare altrettanti danni di un prezzo troppo alto.
«Se il barile è poco remunerativo, si fermeranno gli investimenti e ci sarà minore attenzione per le energie rinnovabili. assolutamente necessario un nuovo accordo di collaborazione tra paesi produttori e paesi consumatori, anche con rapporti commerciali che aiutino i produttori a non dipendere più soltanto dal petrolio. Questi temi saranno al centro del G8 a presidenza italiana del prossimo maggio». Il premier inglese Gordon Brown, che ha aperto l’incontro, ritiene che il problema principale sia invece la volatilità del prezzo. L’ultima volta che i paesi interessati si sono ritrovati insieme a Gedda, nel giugno scorso, si pagavano 140 dollari al barile e proprio mentre Brown parlava si toccava a Londra il nuovo record al ribasso. «Le forti fluttuazioni degli ultimi mesi hanno danneggiato l’economia e occorre una nuova regolamentazione dei mercati petroliferi per stabilizzare i prezzi, al tempo stesso investendo nelle tecnologie che portino a basse emissioni di CO2».
Sembra però difficile che un accordo davvero efficace possa essere raggiunto e molti pensano che la logica del «liberi tutti» alla fine tornerà a prevalere, lasciando decidere al mercato. Ad Abdalla Salem El-Badri, il segretario generale dell’Opec, il discorso di Brown non è ad esempio piaciuto per niente: «Invece di prendersela con le fluttuazioni del petrolio, dovrebbe concentrarsi un po’ di più sul ridurre le tasse sulla benzina. La Gran Bretagna è il paese che ha beneficiato maggiormente degli alti prezzi, perché ha le tasse più elevate d’Europa».
Ma un accordo per limitare le fluttuazioni è auspicato anche dal ministro Scajola, in modo da adottare misure che siano efficaci in tempi brevi, con un prezzo che oscilli però intorno non a 70, ma a 60 dollari. Nel frattempo, il governo italiano conferma gli obiettivi che si è dato per arrivare a ridurre la dipendenza italiana dall’estero, che corrisponde all’85% del fabbisogno, e a una produzione di energia che si basi per il 50% sul fossile, per il 25% sul nucleare e per un altro 25% su fonti rinnovabili. «Entro la fine della legislatura partiranno i lavori per la prima centrale nucleare italiana - ha detto il ministro -. Non sarà il governo a scegliere la località dove verrà costruita. Stabiliremo parametri da rispettare e attenderemo le candidature dei comuni interessati, che in cambio riceveranno aiuti, infrastrutture e sconti molto elevati sulla bolletta energetica dei loro cittadini».
In Francia, assicura Scajola, c’è la coda per avere sul proprio territorio una centrale e i sondaggi dicono che anche in Italia la maggioranza ha cambiato idea. Forse solo sulla necessità del nucleare: le centrali andranno costruite, ma, come sempre in questi casi, nel cortile di qualcun altro.