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 2008  giugno 29 Domenica calendario

Pd, un solo partito quattro casseforti. La Stampa 29 giugno 2008 Nessuno li ha visti. Nessuno ne ha saputo nulla

Pd, un solo partito quattro casseforti. La Stampa 29 giugno 2008 Nessuno li ha visti. Nessuno ne ha saputo nulla. Ma lunedì 23 giugno, sul far della sera, in venti sono saliti all’ultimo piano del palazzo che per anni ha ospitato la Margherita e che da qualche settimana è diventato la sede del Pd. I venti erano guidati da Francesco Rutelli e si sono ritrovati lassù all’attico per una ragione a prima vista sorprendente: approvare il bilancio del loro ex partito, la Margherita-Dl. Certo, nel 2007 i "dielle" erano ancora attivi, ma la bizzarria sta nel fatto che quella riunione ”carbonara” è destinata a ripetersi anche nei prossimi anni. Perché la Margherita - sebbene si sia sciolta per dar vita al Pd - continua a sopravvivere. O meglio: ha una ”doppia vita”. Così come continua ad averla la Quercia. E la doppia vita dei due ex partiti è figlia di altre bizzarrie, altrettanto sorprendenti. Margherita e Ds, pur confluiti nel Pd, continuano a ricevere separatamente un impressionante fiume di denaro pubblico (per il 2007, 25 più 35 milioni di euro, quasi 120 miliardi di vecchie lire) che amministrano per conto proprio. I due ex partiti ricevono soldi dallo Stato - e qui sta la terza bizzarria - come contributi elettorali per una legislatura (la precedente) che è morta politicamente nell’aprile 2008 ma che finanziariamente prosegue, come se nulla fosse fino alla scadenza ”naturale”. Proprio così: tutti i partiti presenti in Parlamento nella precedente legislatura continueranno a ricevere palate di soldi pubblici (rate da 100 milioni di euro l’anno) sino alla conclusione teorica della legislatura, il 2011. Fondi che si sommano a quelli spettanti per la legislatura in corso, 100 milioni euro l’anno fino al 2013. E a questa montagna di soldi si sommano - sbalordisce ma è così - rate da 100 milioni di euro l’anno come "rimborsi elettorali" per le Europee e le Regionali. E la bizzaria che tutte le compendia è un’altra ancora: alla fine il Pd si ritrova con quattro casseforti. La propria, con tesoriere Mauro Agostini, vicino a Walter Veltroni. Quella dei Ds, tesoriere Ugo Sposetti, vicino a Massimo D’Alema. Quella della Margherita, tesoriere Luigi Lusi, vicino a Francesco Rutelli. E infine la quarta, una Fondazione-madre di tante fondazioni locali ex ds (commissario liquidatore sempre Sposetti), messe su per amministrare - per conto proprio - l’eredità del Pci-Pds-Ds, quel che resta dell’esteso patrimonio accatastato grazie ai rubli sovietici, al sudore, alle sottoscrizioni di milioni di militanti comunisti sotto la guida di Togliatti, Secchia, Longo, Berlinguer. E dunque case del popolo, sezioni, appartamenti, negozi, ma anche quattrocento dipinti donati al Pci da artisti come Renato Gattuso, Piero Dorazio, Alberto Sughi. Certo, il paradosso delle quattro casseforti potrebbe spiegarsi con la straordinaria velocità del processo costituente del Pd. Ma ci sono tanti ma. Il primo: l’autonomia finanziaria dei vecchi partiti potrebbe alimentare tentazioni autarchiche. Lunedì scorso l’amministratore della Margherita Luigi Lusi, illustrando ai pochi intimi dell’ Assemblea Federale la relazione al bilancio, ad un certo punto ha annotato: «La Margherita ha cortesemente messo a disposizione del Pd quasi l’intera struttura e il personale», prestiti ai quali si immagina di porre rimedio con «un idoneo contratto di locazione tra la Margherita (nel ruolo di locatore) e il Pd nel ruolo di locatore». Certo, l’ex partito di Rutelli spende per la sede romana di via Santa Andrea delle Fratte 850mila euro l’anno, ma il linguaggio da agenzia immobiliare a tutto fa pensare tranne che a due partiti che dovrebbero essere già una cosa sola. L’amministratore dei ds Ugo Sposetti (che risponde al cellulare dal consiglio comunale di Viterbo, dove non ha abbandonato il ruolo di capo oppositore) nega qualsiasi problema: «Contenziosi tra Ds e Margherita? Tra i parititi di orgine e il Pd? Non esistono. Lusi sta solo difendendo il suo». Si minimizza forse perché all’origine di questa frantumazione delle risorse che finisce