Benedetto Vertecchi, Tuttoscuola 25/6/2008, 25 giugno 2008
Perché non siamo finlandesi Autore Benedetto Vertecchi E-Mail Data 25-06-08, ore 23:45:00 Articolo da "Tuttoscuola", XXXIV, 477, gennaio 2008 Il 4 dicembre l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha reso pubblici i dati della terza rilevazione Pisa (Programme for International Student Assessment)
Perché non siamo finlandesi Autore Benedetto Vertecchi E-Mail Data 25-06-08, ore 23:45:00 Articolo da "Tuttoscuola", XXXIV, 477, gennaio 2008 Il 4 dicembre l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha reso pubblici i dati della terza rilevazione Pisa (Programme for International Student Assessment). Sto sciogliendo gli acronimi perché sia chiaro di che cosa stiamo parlando: una importante organizzazione internazionale, costituita dai governi dei paesi industrializzati per promuovere lo sviluppo economico, ha ritenuto che una delle condizioni necessarie per conseguire questo obiettivo fosse una migliore qualità dei sistemi scolastici. In un primo tempo l’interesse dell’Ocse nei confronti dell’educazione si era espresso utilizzando dati forniti dai governi nazionali o derivanti da ricerche comparative condotte da Iea (International Association for the Evaluation of Educational Achievement): tali dati, opportunamente riorganizzati e rielaborati, confluivano in Education at a Glance, un annuario volto a cogliere le condizioni di funzionamento dei sistemi scolastici dei paesi membri. Poi, una decina d’anni fa, l’Ocse decise di effettuare direttamente la rilevazione dei dati relativi al profilo culturale delle popolazioni scolarizzate di quindici anni. La classe d’età fu scelta tenendo conto che, per effetto delle legislazioni sull’istruzione obbligatoria e della crescita della domanda sociale d’istruzione, le ragazze e i ragazzi quindicenni sono ancora, pressoché ovunque, coinvolti in attività educative. La classe d’età di quindici anni poteva offrire elementi per valutare da un lato i livelli di apprendimento derivanti dalla fruizione dell’istruzione di base, dall’altro il corredo di competenze nella fase dell’adolescenza che prelude al passaggio all’età adulta. E ciò anche tenendo conto dei fenomeni involutivi che si andavano manifestando per quanto riguardava la conservazione nelle diverse età della vita delle competenze alfabetiche acquisite negli anni dell’educazione scolastica. Fu elaborato quindi un programma di rilevazioni periodiche, centrato sui tre aspetti che si consideravano generalmente i più significativi nelle comparazioni dei profili culturali: la capacità di comprensione della lettura, la competenza matematica e quella scientifica. Il programma prevedeva rilevazioni ogni tre anni: ciascuna rilevazione doveva essere centrata su uno degli aspetti menzionati del profilo culturale, con richiami agli altri due. Così è stato: nel 2000 la rilevazione Pisa è stata centrata sulla capacità di comprensione della lettura, nel 2003 sulla competenza matematica e nel 2006 su quella scientifica. I dati pubblicati nel dicembre 2007 sono appunto quelli della rilevazione del 2006 (le operazioni di raccolta ed elaborazione sono particolarmente complesse). I mezzi di comunicazione (ma anche fonti istituzionali dalle quali ci si attenderebbe un maggiore sforzo di interpretazione) hanno fatto seguire la pubblicazione dei dati Pisa da geremiadi non troppo diverse da quelle che potrebbero ascoltarsi dai tifosi di una squadra di calcio dopo una sconfitta. Del resto, i commenti hanno seguito la medesima logica: poiché è facile, sulla base dei risultati, formare una classifica, tanti improvvisati commentatori si sono limitati ad osservare che in testa alla classifica, nell’ultima rilevazione come nelle precedenti, c’è la Finlandia e che gli allievi delle scuole italiane, che nella rilevazione del 2000 avevano ottenuto punteggi mediocri nelle prove di capacità di comprensione della lettura, sono precipitati nelle posizioni terminali nei risultati delle rilevazioni del 2003 e del 2006. Non è stato fatto alcun serio tentativo di capire perché la Finlandia abbia ottenuto una serie