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 2008  dicembre 20 Sabato calendario

PEZZI SULLA RIUNIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE DEL PD (19/12/2008)



FABIO MARTINI PER LA STAMPA DI SABATO 20 DICEMBRE 2008
Da sei minuti, davanti alla Direzione Pd, Sergio Chiamparino sta sciorinando le sue critiche alla gestione del partito, l’irritato Walter Veltroni guarda altrove, ma non può certo immaginare le parole con le quali il sindaco di Torino sta per congedarsi: «....e dunque rassegno le dimissioni da ministro nel Governo Ombra perché credo sia un organismo inadeguato». E con gesto plateale per un uomo sobrio come lui, Chiamparino consegna la lettera di dimissioni nelle mani di Veltroni. In ”diretta”. Davanti alle telecamere di YouDem, la tv del Pd. E’ il passaggio più cruento nelle nove ore di dibattito della attesissima Direzione democratica, durante la quale l’autorità di Walter Veltroni è stata messa a dura prova, oltreché dal gesto di Chiamparino, da una pioggia acida di critiche mai ascoltate prima d’ora. Diversi ”pezzi grossi” del partito hanno distillato perifrasi più affilate del solito, Massimo D’Alema è arrivato a dire che per il Pd «l’innovazione» invocata da Veltroni non basta, perché «serve l’autorevolezza». Come dire, senza dirlo, che il suo ”amico” Walter è poco autorevole. Ma alla fine, al momento della conta, tutti quelli che erano venuti allo scoperto - Pierluigi Bersani e Francesco Rutelli tra gli altri - si sono riallineati. Proprio come Chiamparino. Interpellato in privato dal segretario, il sindaco ha ritirato le sue dimissioni e il suo dietrofront simboleggia bene la frustrazione dei critici di Veltroni, il ”vorrei ma non posso” che ha attraversato la fronda al leader.
Nella trattativa dietro le quinte che durava da 48 ore e che si è conclusa alle 20 di ieri sera, con la votazione del documento di ”fiducia” a Veltroni da parte di tutte le ”correnti”, si era consumato questo scambio: il segretario ha rinunciato all’annunciato «rinnovamento immediato della classe dirigente» e agli strombazzati «poteri straordinari», ha accanonato l’idea di dare un forte segnale di rilancio all’opinione pubblica, ma in cambio ha ottenuto il voto di ”fiducia” da parte dei capi della ”fronda”, Massimo D’Alema, Franco Marini, Francesco Rutelli, Enrico Letta. Anche se per il leader il prezzo da pagare è stato un pubblico ”schiaffeggimento” da parte dei suoi critici, con accenti mai ascoltati nei 14 mesi di vita del Pd.
Il tutto si è consumato in uno scenario da film di Ettore Scola. Il salone della Direzione del Pd è collocato ai lati di una bella, grandissima terrazza che si affaccia sui tetti del centro di Roma, compreso quello di uno dei licei cattolici più esclusivi di Roma, il Nazareno, dove hanno studiato tanti rampolli della borghesia romana, da Carlo Verdone a Cristian De Sica: per nove ore, dalla terrazza si sono irradiate verso i tetti circostanti, le voci amplificate e contrite dei leader democratici. I più impegnati nella critica sono stati gli amici di D’Alema. Il colpo di assaggio è toccato all’intellettuale del gruppo, Gianni Cuperlo: «Non regge un partito che è il contenitore di tutto», «ci sono aspetti del nuovo inconsistenti», «c’è un deficit di autorevolezza nelle nostre classi dirigenti», «si fatica a trasmettere l’immagine del Pd», «in alcune aree il partito non c’è».
