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 2008  giugno 27 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 30 GIUGNO 2008

Emanuela Orlandi nacque il 14 gennaio 1968, quarta figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, Ercole Orlandi, morto nel 2004. [1] L’ultima volta che vide la figlia fu il 22 giugno 1983. Daniele Mastrogiacomo: «Lungo la strada che la porta dal Vaticano, dove viveva con il padre, la madre, una sorella e un fratello, alla scuola di musica di Sant’Apollinare, viene avvicinata da qualcuno a bordo di una Bmw verde. Le viene proposto un lavoro: distribuire dei volantini per conto di una nota industria di cosmetici. Emanuela è attirata dall’offerta. Accetta, anche perché il lavoro è semplice e ben retribuito: 375mila lire per qualche pomeriggio da passare in mezzo a sfilate di moda e indossatrici. Ma prima vuole chiedere il permesso ai genitori. Chiama a casa, risponde la sorella che la dissuade. l’ultimo contatto che ha con la famiglia». [2]

La Orlandi scomparve senza lasciare tracce. Mastrogiacomo: «Il 25 giugno, 3 giorni dopo la sparizione, arriva una telefonata importante. Quella che aprirà la prima delle tre piste battute poi dagli inquirenti. Un tale Pierluigi assicura che la sua fidanzata ha incontrato per strada, vicino a Campo de’ Fiori, due ragazze; una, che si faceva chiamare Barbara, ma assomigliava moltissimo alla foto di Emanuela. I genitori non si fidano, gli chiedono altri particolari. Pierluigi aggiunge un dettaglio che può sapere solo chi conosce Emanuela: è astigmatica e porta degli occhiali a goccia». [2]

Quattro giorni dopo telefona un certo Mario. Mastrogiacomo: «Dice di aver incontrato Barbara e spiega che la ragazza non ha alcuna intenzione di tornare casa. Poi cessano le telefonate. Fino al 5 luglio. Questa volta chiamano direttamente alla sala stampa del Vaticano. Ma la voce è quella di un uomo, con un forte accento straniero. Dalle cronache dell’epoca verrà ribattezzato l’’Amerikano”». [2] Questo personaggio fece 16 telefonate, in prevalenza da cabine telefoniche dell’Appio Latino. Rita Di Giovacchino: «La polizia mise fuori uso molte cabine, disseminò la zona di volanti, si disse che l’uomo sfuggì per un soffio alla cattura. Il direttore del Sisde Vincenzo Parisi fece un’identikit del ”Amerikano”, tenuto all’epoca nascosto, dove per la prima volta veniva fatto il nome del cardinale Paul Marcinkus, presidente dello Ior. Sembra in realtà si trattasse di un agente segreto poi identificato». [3]

La fase dell’Amerikano fu spiegata con il tentativo di fare pressione sul Vaticano perché si decidesse a risolvere il «problema» della «pendenza» dei 450 e passa milioni di dollari, conseguenza del crack dell’Ambrosiano di Calvi. Francesco La Licata: «In agosto la ”pendenza” fu appianata con un accordo sul pagamento di 300 milioni di dollari. L’’Amerikano” non telefonò più e la storia di Emanuela scomparve dai giornali». [4] Otello Lupacchini, giudice istruttore al processo alla banda della Magliana, e giudice per le indagini preliminari al processo sulla morte di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano: «Il quadro sarebbe questo: Cosa Nostra investe denaro nelle spericolate operazioni finanziarie di Roberto Calvi. Calvi muore a Londra (giugno 1982) e i soldi diventano non più esigibili. Un’organizzazione che controlla il territorio come la banda della Magliana, a questo punto, può effettuare il sequestro della figlia di un dipendente vaticano o può decidere di ”gestire” il sequestro. Il Vaticano, tramite lo Ior diretto da monsignor Marcinkus, aveva investito copiosi capitali nell’Ambrosiano. Il sequestro poteva essere un modo, da parte della banda della Magliana per conto della mafia, per ricattare, per rivalersi su una sorta di ”socio” del debitore Calvi». [5]

Il 20 novembre 1984 i Lupi grigi, movimento estremista nazionalista turco indicato come mandante dell’attentato a Giovanni Paolo II, dissero di avere in ostaggio sia Emanuela Orlandi che Mirella Gregori, altra ragazza di 15 anni scomparsa a Roma il 7 maggio 1983 (forse sequestrata per fare una prova generale). [6] Il processo sul caso Orlandi si chiuse il 19 dicembre 1997. Di Giovacchino: «Nessuna prova del complotto terroristico». [3] Di Emanuela Orlandi non si seppe più nulla fino al 2005. Mastrogiacomo: «Alla redazione di Chi l’ha visto? arriva una telefonata anonima. Dice che per risolvere il caso bisogna andare a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Il misterioso defunto è Enrico De Pedis, detto ”Renatino”, il capo della Banda della Magliana assassinato da due sicari della fazione opposta». [2]

Due ore dopo la scomparsa, la famiglia Orlandi era già al distretto di polizia per la denuncia. Natalina Orlandi, sorella di Emanuela: «Ci convocarono il giorno dopo e ci trovammo davanti ad un identikit che era stato disegnato con il contributo decisivo del vigile urbano in servizio vicino al Senato. Aveva visto mia sorella mentre parlava con un uomo a bordo di una Bmw. Quando è apparso il profilo, il poliziotto ha avuto un sussulto. Ha esclamato: ”Ma questo è De Pedis”». [7] Giulio Gangi, agente operativo dei servizi segreti civili, partito dal fatto che di Bmw ”verde tundra” ce n’erano pochissime arrivò forse a un passo dalla soluzione del caso. Massimo Martinelli: «Un meccanico del quartiere Vescovio ne aveva riparata una appena pochi giorni prima; non aveva guasti meccanici ma un danno di carrozzeria. Precisamente un finestrino rotto, quello anteriore lato passeggero. Ed era stato frantumato dall’interno verso l’esterno, come se qualcuno avesse dato un colpo violento per fuggire». [8]

