Laura Leonelli, Il Sole-24 Ore 22/6/2008, pagina 50, 22 giugno 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 22 giugno Non è la macchina fotografica che conta, per quella basta un’automatica a fuoco fisso, piccola e maneggevole protesi di un occhio che per questione di traffico deve agire in fretta
Il Sole-24 Ore, domenica 22 giugno Non è la macchina fotografica che conta, per quella basta un’automatica a fuoco fisso, piccola e maneggevole protesi di un occhio che per questione di traffico deve agire in fretta. Quello che conta invece è la macchina in senso stretto, con le ruote e il cambio, pure lui automatico, perché non un movimento della mano, non una richiesta del motore possano turbare la velocità dello scatto. Un taxi giallo. questa la vera differenza, l’idea, la storia che trasforma David Bradford, fino a ieri anonimo tassista di New York, uno dei dodicimila taxi driver della città, in uno strepitoso cantore dell’esistenza metropolitana. Un poeta che da dieci anni a questa parte, azzerando il tassametro di ogni nevrosi, ferma il corso del tempo e invece di procedere accelerando verso il cliente che gli agita il braccio davanti, si gira, punta la sua Yashica T4 al sedile posteriore e a chiunque lo occupi, e scatta. Fragilissimo istante di vita non più in movimento, ma fermo, tangibile. Nascono così, incorniciate da quel finestrino interno che assicura un po’ di privacy ai passeggeri e un minimo di sicurezza a chi guida, una serie di bellissime immagini, oggi raccolte nel volume The New York Taxi Back Seat Book. In carrellata, come fosse un’unica, lunghissima corsa dal giorno alla notte, sfilano i volti di uomini e donne, bambini, cani, gatti, persino un pappagallo, e ognuno di loro, chi sorpreso, chi complice, regala a Bradford e a noi un frammento della sua storia. Una pausa, a tassametro spento. Tranquilli, non costa nulla. Per un attimo ci si torna a guardare negli occhi, senza paura, e non è un caso se questa ricerca di intimità, anche se minima e così delicata, prenda il via da quell’evento che ormai divide in due la storia di New York. Prima dell’11 settembre e dopo l’11 settembre. Anche quel giorno Bradford era in taxi e come sempre aveva con sé la sua macchina fotografica. Già da tempo infatti aveva iniziato a ritrarre la città. Guidando, una mano sul volante, l’altra fuori dal finestrino, con un occhio fisso sulla strada e l’altro che in una forma di strabismo creativo riusciva a trattenere un istante di perfezione geometrica. E poteva essere la curva sinuosa di un sottopassaggio, un albero riflesso sul finestrino di una macchina, il ponte di Brooklyn in diretta emotiva e i riflessi dei fari in una notte di pioggia. Tutto si muoveva in una strana armonia e l’autore di quest’omaggio alla forma più letterale di street photography, era lui, il taxi, protagonista della vita newyorkese e da un secolo cuore in movimento del suo skyline, come racconta oggi Graham Russell Gao Hodges nel saggio Taxi! A Social History of the New York City Cabdriver. Nell’indice, accanto al nome di Harry N. Allen, uomo d’affari americano che nel 1907 inventò il tassametro, dopo aver discusso a sangue sul prezzo di una corsa, e accanto al nome di James Cagney, protagonista del primo film interamente dedicato al nuovo mezzo di trasporto, "Taxi" del 1932, si legge anche quello di David Bradford e si scopre che il "fotografo/tassista", come ama presentarsi, nasce in realtà ballerino e suonatore di trombone, tanto per mantenere caldo lo strabismo del talento. Ma un giorno cade, la carriera danzante è compromessa, e quella di trombonista, per mancanza di un degno contrappeso, si chiude. Nel 1978 David si ritrova alla Rhode Island School of Design, illustratore, e pochi anni dopo è l’art director nel settore pubblicità di Sacks Fifth Avenue. La storia poteva finire qui, con un bello stipendio, orario fisso, un mese di ferie l’anno. Ma evidentemente l’animo restava inquieto e per assecondarne il movimento e la voglia d’indipendenza Bradford nel 1990 si dimette, sale in taxi e non ci scende più. Sul sedile accanto, da quel giorno, appare una macchina fotografica. Così, in due, occhio per occhio, a vendicare la fretta dei nostri passi. Fino a quando le Torri Gemelle non sono crollate. Polvere, orrore e dopo tante immagini, anche David rimane in silenzio. Buio fotografico, terapeutico, penitenziale. Nello sguardo, ancora la paura di voltarsi e vedere che alle spalle il mondo si sta sbriciolando. Fuggire, mettersi in salvo. Ma poi bisogna sopravvivere al trauma. Anche David cerca la sua cura: e non è guardare avanti e dimenticare la voragine. Ma è guardarsi indietro. Un’occhiata allo specchietto retrovisore del taxi e Bradford riprende a scrivere la sua cronaca urbana, il suo racconto, così brutalmente interrotto. A sostenere il contatto visivo, adesso, ad accettare quell’attimo di comunione fotografica, non sono i passanti, gli estranei, ma sono i clienti, quelli che stanno dietro. Quelli che a volte fanno paura e allora David, come ogni tassista newyorkese, chiude l’anta di plexiglas e si slaccia la cintura di sicurezza perchè un rapinatore, come è già successo, non la usi per strozzarlo. Ma per tornare a vivere, per superare lo choc, bisogna avere fiducia e allora Bradford, quando può, il finestrino lo lascia aperto, inquadra, fissa quel volto, o a volte basta solo un dettaglio e in un secondo ha già capito tutto: se il colloquio di lavoro è andato bene o male, se quell’uomo diretto al Jfk è stato esiliato dall’amore o gli sta correndo incontro, e ancora se quella coppia, lui in t-shirt, lei a spalle nude, si chiameranno anche domani mattina. la vita degli altri che ci scorre alle spalle e che si affida a un tassista per essere altrove, per fuggire o inseguire, ma anche per riprendere fiato e restare soli, abbandonati in quel limbo che sobbalza a ogni buca. Come fa George Clooney nel lunghissimo, splendido finale di "Michael Clayton", «guidi per cinquanta dollari, vada dove vuole». Così noi, per non guardarci alle spalle, a volte per dimenticare. Tanto alla guida della nostra memoria c’è David Bradford. Laura Leonelli