Ma la sorpresa è stato Pierluigi Bersani. Sempre misurato nelle critiche, il ministro ombra dell’Economia ha depositato argomenti che in un altro contesto avrebbero fatto male. Ha parlato di un Pd nel quale «ci sono abbandoni silenziosi e arrivi che non arrivano», ha descritto «l’utopia distruttiva di un partito che va in automatico con la società, che tira su tutto come un’idrovora», rinunciando ad essere un partito riformista, «che vuole cambiare la società». Affilatissimo Marco Follini: «Si invoca il rinnovamento, ma io, Walter e Massimo, mese più mese meno, abbiamo la stessa età e quando arrivasse il rinnovamento, dovremmo farci tutti da parte». Tutti a chiedersi: fin dove si spingerà Massimo D’Alema? Spinge ma non assesta il colpo del ko: «Abbiamo bisogno di un partito vero», dice che «l’appannarsi di una visione politica incoraggia il ripiegamento egoistico». Le correnti? «Nel Pd non esistono, semmai siamo una amalgama mal riuscita». Certo, le correnti «sono discutibili, un modo non bello a vedersi, anche se darebbero un ordine». Ed è D’Alema a dare il colpo di grazia al sistema delle Primarie, criticatissime nel dibattito: «Vanno ricondotte alla scelta dei candidati per le cariche istituzionali», ma se continueranno ad essere utilizzate anche per l’elezione del segretario del Pd, «a quel punto il rischio è che nessuno si iscriva più». Critiche condivise da tanti, in quello che alla fine è risultato una sorta di ”de profundis” delle Primarie, forse la novità più rilevante emersa dal dibattito della Direzione.


GOFFREDO DE MARCHIS PER LA REPUBBLICA DEL 20/12/2008
ROMA - Può finire male, malissimo. Può finire come le sette che divise da fanatismi e gelosie affogano nel sacrificio di massa. Anche questo rischia il Partito democratico, anche questo vede nel dibattito della direzione, un dibattito vero anche se giocato tutto sul filo dell´unità e dell´emergenza, Walter Veltroni. Mai come ieri, nella breve storia del Pd, sono echeggiati i fantasmi di Ds e Margherita, che il segretario chiama in maniera sprezzante «giocarelli» mentre Pierluigi Bersani li ricorda come «radici» forti e solide. «Se torniamo indietro realizziamo un suicidio collettivo, come quello del reverendo Jones», butta lì Veltroni alle sette di sera, dopo dieci ore di discussione. Sì, proprio come la fasulla comunità religiosa di Jim Jones che organizzò in Guyana l´avvelenamento di 911 persone «contro le forze del male». Qui il male è tutto interiore e si esprime, dopo giorni difficili di sconfitte e arresti e avvisi di garanzia, in un sentimento di nostalgia per il passato, di richiamo quasi virtuoso ai partiti fondatori, di una mitizzazione dell´antico fuori luogo e dunque di una bocciatura del modello scelto da Veltroni che però alla fine spunta una tregua e il voto a maggioranza sulla sua relazione.
Il «partito ancora non c´è», dice chiaro e tondo Piero Fassino e indispettisce il leader che gli risponde più o meno: attento a come parli, «non si può mancare di rispetto a milioni di persone che votano, s´impegnano. A chi è venuto al Circo Massimo». Ma la manifestazione del 25 aprile appare lontanissima nella sala di Largo del Nazareno che si apre su una fantastica terrazza romana dove sono lasciati al freddo e al gelo i giornalisti. Sul palco si alternano i "professori" del Pd. Bacchettano Veltroni, gli addebitano «tanti errori» (Fassino), contestano un intero percorso. Naturalmente, non può non salire in cattedra il docente più implacabile, Massimo D´Alema, ormai calato nel ruolo con quelle lenti bifocali che gli scendono lentamente sul naso e lo costringono, diciamo lo costringono, a guardare tutti dall´alto in basso. La relazione va bene, ci mancherebbe, soprattutto la parte dove si individuano le scelte di programma «per sfidare il governo Berlusconi». Ma dura poco, poi scatta la matita blu, quella degli errori gravi. Il partito «è un amalgama malriuscito», l´appannamento è evidente e non diamo la colpa alle correnti che non esistono, sono un male ma almeno mettono un po´ d´ordine. Disegna un partito diverso, D´Alema, «una vera forza politica» perché oggi il modello è incerto. Un partito che trovi una proposta di governo «un´idea dell´Italia, stia attento alle primarie «perché senno a che servono gli iscritti» (e così mette in discussione la fonte di legittimazione di Walter). Spiega che oggi più che l´innovazione serve «l´autorità» e l´autorevolezza. Il colpo basso per Veltroni e per il gruppo dirigente. Poi anche lui evoca i fantasmi dei partiti che furono perché la dialettica sulla questione morale non è quella fra vecchio e nuovo ma tra onesti e disonesti «altrimenti qualcuno nel nostro mondo dice: beh torniamo al vecchio».
