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 2008  giugno 26 Giovedì calendario

Morti bianche per troppa burocrazia. Panorama 26 giugno 2008 «Troppe norme e troppa burocrazia: è questo il principale buco della legislazione italiana in materia di infortuni sul lavoro»

Morti bianche per troppa burocrazia. Panorama 26 giugno 2008 «Troppe norme e troppa burocrazia: è questo il principale buco della legislazione italiana in materia di infortuni sul lavoro». Può sembrare un ossimoro, una contraddizione, e invece è proprio questa l’emergenza da affrontare per evitare altre tragedie come quelle costate la vita ai sei operai soffocati l’11 giugno nel depuratore di Mineo, in Sicilia. O come la fine, una manciata di ore dopo, dei due muratori egiziani, entrambi irregolari, precipitati da un’impalcatura a Settimo Milanese. Lo scrive nelle conclusioni della sua ricerca Ernesto Savona, professore di criminologia e direttore di Transcrime delle Università di Trento e Cattolica di Milano (Joint research centre on transnational crime), che ha esaminato l’andamento e le modalità degli infortuni sul lavoro in Italia dal 2002 al 2006 e in Europa nel decennio 1995-2005. Lo studio, che esce in questi giorni nelle librerie per l’editore Franco Angeli, pone in evidenza il calo degli incidenti sul lavoro nel nostro Paese: all’inizio del periodo preso in esame i morti erano stati 1.082, scesi in un quinquennio a 1.075, con una diminuzione del 5,7 per cento (tabella a pagina 58). In totale gli infortuni (l’Inail definisce così le ferite e le contusioni che hanno avuto una prognosi superiore a 3 giorni) assommavano a 920.299 nel 2002 e a 835.956 nel 2006, con una riduzione del 9,2 per cento. Da sottolineare che il calo è ancora più significativo se si considera che nello stesso periodo c’è stato un aumento dell’occupazione. Un calo ottenuto anche grazie al fatto che dal 2003 al 2005 la porzione di spesa pubblica destinata alla prevenzione è cresciuta, pur solo dello 0,9 per cento. «Si tratta, comunque, di numeri preoccupanti e gli incidenti devono essere ridotti, però va detto che dal confronto con i 15 paesi dell’Unione Europea prima dell’allargamento l’Italia risulta in linea con il dato medio europeo» precisa Savona, con il quale hanno curato il volume due ricercatori in sociologia della devianza, Andrea Di Nicola e Barbara Vettori, il primo coordinatore della sede di Trento di Transcrime, mentre la collega coordina l’équipe di Milano. «Nella Ue gli infortuni totali sul lavoro sono in costante diminuzione» è scritto nella ricerca. Il calo è stato del 27,4 per cento in 10 anni e ancora più elevata (meno 37,8 per cento) risulta la riduzione delle morti sul lavoro. In questo studio l’Italia compare al quinto posto (meno 45,8 per cento nel decennio 1995-2005), dietro Grecia, Belgio, Spagna e Lussemburgo. « tuttavia nei paesi del nord dell’Ue che si registrano meno infortuni mortali» perché «qui già da tempo si attuano politiche nazionali efficaci di promozione della salute e della sicurezza sul lavoro come parte del sistema di welfare». Ma quali sono i settori più a rischio, quali le categorie maggiormente esposte? Savona e i suoi collaboratori, per quanto riguarda la nostra realtà, descrivono due profili: per gli incidenti mortali la maglia nera spetta al settore delle costruzioni, alle aziende artigiane e ai lavoratori autonomi. E, in questo contesto, gli ultrasessantaquattrenni e gli extracomunitari hanno maggiori probabilità di riportare lesioni letali. Per quanto attiene invece agli infortuni in generale, l’insicurezza è prerogativa dell’attività agricola e delle imprese artigiane, e più a rischio sono i dipendenti delle aziende di medie dimensioni, quelli tra i 15 e i 34 anni, specialmente se extracomunitari. «Dobbiamo pensare fin da subito a cosa accadrà per l’Expo milanese del 2015» ammonisce Savona. «In breve tempo e in poco spazio si potrebbe concentrare moltissima manodopera illegale. Bisognerà aumentare i controlli e pensare