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 2008  giugno 19 Giovedì calendario

I venerati maestri del verso inutile. Libero 19 giugno 2008 «Si diventa adulti quando si smette di scrivere poesie» disse Friedrich Nietzsche

I venerati maestri del verso inutile. Libero 19 giugno 2008 «Si diventa adulti quando si smette di scrivere poesie» disse Friedrich Nietzsche. Non ho mai nascosto di detestare i poeti contemporanei, grandi o piccoli che siano. una categoria che odio. I poeti affermati vivono a sbafo degli aspiranti poeti, che li pagano per scrivere prefazioni, pagando pure l’edi tore che li stampa. Non sono mai capitato in una provincia senza trovarne branchi che ti si attaccano addosso come sanguisughe, da Busto Arsizio a Lecce, dove mi capitò perfino di salire nella macchina di uno che metteva le sue poesie registrate nell’au toradio e non potevo certo buttarmi in corsa. Sono quelli che ti chiedono ancora: «Scrivi in prosa o in versi?», come chiedere a uno: «Sei vivo o morto?». Sono tutti velleitari, dannosi, petulanti, sempre cattolici e spiritualisti, neoplatonici e omeopatici, e sempre troppo tristi o troppo allegri, e soprattutto pensano di essere qualcosa prendendo la scorciatoia dei versi, incapaci di produrre un romanzo, capaci solo di quella scorciatoia espressiva a buon mercato senza neppure avere un mercato. Ecco perché non dirò una parola sui poeti raccolti nell’antologia "Stella Polare" , edita da Città Nuova , ecco perché tuttavia non posso non parlarne, essendo detta antologia curata da Davide Brullo, l’unico poeta che io conosca e riconosca, anche perché non è un "poeta" ma uno scrittore sapienziale e violento, che traduce la Bibbia da pari a pari e la coniuga una religiosità primitiva e una distruttività sadiana e un nichilismo sacrale mai letti, che scarnifica le parole nel caos più che in un supposto ordine, che ha scritto libri potentissimi come "Annali" e "Il lupo", che non ha padrini né è diposto a alcun tipo di compromesso estetico, e la cui introduzione vale già l’acquisto del libro. Perché riporta la poesia, ma in generale tutta la letteratura che conta al di là di versi e versetti (cita Cervantes e il Tristam Shandy, l’Ulisse di Joyce, il Primo testamento e il Virgilio di Hermann Broch, Kafka e Melville), a domande assolute, leopardiane, non certo firmando un’introduzione inerte che infiocchetti e separi la letteratura dalla realtà e dall’assoluto, o per assolvere un gruppetto di anime belle. Al contrario per chiedersi, per esempio, «perché si nasce per dover morire?», e «perché si nasce per soffrire?». La poesia terminale di Davide Brullo Scrive una densa introduzione affermando che «la poesia ha in sé qualcosa di terminale», concependola come forma di resistenza al nulla e riconoscendone il vuoto intorno, rendendola "interessante" per questo. Sceglie poeti di qualità, mi fido ciecamente, non certo quelli che ho incontrato io in giro per l’Italia, eppure non li benedice, anzi li spinge sull’orlo del baratro e poi giù, per non lasciarli guardare su né coltivare l’illusione di eternarsi o salvare il mondo, piuttosto circoscrivendoli in un valore estetico, non salvifico bensì illusorio, resistenziale. Davide Brullo non vi imbroglia sulle aspettative (tranne quando dice «questo lavoro non ha l’ambizione di dimostrare l’intelligenza del curatore»), piuttosto raccoglie i migliori poeti tra i giovani (Pierluigi Cappello e Simone Cattaneo, Isacco Turina e Federico Italiano e Isabella Leardini) come un raffinato entomologo le sue farfalle, inchiodandole sulle pagina con spilli che non lascino false speranze neppure a loro, perché la speranza è terribile, come diceva Pier Paolo Pasolini, il quale fu anche poeta, e come sa bene Brullo. E Brullo, già che c’è, stigmatizza «il ristretto, claustrofobico mondo della poesia fatto da poeti ben poco poetici che passano il tempo a curare il proprio giardin all’inglese, e guai a chi vi passeggia senza chiedere il permesso, sciupando quello o quell’altro filo d’erba», i quali rispetto ai poeti conosciuti da me devono essere gli overground, che è sempre underground rispetto all’overground della letteratura che conta ma più overground dei milioni di aspiranti poeti autostampati e spesso autorecensiti dagli stessi prefatori pagati per farlo. La tragicità irredenta di Brullo, in forma di prolusione, restituisce invece un senso tragico anche versi come «File di pioppi nel silenzio atomico. Dalla disadorna/ anemia delle erbe/ sale il Te Deum, la lode» che a me farebbero solo dormire, altro che lode. Perché no, «non ci si nasconde più dietro le gambe del nonno, dietro la mascherata veneziana della letteratura» e «non è più l’epo ca dei giochi e dei luna park». insomma il "senso delle cose" la domanda centrale di tutta la filosofia e la letteratura occidentale, da Sade a Flaubert a Kafka a Proust e retrocedendo fino all’Antico Testamento. Circoli letterari e amici scrittori Così Brullo è spesso elogiato e frainteso da circoli letterari religiosi e da critici più o meno esoterici, scambiato per fratello da chi Brullo stesso sarebbe pronto a assassinare, quando casomai è un virus nella metafisica dell’ordine e del "bello" rassicurante, un tarlo del vitalismo gioioso, e perfino nel curare un’antologia seleziona, viviseziona, affronta e sprofonda nel tema per eccellenza, quello della mortalità umana e della mortalità della poesia stessa, perché «ogni cosa lo è», e anche «gli dèi, che nel mondo greco classico sono soggiogati dal "destino di morte"». Brullo dà un significato estremo alla poesia proprio su questo limite terminale, seguiranno le poesie dei poeti, ma intanto mette il lettore sulla buona strada, che non è per niente "buona", togliendo terreno sotto ai piedi di qualsiasi cosa affinché non si volga al cielo ma alla morte e al nulla che la cancella, perché «la poesia procede per interrogativi primi. E non risolve nulla. Il resto è ornamento». Massimiliano Parente