Paolo Colonnello, La Stampa 27/6/2008, pagina 11., 27 giugno 2008
La Stampa, venerdì 27 giugno Una truffa da 100 milioni di euro ai danni del Comune di Milano. E’ ciò che sta emergendo dall’inchiesta sui derivati acquistati da Palazzo Marino per finanziare i propri debiti con la cassa depositi e prestiti attraverso un bond trentennale: una cifretta da un miliardo e 682 milioni di euro
La Stampa, venerdì 27 giugno Una truffa da 100 milioni di euro ai danni del Comune di Milano. E’ ciò che sta emergendo dall’inchiesta sui derivati acquistati da Palazzo Marino per finanziare i propri debiti con la cassa depositi e prestiti attraverso un bond trentennale: una cifretta da un miliardo e 682 milioni di euro. Ieri la Guardia di Finanza su ordine del pm Alfredo Robledo ha perquisito le sedi delle quattro grosse banche internazionali che si prodigarono per il maxi finanziamento, distribuendo tra una decina di manager e banchieri informazioni di garanzia con l’ipotesi di truffa aggravata ai danni del Comune in relazione a contratti derivati stipulati con l’amministrazione Albertini tra il giugno del 2005 e l’ottobre del 2007 e rinegoziati ben sei volte con sospetti di commissioni occulte per le banche. Si tratta di UBS, Deutsche Bank, Jp Morgan e l’irlandese Depfa che hanno sedi distaccate a Milano ma il cuore degli affari a Londra, dove effettivamente vennero firmati i contratti. Per ora sul registro degli indagati dell’inchiesta aperta un anno fa - e rimpolpata via via da un’indagine della Corte dei Conti e da un altro esposto del consigliere d’opposizione Basilio Rizzo - ci sono soltanto i suddetti manager ma è chiaro che l’indagine punta ad accertare anche eventuali responsabilità di funzionari e di politici milanesi, visto che tra le perplessità dalla Procura c’è proprio quella relativa al fatto che i contratti, che prevedevano commissioni altissime e rischi evidenti, vennero firmati senza l’aiuto di alcun consulente. Una vera stranezza visto l’abitudine del Comune ad utilizzare consulenze profumatamente pagate un po’ per tutto. E dire che il motto dell’ex sindaco Gabriele Albertini, sotto la cui giunta vennero firmati i contratti, era di considerarsi «un buon amministratore di condominio». Ma cosa dire di un amministratore che accende un mutuo capestro per la vostra casa senza far controllare cosa c’è scritto nel contratto? O, peggio, lo fa controllare da qualcuno - e qui va stabilito se per dolo o per colpa - che favorisce la controparte? Fatto sta che, dopo un esame approfondito della Finanza, sarebbe emerso che i contratti da una parte sarebbero stati strutturati sempre a favore delle banche erogatrici e dall’altra che venivano stipulati in maniera molto veloce, con una procedura che andava dalle 2 o 3 settimane al massimo di un mese. Perchè tutte queste stranezze per negoziare un finanziamento così importante? A chi conveniva ogni volta alzare lo spread ma anche il ”cap” e il ”floor”, ovvero il tetto e il piano entro cui calcolare i tassi Euribor e Libor su cui costruire gli interessi della scommessa rappresentata dai derivati? Di certo, partito con un finanziamento a tasso fisso del 4.019% a durata trentennale, Palazzo Marino a furia di modifiche al contratto originario è arrivato a negoziare un tasso variabile al 4,22. «In tal modo - ha osservato la corte dei Conti - il rischio finanziario a carico del Comune è andato crescendo, ciò che si riflette sulla valutazione del valore di mercato dello swap». Doveva essere un risparmio, si è trasformato in un incubo che se oggi il Comune volesse interrompere costerebbe, al ”mark to market”, circa 290 milioni di euro. L’indagine ipotizza che qualcuno se ne sia concretamente avvantaggiato, guadagnando ben più dei 168 mila euro previsti dalle commissioni a favore delle banche: si parla di decine di milioni di euro. Il sindaco Letizia Moratti per ora attende di saperne di più. «Abbiamo avviato una ricerca - ha detto il sindaco - attraverso una gara pubblica, di un advisor finanziario per assisterci su tutte le operazioni bancarie inclusi i derivati. una linea, quella della tutela degli interessi del Comune, che non possiamo che condividere». Paolo Colonnello