Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 23/6/2008, pagina 33, 23 giugno 2008
Corriere della Sera, lunedì 23 giugno Circolano sempre più spesso le voci più disparate su come stiamo cambiando e in che direzione si è incamminata la nostra specie
Corriere della Sera, lunedì 23 giugno Circolano sempre più spesso le voci più disparate su come stiamo cambiando e in che direzione si è incamminata la nostra specie. Al di là delle impressioni più o meno soggettive e delle notizie mirabolanti, possiamo allora chiederci con serietà: stiamo veramente cambiando? E in che senso? C’è qualcosa che caratterizza univocamente l’uomo moderno rispetto ai suoi predecessori anche solo di cinquanta o cento anni fa? Si direbbe proprio di sì, anche se le proporzioni del fenomeno non sono così rilevanti come qualcuno vorrebbe far credere. E le spinte sono tutte di natura ambientale e non genetica, anche se una piccola componente genetica non può mai mancare in nessun processo organico. Stiamo assistendo essenzialmente a due fenomeni, in parziale contrasto fra di loro. Si può osservare in primo luogo un cospicuo innalzamento dei valori medi di alcune nostre caratteristiche psicofisiche e in secondo luogo un più contenuto ma apprezzabile aumento della nostra diversità, che fa sì che gli esseri umani di oggi abbiano caratteristiche molto più variabili e eterogenee, cioè più ampiamente distribuite intorno ai loro valori medi, dei loro predecessori. Tutto questo va pensato in congiunzione con un dato numerico incontestabile: non siamo mai stati tanti e continuiamo a crescere di numero. In verità per spiegare molti fenomeni del presente sarebbe sufficiente prendere in considerazione anche soltanto quest’ultimo dato. Si tratta sì di un parametro quantitativo, ma si sa che da un certo livello in poi la quantità può divenire qualità. Eccome! Che caratteristiche hanno quindi questi tantissimi uomini che vivono oggi rispetto a quelli di ieri? Sono certamente più alti, con un quoziente intellettuale (QI) maggiore e vivono di più. Sono anche mediamente più sani, ma questo fatto è più difficile da sostanziare. I tre fenomeni sono proceduti di pari passo, anche se l’aumento dell’altezza media è stato notato un po’ prima degli altri due e la rilevazione dei valori di QI ha richiesto un grosso sforzo organizzativo e un periodo di tempo maggiore. Dietro questi aumenti non ci sta probabilmente alcun cambiamento genetico, ma soltanto influenze ambientali. Quali? Beh, è presto detto: il miglioramento medio di tutti i parametri che concorrono a determinare la qualità della vita, dalla nutrizione all’igiene, dalla medicina preventiva a quella curativa, dall’equiparazione dei diritti all’adozione di ritmi di lavoro più umani e meno stressanti. Alcuni di questi cambiamenti si sono verificati prima, altri dopo, ma tutti hanno concorso al miglioramento della nostra salute psicofisica, con effetti particolarmente evidenti sull’altezza media – i nostri figli non hanno geni migliori dei nostri padri, hanno solo mangiato meglio e con più regolarità e sono stati curati meglio, soprattutto nei primi anni della loro vita – e sulla durata della vita media. Non sappiamo bene che cosa misuri il QI. nato come misura dell’intelligenza, ma questa sua proprietà è stata violentemente contestata da chi non ama che si misurino entità astratte e complesse. Qualunque cosa misuri, il QI medio delle popolazioni è aumentato ed è tuttora in aumento. Questo fa pensare che ciò che misura sia comunque in qualche modo associato allo stato di salute, magari attraverso percorsi diversi e contorti. Non c’è dubbio che esisteranno molte altre caratteristiche psicofisiche che sono andate incontro a processi simili, ma ancora non le sappiamo valutare con altrettanta precisione. Vale la pena di notare che esistono anche certe patologie specifiche che appaiono in aumento, ma tale fatto è da mettere in relazione con i fenomeni appena ricordati. L’affinamento delle tecniche diagnostiche ci porta a dare un nome a molte malattie che prima non ne avevano nessuno e l’allungamento della vita media porta sempre più alla ribalta patologie – come i tumori e le malattie degenerative – che si manifestano prevalentemente nell’età avanzata. Accanto a questi spostamenti direzionati – in avanti o indietro – esiste anche un fenomeno meno clamoroso e appariscente, ma che diverrà sempre più rilevante. Con il procedere della civiltà l’uomo ha di fatto allentato la morsa della selezione naturale sugli individui della propria specie. Oggi vivono e magari prosperano persone che in condizioni naturali non avrebbero mai avuto alcuna chance di sopravvivere fino a una certa età. Dai miopi ai sordi, dai diabetici agli emofiliaci, dai disabili di vario tipo ai portatori di intolleranze alimentari, dai nati gravemente prematuri ai Down, per non parlare di tutte quelle problematiche connesse con le eventuali difficoltà del parto, esistono oggi in ogni popolazione, e soprattutto in quelle dei Paesi più avanzati, molti individui che in passato non ci sarebbero proprio stati. Questo fatto, in sé altamente apprezzabile e che costituisce uno dei maggiori vanti della civiltà e dell’evoluzione culturale umana, ha già adesso delle conseguenze sulla nostra biologia e più ancora ne avrà in futuro. Molti pensano, erroneamente, che l’allentamento della pressione selettiva comporti un abbassamento dei valori medi di alcune caratteristiche biologiche della specie in oggetto, ma non è così. Almeno in prima istanza, l’allentamento della selezione non fa abbassare la media della popolazione, come intuì già a suo tempo Ronald Fisher, ma la rende solo più dispersa, più internamente variabile, più eterogenea, favorendo cioè l’aumento della frequenza dei valori più alti e di quelli più bassi, degli intelligenti intelligenti, per intendersi, e dei cretini cretini o, se preferite, dei molto allegri e dei molto tristi, degli individui altissimi e dei bassissimi, degli estremamente longevi e di quelli dalla salute molto cagionevole. La nostra specie sta divenendo insomma via via più ricca di individui che esprimono valori estremi. Se a questo si aggiunge un concomitante aumento della diversità sociale delle popolazioni, dovuto al crollo di varie barriere di natura sociale o geografica, si ha un quadro di gruppi umani internamente sempre più eterogenei. Ciò ci dovrebbe ispirare un atteggiamento improntato a una crescente tolleranza e la revisione di alcuni standard, ad esempio scolastici. Un’umanità più diversificata richiede il ripensamento di molte istituzioni, un ripensamento che sia possibilmente il frutto di scelte consapevoli e programmate e non effetto dello sconforto e di forme diverse di lassismo. Edoardo Boncinelli