L´innovazione, cioè i giovani, stavolta stanno alla larga. Qualcuno parla alla troupe di Youdem, qualcun altro a Red, quasi nessuno va al microfono della direzione. Guardano sconsolati la solita classe dirigente che si confronta senza uno scontro vero, pensano «quanta ipocrisia», capiscono che è lontano il loro momento, altro che. Bersani racconta: quanto sono stato bene l´altra sera alla festa di una cooperativa emiliana. Mostravano il filmato di quando le donne furono autorizzate a condurre i trattori. «Ma l´innovazione, dove la cerchiamo? Non dev´essere giacobinismo», avverte. Fassino spiega che i 30-40enni non nascono «il 14 ottobre», giorno dell´incoronazione di Veltroni, ma sono figli di Ds e Margherita. «Né il Pd né Walter sbarcano da Marte». Francesco Rutelli sottolinea un dato: «Noi abbiamo perso per strada un terzo dei voti di Dl». La Finocchiaro cova molti dubbi: «L´innovazione va riempita di contenuti». Latorre si scusa per il pizzino «sono stato uno stupido» ma attacca.
I leader del partito-setta difendono se stessi usando il richiamo del passato. E il cattolico Giorgio Tonini che tifa per l´innovazione, il ricambio che suona come un azzeramento alle orecchie dei big, allarga le braccia: «Durante la traversata del deserto il popolo di Dio era pieno di nostalgie». Anche lui ha visto con chiarezza il diverso modello di partito illustrato da D´Alema «dove le alleanze sono centrali e dunque lo schema segretario-candidato premier può saltare». Ancora il solito duello. I giovani sono stritolati dal dibattito dei big, non sanno più con chi stare o meglio non vogliono più stare con nessuno: né dalemiani, né veltroniani, né rutelliani. In questo confronto anche vero, anche aspro, ma che secondo copione deve portare a una tregua, alcuni passaggi sono surreali. La sconfitta in Abruzzo fa capolino a malapena, ne parla Franco Marini per dire che è stato giusto dare a Di Pietro il candidato. Antonio Bassolino, con la sua grisaglia e i capelli tornati improvvisamente al colore originale, il bianco, fa un discorso in cui Napoli e la Campania, la sua Campania, sono elementi secondari. E nemmeno un accenno di autocritica. Veltroni ascolta, prende appunti, non si alza mai, dieci ore al chiodo, gioca, comunica, si svaga con l´inseparabile I-Phone. Soffre le dimissioni di Chiamparino dal governo ombra, che non si aspettava, incassa a fatica quel riferimento all´«autorità» che è indirizzato a lui. Infatti Goffredo Bettini, in maniche di camicia sulla terrazza nonostante il freddo, lo accudisce: «Devo rientrare. Con il mio fisico do autorevolezza a Walter», dice con un sorriso amaro. Fassino, Bersani danno appuntamento alla conferenza programmatica. Lì chiariremo, lì faremo «una discussione non rituale». Ma l´appuntamento è per metà marzo e allora, forse, si dirà che bisogna essere cauti perché arrivano le elezioni europee. «Troppo tardi», si lamenta Gianni Cuperlo che conosce le liturgie. Ecco, la traversata nel deserto finisce il 6-7 giugno, quando si voterà per le amministrative e per l´Europa. il momento della verità. Per il Pd e per i suoi dirigenti.

ANTONELLO CAPORALE PER LA REPUBBLICA (Un solo abbraccio per Bassolino e Jervolino)
ROMA - E come ha fatto? «Mi ha detto: "ti posso abbracciare più forte però, più forte, perché devo farti sentire il mio abbraccio"». E così, forte forte, Michele Emiliano, sindaco di Bari ed ex magistrato, ha avvinto a sé Rosa Russo Jervolino. E´ l´unica tenerezza della giornata romana, peraltro tersa e con un sole ritrovato e amico. L´unico sputo d´aria che Rosa Russo Jervolino sia riuscita a respirare tra gli amici di partito che adesso osservano e non commentano. Ma già meglio di quanto è capitato ad Antonio Bassolino, tenuto ospite, ristretto nel suo cappotto, condottiero abbattuto ma ancora in carica. Ha parlato ma non ha detto: «Pieno rispetto per la magistratura però in Campania l´emergenza è la crisi economica».
