Carmine Fotina, Il Sole-24 Ore 22/6/2008, pagina 2, 22 giugno 2008
Una leva di sviluppo, al pari del nucleare, e una chance per modernizzare il Paese, paragonabile alle grandi opere come l’Alta velocità e alle liberalizzazioni: così l’introduzione al Dpef 2009-2013 sancisce ufficialmente l’avvio di un piano nazionale per la banda larga
Una leva di sviluppo, al pari del nucleare, e una chance per modernizzare il Paese, paragonabile alle grandi opere come l’Alta velocità e alle liberalizzazioni: così l’introduzione al Dpef 2009-2013 sancisce ufficialmente l’avvio di un piano nazionale per la banda larga. La trasformazione della rete di telecomunicazioni, mediante il graduale passaggio dal rame alla fibra ottica, dovrà essere un moltiplicatore del Prodotto interno lordo. Connessioni internet di almeno 50 megabit al secondo in quasi tutto il Paese promettono incremento del business e riduzione di tempi e costi in settori trasversali all’economia: transazioni commerciali, rapporti con la Pubblica amministrazione, sanità online e telemedicina, videoconferenze evolute per ridurre gli spostamenti, telesorveglianza da remoto. L’elenco potrebbe continuare a lungo, anche se le stime sull’aumento correlato di produttività restano divergenti: un Paese ultrabroadband, calcola l’Autorità tlc, può valere oltre l’1,6% di crescita annua del Pil; in Inghilterra, ribattono gli scettici, c’è molto meno fibra di quanta già oggi ce ne sia in Italia ma i servizi evoluti, a partire dal commercio online, sono più diffusi anche in rapporto di 10 a 1. L’Italia, comunque sia, inizia a muoversi. Almeno le prime linee guida sono chiare perché per la costruzione delle nuove reti di tlc la manovra triennale del Governo contiene un corposo pacchetto di semplificazioni burocratiche, mentre il Ddl dovrebbe garantire 800 milioni di euro per la riduzione del digital divide nelle aree sottoutilizzate del Paese. In altri punti della manovra, poi, sono state inserite norme che nei prossimi anni potrebbero aprire la porta a un intervento pubblico molto più sostanzioso. C’è un collegamento al Fondo rotativo della Cassa depositi e prestiti per finanziamenti agevolati ma c’è soprattutto l’inserimento della «next generation network» tra le nuove priorità del Quadro strategico nazionale, programma che tra fondi nazionali e comunitari contiene quasi 124 miliardi di euro. L’unico punto che, nella stesura finale del Ddl, appare ancora controverso è la clausola che dovrà garantire il carattere aperto delle nuove reti, a tutela della concorrenza anche in caso di progetti misto pubblico-privati. Il dibattito e le scelte italiane sulla rete di nuova generazione arrivano in ritardo rispetto a Paesi europei come Germania e Francia, ma soprattutto in rapporto a Usa, Giappone, Corea. Sollevato per primi dai padri dell’internet e delle tlc italiane, come gli esperti Stefano Quintarelli e Maurizio Decina, il tema è salito ai piani istituzionali solo di recente, con l’allarme sul gap nazionale del presidente dell’Autorità Corrado Calabrò: Italia ferma al 17% di penetrazione della banda larga, tra i dati peggiori in Europa. Fondamentale, poi, il ruolo svolto negli ultimi mesi dalla nuova Telecom Italia, chiamata ad agire come primo investitore di un progetto colossale. L’a.d. Franco Bernabè, in un’intervista al Sole-24 Ore, ha indicato le uniche due vie possibili: «O lo sviluppo statale della banda larga, come in Asia, oppure condizioni regolatorie e di redditività che consentano agli operatori di svilupparla». La via italiana sembra al momento un mix. Lo Stato farà la sua parte, l’Autorità per le comunicazioni dovrà fare il resto trovando un difficile punto di equilibrio tra tutela della concorrenza e incentivi agli investimenti. Collegare una singola abitazione in fibra ottica può costare, in media, 800 euro: un piano per 20 milioni di utenze richiederebbe 16 miliardi. Ma la sburocratizzazione e la condivisione delle opere per posare i cavi potrà ridurre i costi di quasi il 60 per cento. L’Italia in fibra ottica in qualche modo ha già preso corpo nei dossier di Telecom Italia. Il direttore della rete Stefano Pileri ha confermato di recente il piano da 6,5 miliardi di investimenti al 2016, per raggiungere il 65% della popolazione con connessioni in fibra ottica e velocità di almeno 100 megabit al secondo. Si tratterebbe di circa 1.140 città in cui arrivare con la fibra fino alle abitazioni, o almeno agli edifici o la centrale più vicina. L’unica rete in fibra già esistente, in porzioni molto ridotte del territorio, è quella di Fastweb mentre Telecom ha appena iniziato (nel primo triennio l’investimento sarà di soli 810 milioni) puntando prima su Milano e poi su altri grandi centri anche con l’intenzione di abbattere i costi operativi rispetto all’attuale network in rame. I due operatori (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri) condivideranno le infrastrutture per abbassare la spesa e c’è da credere che a loro possano presto aggiungersi Wind e la stessa Vodafone, appena entrata nella telefonia fissa. Del resto creare più di una rete di nuova generazione sarebbe la soluzione ideale per la concorrenza, ma è anche l’ipotesi meno realistica per costi di implementazione e remunerazione dell’investimento. Anche per questo collaborazioni economiche, fino a forme di consorzi, sono ben viste da Governo e Autorità. Carmine Fotina carmine.fotina@ilsole24ore.com