Saputo che la macchina era stata portata da una bionda, Gangi la rintracciò al residence Mallia. Martinelli: «Fu parecchio aggressiva. Chiese di essere lasciata in pace, disse che non doveva dare spiegazioni a nessuno. Gangi provò a forzare la mano, le rispose che in ogni caso sarebbe stata convocata in Questura. Poi fece per allontanarsi, ma fu preceduto dalla collega che lo aveva accompagnato con una macchina di servizio, una Fiat Panda color avana, con la quale entrò nel cortile. Fu allora che, con ogni probabilità, la donna bionda annotò la targa della macchina, che era intestata ad una società di copertura del Sisde, la Gattel. E questo le fu sufficiente per dimostrare all’agente Gangi tutta la sua capacità di liberarsi dagli scocciatori: quando la Panda arrivò a piazza della Libertà, più meno dopo mezz’ora, Gangi fu chiamato dal suo caposezione, che gli chiese come si fosse permesso di andare a disturbare una persona così legata a personaggi altolocati. E lo invitò a non seguire più quella vicenda». [8]

Titolo del Corriere dello Sport del 16 giugno 1979: «Si sposa il re del gol». Lui era Bruno Giordano, centravanti della Lazio, capocannoniere del campionato appena concluso, lei Sabrina Minardi. Nel 1981 ebbero una figlia, Valentina (la sera dello scorso 22 maggio era sulla Mercedes guidata dal fidanzato Stefano Lucidi che non fermandosi a un rosso di via Nomentana ha ucciso due ragazzi su uno scooter). Fabrizio Caccia: «Il matrimonio, dopo poco, entrò in crisi. Ma il fatto è che la moglie ormai si era abituata: al lusso, alla bella vita, allo champagne». [9]

Nella primavera dell’82 Sabrina conobbe De Pedis a un tavolo de La Cabala, mitico pianobar vicino piazza Navona. Caccia: «Lui, quando si presenta, le dice di essere un imprenditore, gestisce la catena dei supermercati Sma. Non è mica vero, ma lei ci crede». [9] Valentina Errante e Cristiana Mangani: « proprio il legame con la Minardi, però, che costa caro a De Pedis, perché, nel dicembre 1984, viene catturato grazie al pedinamento della donna. Le manette ai polsi di ”Renatino” scattano nell’appartamento di Via Vittorini 63 dove lei viveva. Negli anni successivi Minardi attraversa periodi segnati dalla cocaina. E oggi si trova in una comunità di recupero». [10]

Come rivelato la settimana scorsa dall’agenzia Agi, a marzo la Minardi è stata portata a Roma per raccontare come, a suo dire, andarono le cose. In breve: la Orlandi fu rapita su ordine di monsignor Marcinkus, sequestrata in un appartamento nel centro di Roma, infine uccisa, il corpo, rinchiuso dentro un sacco e gettato in una betoniera a Torvaianica. [11] A proposito di Marcinkus, detto ”il banchiere di Dio” perché dal 1971 all’89 fu alla guida dell’Istituto per le opere di religione (poi ”esiliato” in Arizona, è morto nel febbraio 2006), ha raccontato che lo forniva di ragazzine: «A lui piacevano più signorine (minorenni, no!)». [12] Il Vaticano ha replicato parlando di «notizie infamanti, che colpiscono fra l’altro una persona morta da tempo, senza possibilità di difendersi». [13]

La storia della Minardi ha un primo enorme punto debole. Ha raccontato che insieme al corpo della Orlandi fu messo nella betoniera quello di Domenico Nicitra, il figlio undicenne di Salvatore, imputato al processo alla banda della Magliana, che scomparve a Roma assieme allo zio Francesco nel giugno del 1993 (il fatto raccontato dalla supetestimone sarebbe avvenuto tra il 1983 e il 1984, De Pedis fu assassinato nel 1990). [11] La polizia potrebbe aver trovato il sotterraneo nel quale sarebbe stata segregata la Orlandi, una palazzina di via Antonio Pignatelli, al Gianicolense. [14] Anche qui c’è un particolare che non torna. Giovanni Bianconi: «La padrona di quella casa, che attraverso la sua governante avrebbe avuto il compito di accudire la sequestrata, in quel periodo era in carcere. E dunque tutto poteva fare tranne che gestire un sequestro di persona». [15]

Detto di alcuni dei punti deboli di una testimonianza tutta da verificare, ci sono comunque dei capisaldi ben piantati nella realtà. Bianconi: «Il lungo rapporto tra la Minardi e De Pedis; l’incomprensibile sepoltura del bandito in territorio vaticano, la basilica di Sant’Apollinare, motivata da ”iniziative di bene” e dall’interesse del defunto ”per la formazione cristiana e umana dei giovani”». [15] Lupacchini: «Credo che quel sepolcro sia un simbolo. Un memento di un giuramento solenne, di un patto tra alcuni uomini della Chiesa e personaggi della malavita». [5] Nel 2005 il Vicariato di Roma non autorizzò la riesumazione del cadavere. Adesso le cose sono cambiate. Bruno Bartoloni: «La Santa Sede, con padre Federico Lombardi, ha fatto sapere che il Vaticano ”non vuole in alcun modo interferire con i compiti della magistratura”. E la famiglia? Luciano De Pedis, fratello di ”Renatino”, dice: ” vergognoso, ma se lo devono fare che lo facciano subito, così non ne parliamo più”». [16]