Pierluigi Battista, Corriere della Sera 23/6/2008, pagina 30, 23 giugno 2008
Corriere della Sera, lunedì 23 giugno Sul Riformista sospettano che Alessandro Baricco non sia entusiasta di «Gomorra» solo perché divorato dall’invidia per le montagne di copie vendute da Roberto Saviano
Corriere della Sera, lunedì 23 giugno Sul Riformista sospettano che Alessandro Baricco non sia entusiasta di «Gomorra» solo perché divorato dall’invidia per le montagne di copie vendute da Roberto Saviano. Ma se il sospetto venisse esteso erga omnes, quanti invidiosi avrebbero stroncato Susanna Tamaro perché mossi da inestinguibile rancore per il successo di «Va’ dove di porta il cuore»? E i critici che in passato hanno eccepito sui best seller di Montanelli e della Fallaci, di Guareschi e di Umberto Eco: tutti rosi dall’invidia, tutti biliosi e frustrati, inguaribilmente devastati dall’acredine dell’insuccesso? E allora, rotti gli argini del sospetto, il primo che si azzardasse a bollare il «Codice da Vinci» come una boiata pazzesca, dovrebbe essere forse denunciato come un astioso denigratore dei quattrini accumulati (beato lui) da Dan Brown? Se l’argomento dell’invidia appare troppo pretestuoso e ricattatorio, qualcosa di molto più drammaticamente serio contribuisce invece a creare attorno a «Gomorra» una zona di inviolabile franchigia critica. Saviano è nel mirino vendicativo della camorra. E’ costretto a vivere blindato e con la scorta, i suoi scritti fanno male alla criminalità organizzata, la sua denuncia civile ha colto nel segno e i boss del terrore camorristico vogliono fargliela pagare. Stare dalla sua parte è un atto di elementare dovere civico che non consente sfumature e tiepidezze. Ma se una recensione anche blandamente critica viene equiparata a un atto di favoreggiamento indiretto dei carnefici che vogliono tacitare una voce coraggiosa, se la semplice discussione del valore letterario di un’opera letteraria (solo questo era in fondo il registro delle osservazioni di Baricco) si trasforma agli occhi dell’opinione pubblica in un indegno sabotaggio della lotta alla camorra, è naturale che la scelta più saggia sia quella del silenzio e della reticenza. Un libro in cima alle classifiche dei best seller assume per ciò stesso un valore sacrale, lo statuto di un feticcio che non è buona norma sottoporre a scrutinio critico, come accade con tutti gli altri libri. A chi mai salterebbe in testa di sostenere, per esempio, che «Gomorra » è scritto male, a rischio di passare non solo per invidioso, ma addirittura per complice della camorra? Roberto Saviano che – austeramente vestito di nero, lo sguardo intenso, l’aria assorta e corrucciata di chi è protagonista della partita decisiva tra lo Stato e una banda criminale – assiste in tribunale alla lettura della sentenza che irroga i meritati ergastoli ai boss dei Casalesi, è un’immagine che può solo essere difesa con la massima energia, e richiama al dovere di tutelare senza risparmio l’incolumità di chi ha sfidato l’anti-Stato. Ma un così prezioso testimonial dell’anticamorra non può, per definizione, essere recensito, criticato, esaminato con le innocue armi della valutazione letteraria. E dunque a chi si occupa non di camorra, ma di romanzi e di letteratura, è consigliato il silenzio, per non incorrere nelle conseguenze di un catastrofico equivoco. E dunque almeno in questo caso la critica letteraria deve, per ineludibile obbligo morale, abdicare a se stessa.(E dunque, sia ben chiaro, «Gomorra» è un bellissimo libro). Pierluigi Battista