Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 2/7/2008, 2 luglio 2008
MILANO
Tagli da un quarto a quasi la metà di uno dei capitoli di spese «vive» della giustizia, ulteriore riduzione del 10% negli organici già in sofferenza di cancellieri e magistrati, semiblocco del turnover: tra tante leggi che Berlusconi dice di stare varando «nell’interesse dei cittadini» e «per far funzionare meglio la giustizia », ce n’è una di cui l’asserita bontà per la collettività non viene sbandierata dal governo, e curiosamente neppure avversata dall’opposizione o pubblicamente discussa da magistrati e avvocati. Eppure, a regime, fermerà più processi questo pacchetto di norme che la legge «blocca processi» o l’immunità del lodo Alfano. Solo che, per accorgersene, bisogna addentrarsi nei meandri della manovra finanziaria portata il 18 giugno in Consiglio dei ministri da Tremonti e approvata, secondo il suo soddisfatto conteggio, «in 9 minuti e mezzo».
L’attuale testo, infatti, nel calare la scure del risparmio sui vari ministeri impone un taglio annuale ai «consumi intermedi» anche del ministero della Giustizia del 22% nel 2009, che diventerà del 30% nel 2010 e addirittura del 40% nel 2011. E se l’espressione «consumi intermedi» non fa subito capire di che si tratti, in realtà è il capitolo di bilancio che paga le spese di ufficio, acqua, luce, gas, cancelleria, fotocopie, assistenza informatica unificata, benzina, auto, armadi e tavoli. Un capitolo dell’amministrazione giudiziaria che già dal quinquennio berlusconiano 2002-2006 uscì letteralmente dimezzato, e che anche per il 2008 in corso risentirà della contrazione del 30% licenziata dal governo Prodi.
Sui vari organici ministeriali, poi, il decreto Tremonti prevede una nuova riduzione del 10% (che peraltro pare non contemplare deroghe anche per i magistrati, con ciò vanificando la potenziale boccata d’ossigeno del maxiconcorso per 500 nuovi posti).
E a rendere ancora più pesante questo taglio del 10% al personale (specie quello amministrativo) sono le restrizioni al turnover. Rispetto al totale di chi lascerà il lavoro (ogni anno da 800 a 1.000 cancellieri, che sono già «dimagriti» di 3.000 unità negli ultimi anni; e da 150 a 200 toghe, che sono già 1.034 sotto organico) potrà essere assunto solo il 10% nel 2009, il 20% nei due anni successivi, e il 50% nel 2012. E non si capisce come alla combinazione delle due norme, che si aggiunge alla sparizione delle 2.800 assunzioni di cancellieri che il governo Prodi prospettò ma non seppe portare a termine, potrà reggere un sistema che oggi convive con scoperture medie nell’organico dei cancellieri del 12,5%, che salgono al 20% in regioni come la Lombardia e toccano il 30% reale in molti uffici giudiziari del Nord. Al punto che già oggi, e da anni, sono molte le città dove i presidenti di Tribunale o Corte d’appello sono costretti a prendere atto della mancanza di personale amministrativo, e quindi a emanare circolari che certificano la resa a processi «contingentati» perché celebrabili soltanto fino alle due del pomeriggio. Afona sul punto l’opposizione, tacciono sinora anche gli avvocati, che pure si troveranno sempre più a spiegare ai loro clienti l’impossibilità di far valere i propri diritti in Tribunali al collasso. E persino i magistrati, al momento, nella manovra Tremonti scorgono soltanto il taglio dei loro stipendi, implicito nello slittamento degli scatti da biennali a triennali.
Eppure, sebbene meno appariscenti della legge blocca-processi o di quella sull’immunità per le cariche istituzionali, l’impatto indiretto di queste norme «finanziarie» rischia di dare il colpo del k.o. a una macchina giudiziaria che già oggi, con l’attuale sottodotazione, boccheggia. E chissà come questa parte della manovra Tremonti potrà convivere con i progetti di accelerazione del processo civile che il Guardasigilli, in parte sulla scia di iniziative già avviate nella precedente legislatura, ha appena esposto in un disegno di legge: promettente, ma non calendarizzato a razzo con corsie preferenziali in Parlamento, diversamente dalle norme la cui «urgenza » va di pari passo con le ricadute sui processi del premier.
Luigi Ferrarella