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 2008  giugno 26 Giovedì calendario

ROMA – «La mancata firma del presidente della Repubblica in calce alla legge di conversione del decreto sicurezza, per via dei due emendamenti blocca- processi, è una circostanza molto difficile»

ROMA – «La mancata firma del presidente della Repubblica in calce alla legge di conversione del decreto sicurezza, per via dei due emendamenti blocca- processi, è una circostanza molto difficile». Non che non esistano i dubbi di costituzionalità, che anzi sono precisi, ma – spiega Piero Alberto Capotosti, che oltre che insigne giurista è stato presidente della Corte costituzionale – «sarebbe la prima volta che un capo dello Stato blocca e fa decadere un decreto, nel quale tra l’altro ci sono norme importanti e in parte anche largamente condivise sulla sicurezza». Insomma, il presidente della Repubblica non ha margine di manovra, a parte i richiami al dialogo e alla riflessione? «Il capo dello Stato sa bene come e cosa fare, certo un suo rifiuto di firmare la legge, poiché la conversione del decreto deve avvenire entro 60 giorni, fa decadere tutto il decreto. Resta il giudizio della Corte costituzionale, perché è facile immaginare che qualche giudice solleverà il caso». E l’esito del giudizio costituzionale è scontato? «I dubbi di costituzionalità ci sono: non è giustificata la data del 30 giugno 2002 come spartiacque. Poi si crea, per favorire i processi di maggiore rilevanza sociale, un intralcio all’ordinato svolgimento della giurisdizione e c’è un’incidenza negativa sugli imputati, che hanno aspettativa di essere dichiarati innocenti e quindi vogliono che vengano al più presto eliminati i sospetti sulla propria innocenza. L’obbligatorietà dell’azione penale, ha argomentato la Corte in passato, significa anche che i processi devono essere portati a termine, non solo iniziati. Si dice che la sospensione vale per un anno, ma poi è complicato il meccanismo di notifiche e se mutano i collegi giudicanti bisogna ricominciare i processi da capo». Meglio allora puntare sul Lodo Schifani-bis? «Mi sembra che la maggioranza abbia scelto una strada impervia con il Lodo Schifani bis, anche se ancora non si conosce il testo: si profila come una scorciatoia per ottenere l’immunità delle alte cariche dello Stato, con tutti i rischi connessi». Rischi di incostituzionalità? «Abbiamo un precedente che è la sentenza della Corte costituzionale che nel 2004 ha dichiarato illegittimo il Lodo Schifani. Sento circolare letture semplificate di quella sentenza che è stata invece motivata con molta eleganza e riferimenti a principi generali. Finché non ci sarà il controllo di costituzionalità, che sarà verosimilmente richiesto da qualche giudice, ci sarà un’altalena di accuse, di tensioni politiche». Lei da esperto di diritto e di ordinamento che cosa consiglia? «Si potrebbe reintrodurre il secondo comma dell’articolo 68, previsto dai Costituenti nel 1948 e abrogato in piena Tangentopoli nel 1993: si tratta di un principio che prevede, proprio per evitare il fumus persecutionis, il voto della Camera o del Senato per sottoporre a processo un parlamentare. Da quando è stato abrogato è cominciato lo scontro tra giustizialisti e garantisti». Difficile però rievocare quell’epoca, per i politici. «Capisco che si potrebbe pensare alla "Casta". Ma la classe politica deve prendersi le sue responsabilità ». Gianna Fregonara