Cioè? Commento nei corridoi: «Niente, ancora niente». La malattia c´è ma il malato non lo sa. Come nella più nera corsia d´ospedale, medici al capezzale di Napoli non arrivano. Francesco Boccia, deputato, bravo a far di conto, già commissario liquidatore della disfatta del municipio di Taranto, è uno dei soccorritori attesi: «Mi è stato chiesto di entrare in Giunta a Napoli. Ma lì ha un senso solo se si azzera tutto, se si ripulisce da cima a fondo». Forse andrà. Forse. Anche Rosetta ha capito che l´impresa resta comunque titanica: «Se non riuscirò a proseguire ritornerò allegramente a fare l´avvocato».
Allegramente un corno, però. «Sono un mite, perché mi doveva capitare questo guaio?». Tino Jannuzzi porta al braccio la fascia di segretario regionale del partito: «A Rosetta Veltroni l´ha spiegato chiaro: o rinnovi tutto o prendi atto».
L´inchiesta è purtroppo agli inizi «e una valanga seppellirà Napoli e la Regione. La cordata dei peggiori si è impadronita degli uffici regionali, una fogna maleodorante. Se dovessi scrivere tutto ciò che so e che penso non basterebbe un libro, non ce la farei a racchiudere le schifezze soltanto in un tomo». Parla Alberta De Simone, scalzata dalla poltrona di presidente della provincia di Avellino da Ciriaco De Mita, segno ritorsivo del divorzio del capo dc dal Partito democratico avvenuto in campagna elettorale.
Fogne e puzza. «A noi è restata l´acqua sporca», dice Nicola Latorre. Stare alla larga dalla Campania, attenzione pericolo infezioni. «Abbattere gli accampamenti delle correnti, le tende dei padroncini, dei clan», ordina Giovanna Melandri. Fosse facile. «Lo diceva Gramsci: quando non c´è la politica a trainare un partito, esso diviene succube di cricche, logge, clan». Lo scritto è dell´anno 1932 e Massimo Brutti, parlamentare per molte legislature, ricorda perfettamente. Dario Franceschini lo convoca alla tribuna: «In Campania il presidente della commissione Affari istituzionali (dell´Udeur ndr) ha l´obbligo di dimora ed è parente di camorristi. Qualcuno gli ha mai chiesto le dimissioni? La verità è che in Campania la parola dimissioni è inpronunciabile».
Via vai, colpi di tosse, vociare mesto. Gianni Cuperlo: «C´è questo nodo sospeso dell´identità». Senza identità non esiste linea politica e senza linea non c´è autorità. Di nuovo e daccapo: se Roma dorme in provincia ciascuno fa quel che vuole, e come vuole. «Bisognerebbe smetterla con questa gente che nasce assessore e ci muore», dice Lapo Pistelli. Lui è toscano e pensa alla sua terra. «Mamma mia che pena l´Abruzzo. Leggere quelle accuse contro D´Alfonso (sindaco di Pescara e segretario regionale del Pd arrestato ndr) fa rabbrividire. La miseria delle cose, dei piccoli traffici rende ancora più disonorevole l´atto compiuto». Il deputato Giovanni Lolli parla della sua terra, l´Abruzzo.
Ognuno dunque porta la sua croce e tante sono le Campanie d´Italia. Scoprirle tutto d´un tratto non consente una digestione tranquilla. Il sole lascia Roma, la terrazza è ormai colma ai suoi argini di bicchieri di carta, il caffè caldo è finito, ma la discussione ancora no. Chiamano da Bari, forse c´è anche lì una società di Romeo che ha appaltato. Sempre lo stesso nome, e tutti a correre dietro la scrivania. Il sindaco detta la smentita. Tante città e tante croci. Quando tutto finisce, ognuno corre verso la sua. Rosetta lascia gli amici prima, torna a piazza Municipio, patibolo più che trono: «Sono stanca ma soddisfatta. E ho sentito un calore e, per dirvi, Emiliano, l´ex magistrato, mi ha abbracciato. Ma forte forte...».