così lusinghiera di successi, né perché l’Italia una serie così mortificante di insuccessi. Molti commenti, in modi più o meno larvati, sono consistiti in richiami moralistici allo scarso impegno degli studenti o al livello scadente della capacità didattica degli insegnanti. Bastano queste banalità per spiegare la differenza tra i dati italiani e quelli finlandesi? Bisognerebbe ricordarsi che i dati delle rilevazioni Pisa non hanno un significato di per sé, ma lo assumono all’interno di una logica di sistema. La parola designa insiemi di variabili in vario modo interagenti: in altre parole, alterando il valore di una variabile, si possono osservare cambiamenti più o meno consistenti in tutte le altre. Ludwig von Bertalanffy, il grande studioso dei sistemi, osservava che è più facile accorgersi dell’esistenza di un sistema quando non funziona come dovrebbe: così normalmente non pensiamo di avere un sistema digerente, ma ne siamo immediatamente consapevoli se per qualunque ragione il nostro intestino dà segni di malessere. In questo esempio, il riferimento è ad un sistema naturale, ma lo stesso vale se ci si trova di fronte ad un sistema culturale: così ci preoccupiamo del servizio postale se il plico del quale siamo in attesa tarda ad esserci recapitato. La scuola è un sistema culturale il cui funzionamento non soddisfa le esigenze del pubblico. Ma ciò vuol dire che le variabili da prendere in considerazioni sono tutte quelle che in qualche modo concorrono a definire le condizioni in cui le scuole operano. Se si confrontano i risultati delle scuole italiane con quelli delle scuole finlandesi non ci si può limitare ad osservare che i risultati della Finlandia sono i migliori del mondo e i nostri competono per l’ultimo posto. Dobbiamo leggere l’imponente rapporto pubblicato dall’Ocse per ricavarne gli elementi necessari a capire come funzionino i due sistemi scolastici. Mi limito a segnalare un solo aspetto: in ogni paese le differenze fra i risultati possono essere spiegate in parte considerando le diverse caratteristiche personali degli allievi, in parte i modi in cui in ogni scuola si provvede ai compiti didattici. Si tratta di vedere, paese per paese, quanta parte di queste differenze siano dovute alle caratteristiche degli allievi (varianza entro le scuole) e quanta parte alle condizioni in cui localmente si provvede all’istruzione (varianza fra le scuole). Anche se non si può escludere nei tempi lunghi una riduzione della varianza entro le scuole (è questo, per esempio, un traguardo perseguito attraverso l’individualizzazione della proposta di apprendimento), in qualche misura le differenze tra gli allievi debbono essere considerate conseguenza di caratteristiche che oltre una certa misura non è pensabile possano essere eliminate. Diverso è il discorso se ci si riferisce alla varianza tra le scuole, che è indice di una diversa capacità di far fronte al compito educativo. In Finlandia, le differenze nei risultati sono quasi totalmente spiegabili richiamando le differenti caratteristiche degli allievi, mentre è del tutto trascurabile la varianza fra le scuole. In altre parole, ciò significa che andare a scuola al centro di Helsinki o alla periferia di Turku non comporta alcuno svantaggio dal punto di vista del risultato potenzialmente conseguibile. In Italia, invece, una buona metà delle differenze sono spiegate dalla varianza fra le scuole: frequentare una scuola invece di un’altra modifica le opportunità di successo. Ma non è questa la sola ragione che ci impedisce (ovviamente dal punto di vista scolastico) di considerarci finlandesi: ciò che accade nella scuola può essere solo in parte considerato l’effetto dell’attività che la scuola ha esplicitamente e consapevolmente sviluppato. In una parte per nulla secondaria, i risultati dell’educazione scolastica sono da riferirsi (ancora una volta, occorre una interpretazione di sistema) alle interazioni culturali che si stabiliscono col contesto sociale. E certamente il credito di cui gode la scuola e l’attenzione verso la conoscenza e la ricerca in Italia sono ben lontani dai livelli finlandesi.