di escludere quelle imprese che non applicano i sistemi di prevenzione. Il lavoro nero non è di per sé sinonimo di maggiori infortuni, quanto di disinformazione e non formazione. Bisognerebbe che le aziende trovassero più conveniente avere alle dipendenze persone formate in materia di sicurezza, fare in modo che minori incidenti si traducano in vantaggi per gli imprenditori». Nel 2006, ogni 100 morti sul lavoro 89 si sono verificati nel settore dell’industria e dei servizi (il 30 per cento dei quali nelle costruzioni) e 11 in agricoltura. «Si scostano dalla regola nazionale Nord-Ovest e Centro Italia: qui il tasso di infortuni mortali è più elevato nell’agricoltura» e la ragione è da far risalire per il Centro (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) «alle caratteristiche montuose del territorio, che rendono più insidiose le attività agricole rispetto a quelle che vengono svolte nei cantieri. Per il Nord-Ovest il più basso tasso di infortuni mortali nelle costruzioni, rispetto al settore agricolo, è probabilmente dovuto all’effetto delle campagne di prevenzione che sono nate in questa zona d’Italia, in particolare in Lombardia e Piemonte». Il settore delle costruzioni è quello con la più alta percentuale di lavoratori irregolari, la cui presenza nel Mezzogiorno è cresciuta dell’1,3 per cento tra il 2000 e il 2006, a fronte di una riduzione del 6,7 per cento nel Centro-Nord. Dunque «non è un caso che nel Sud il tasso di infortuni mortali nelle costruzioni sia dell’1,6 per cento superiore a quello dell’agricoltura». «Il tasso di infortuni totali nelle imprese artigiane è di 0,101 ogni 1.000 addetti, in quelle non artigiane è 0,041. Questo significa che l’incidenza di infortunio di quanti lavorano nelle prime è 2,5 volte superiore rispetto a quella di chi è impiegato nelle seconde» dice il rapporto. Con l’esclusione del Sud e delle isole maggiori, i lavoratori autonomi e le imprese con al massimo 15 addetti registrano tassi di infortuni mortali pari rispettivamente a 0,084 e 0,073 ogni 1.000 occupati.  proprio qui che la complessità normativa manifesta con maggiore evidenza la propria inefficacia. Le imprese artigiane, quasi tutte di piccolissime dimensioni e presenti in modo massiccio nei settori più rischiosi, di fatto non fanno prevenzione e sfuggono ai controlli. «Quando ci sono troppi oneri, alla fine è come se non ce ne fosse nessuno» chiosa Ernesto Savona. Guardando all’esperienza dei paesi scandinavi, che hanno semplificato sia il sistema fiscale sia, appunto, quello in materia di prevenzione infortunistica, Savona guarda con favore alla «deregolazione» annunciata dal neoministro del Lavoro Maurizio Sacconi. «Bisogna vedere in quali termini però è certo che da noi ci sono troppe leggi e troppe autorità che le amministrano. Un sistema di oneri formali, per cui i corsi vengono svolti poco e male e alla fine nessuno paga. O meglio: tutto viene scaricato sull’Inail e, di fatto, dunque siamo tutti noi che paghiamo». Alla «emersione mediatica» della materia plaude comunque Remo Andreolli, assessore alle Politiche per la salute della Provincia autonoma di Trento, che ha promosso la ricerca ora pubblicata con il titolo Gli infortuni sul lavoro, dall’analisi delle cause alla loro prevenzione. Focalizzando il periodo più recente preso in esame dallo studio, si vede che nel 2006 l’incidenza di infortuni sul lavoro per un uomo è doppia rispetto a quella per una donna, mentre su 100 morti bianche circa 96 sono di maschi e 4 di femmine. La classe di età con maggiore frequenza è quella tra 15 e 35 anni (che comprende 43,3 lavoratori ogni 1.000 occupati), e questo probabilmente «per la scarsa esperienza e attenzione dei più giovani, che vengono impiegati nei settori di attività più pericolosi dove sono richieste prestanza e agilità fisica». A morire, però, nel 2006 sono stati soprattutto (per il 65,9 per cento dei casi) lavoratori tra 35 e 64 anni, perché più rappresentati nel mondo produttivo. PAOLA CICCIOLI