Enzo Bettiza, La Stampa 26/6/2008, pagina 45, 26 giugno 2008
La Stampa, giovedì 26 giugno Lo sparo echeggiato nell’aeroporto di Tel Aviv, che per alcuni minuti di panico ha interrotto la cerimonia di commiato di Nicolas Sarkozy dal capo di Stato Shimon Peres e dal premier Ehud Olmer, è costato la vita a un agente israeliano di frontiera colpito alla testa da un proiettile del suo stesso fucile
La Stampa, giovedì 26 giugno Lo sparo echeggiato nell’aeroporto di Tel Aviv, che per alcuni minuti di panico ha interrotto la cerimonia di commiato di Nicolas Sarkozy dal capo di Stato Shimon Peres e dal premier Ehud Olmer, è costato la vita a un agente israeliano di frontiera colpito alla testa da un proiettile del suo stesso fucile. Scartata nella maniera più drastica l’ipotesi dell’attentato, le autorità hanno ripiegato su quella dell’incidente letale o del suicidio. L’episodio singolare, avvenuto in una regione purtroppo assuefatta a convivere con atti di violenza quotidiana, ha conferito comunque alla visita del presidente francese in Israele una cornice finale in sintonia allusiva con i drammatici argomenti da lui trattati: la sicurezza dello Stato ebraico, la nascita di una Palestina democratica tra le insidie di Hamas a Gaza e di Hezbollah in Libano, il tutto sovrastato dalle ambiguità siriane e dalla minaccia atomica di Teheran. Il discorso pronunciato alla Knesset da Sarkozy, alla vigilia della presidenza francese dell’UE, ha dato alle sue parole anche una forte incisività europea suffragata, nel contempo, non a caso, dal nuovo pacchetto di sanzioni adottato da Bruxelles contro l’Iran. «Chi lancia appelli in modo scandaloso alla distruzione di Israele troverà sempre la Francia a sbarrargli la strada». E’ stato questo non solo il primo intervento di peso davanti al parlamento israeliano di un capo di Stato francese, dai tempi di François Mitterrand nel 1982; è stato, anche, un chiaro segnale di discontinuità e anzi di rottura con la diplomazia francese dell’ultimo decennio chiracchiano. Al tempo stesso, in duplice concomitanza con la presidenza UE e con gli ultimi mesi dell’amministrazione Bush, Sarkozy sta cercando di ritagliarsi un ruolo di pacificatore mediorientale e di protagonista di un rilancio diplomatico della Francia e dell’Europa nell’area mediterranea. La strategia con cui egli sta varando l’idea, che a molti appare ancora nebulosa, di una Unione per il Mediterraneo, sembra mirata a smussare gli spigoli degli «scontri di civiltà»: indurre cioè gli israeliani a recedere dalla colonizzazione della Cisgiordania, accettare Gerusalemme come capitale di due Stati, avviare negoziati indiretti con la Siria e consolidare una possibilità di tregua durevole con Hamas. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di isolare l’Iran dai suoi alleati. Gli spazi che Sarkozy intende occupare, o meglio, i vuoti che intende riempire dopo un’eventuale riduzione dell’attivismo americano in Medio Oriente dopo Bush, egli sa che potrebbe farlo meglio parlando a nome non solo della Francia ma di un’Europa che purtroppo ancora non c’è: un’Europa con una costituzione accettata, un presidente non semestrale e un vero ministro degli esteri al posto di un diplomatico dimezzato tipo Solana. E magari, perché no, con un suo dispositivo militare autonomo dalla Nato. La presidenza che Sarkozy si prepara ora ad assumere ai vertice di un’Unione Europea scontenta, diffidente di se stessa, sotto choc dopo il ripudio irlandese del trattato di Lisbona, sarà certo temporalmente semestrale secondo la tradizione intergovernativa sempre di rigore formale; ma, nello spirito se non nel tempo e nella lettera, potrebbe essere o diventare qualcosa di più che «semestrale» se il capo della più prestigiosa nazione continentale riuscirà a iniettarvi con successo l’umore delle sue ambizioni e il ritmo della sua dinamica vitalità. Senza una base istituzionale solida, dopo i referendum negativi della Francia e dell’Olanda nel 2005 e quello recentissimo dell’Irlanda, l’Europa non può darsi né un presidente quinquennale né un autentico ministro degli esteri. Ma un Semestre maiuscolo, forte, incisivo, come potenzialmente si presenta quello francese di Sarkozy, così ricco d’intenti internazionali e di buona volontà comunitaria, potrebbe spianare la strada al risanamento di quest’Europa azzoppata la cui storia peraltro, ormai cinquantennale, è stata da sempre un salto agli ostacoli e contro gli ostacoli. La terza fase europea, dopo quella della fondazione storica e di Maastricht, dovrebbe privilegiare con maggiore nettezza l’approfondimento politico e istituzionale dell’Unione mettendo più rigorosi paletti al suo allargamento geografico. Sarkozy, col viaggio in Medio Oriente, si è mosso per tanti aspetti come un promotore della terza fase. Il fatto che abbia dato l’impressione di voler collegare, in una regione così delicata e rischiosa, il rilancio realistico della Francia col peso virtuale dell’Europa, è stato un segnale degno di nota e soprattutto d’attesa. Lui conosce e vede benissimo il traguardo tutt’altro che facile: vedremo se saprà muovere i primi passi indispensabili per raggiugerlo. Enzo Bettiza