per danneggiare il Pd, sta una lunga pagina di storia politica finora mai raccontata da nessuno studioso. Dopo aver messo su dal 1943 una organizzazione pesante, fondata su migliaia di funzionari, il Pci si ritrovò nel 1989 davanti ad una doppia "bancarotta": politico-ideale e finanziaria. Per tamponare l’enorme buco riuscì a coinvolgere gli altri partiti in una legislazione ”assistenzialista” che, tra l’altro, istituiva gli stipendi ai consiglieri di circoscrizione, le pensioni agli ex dipendenti, leggi e leggine ad hoc. Il buco restava imponente, si architettò un rientro complesso, la ”vendita” forfettaria del debito ad alcuni imprenditori grazie alla mediazione di un consorzio di banche. «Ma nel 2001 - come racconta Sposetti - alla fine della segreteria Veltroni ai ds, il debito restava ancora di mille miliardi di lire». Grazie alla proverbiale capacità di Sposetti il buco si colma, ma al momento della nascita del Pd (ottobre 2007), i Ds decidono di non ”esportarlo” nel nuovo partito. Provano ad asciugare il buco in proprio sul bilancio ds. E mettono "in salvo" il patrimonio immobiliare, che per quanto possa essere gravato da ipoteche, un giorno potrà tornare utile, non si sa mai. Con effetti buffi. Racconta Paolo Giaretta, segretario regionale del Pd veneto: «Poiché case del popolo e sezioni un tempo del Pci-Pds sono finite alla Fondazione, alcuni vecchi compagni che le hanno ”create” nei decenni scorsi, ora dicono: per venire qui dentro quelli del Pd devono pagare l’affitto! Naturalmente anche loro, i vecchi compagni, sono iscritti al Pd...». E al Pd che dicono? Il tesoriere Mauro Agostini mostra un aplomb anglosassone: . Agostini non lo dice, ma il senso delle sue parole è chiaro: fino ad oggi i "partiti-genitori" non ci hanno trasferito neppure una monetina da 50 centesimi. «Il partito a cui penso è fatto di associazioni basate sui saperi e fatto di persone portatrici di domande ed esperienze, invece nel Pd quello delle correnti è uno sport molto diffuso e praticato dagli affezionati del genere». Walter Veltroni parlando all’assemblea degli Ecodem affronta così il tema delle correnti nel Pd, dopo il caso creato da Red, l’associazione di Massimo D’Alema. Veltroni mostra di non volersi far trascinare da questo dibattito: «Non farò come quei segretari di partito che in tutte le occasioni invece di parlare di A parlano di B, cioè della situazione politica e dei nostri compiti». Quindi agli ecologisti Realacci, Vigni, Della Seta, riuniti largo del Nazareno dice: «Mi fa piacere che abbiate specificato che non siete una corrente, uno sport molto diffuso e praticato dagli affezionati del genere, ma un luogo di produzione di idee, perchè così contribuirete alla crescita del Pd». ROMA In casa Ds l’idea è scattata un anno fa, quando si è capito che il progetto del Partito democratico era diventato ineluttabile: tante Fondazioni, regionali e provinciali, per mettere in «salvo» il patrimonio tangibile e quello simbilico ereditato dal Pci e restato in proprietà ai Ds. Un’eredità che dunque non è stata trasmessa al Pd. E così, dall’estate scorsa, è iniziato un difficile lavoro di inventario perché i Ds ingnoravano non solo il complesso del proprio patrimonio, ma in alcuni casi era difficile risalire ai proprietari dei beni. Un lavoro imponente, condotto sotto la regia del commissario liquidatore. il sessantunenne viterbese Ugo Sposetti, un comunista all’antica, per il quale il partito viene prima di tutto e con una capacità proverbiale di ridurre il deficit dei Ds. Alla fine sono stati catalogati 2400 immobili (appartamenti, sezioni, palazzi di pregio, ma anche il mausoleo del Verano che ospita le salme dei padri del Pci), cimeli di straordinario valore affettivo e storico (bandiere, manifesti), ma anche una collezione artistica di un certo valore. Si tratta di 410 pezzi, tra opere e grafiche e dipinti, donati da artisti vicini al Pci. E dunque, tra gli altri, c’è un famoso quadro di Renato Guttuso (I funerali di Togliatti), ma anche opere di artitisti di valore come Piero Dorazio, Carla Attardi, Alberto Sughi, Bruno Munari. Le Fondazione amministreranno questo patrimonio senza doverne rispondere politicamente a nessuno, se non ai propri consigli di amminstrazione. FABIO MARTINI