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 2008  giugno 22 Domenica calendario

Corriere della Sera, domenica 22 giugno WASHINGTON - Lo spot è una successione di insinuazioni e condizionali, a cominciare dal titolo: «E se Barack Obama fosse un musulmano?»

Corriere della Sera, domenica 22 giugno WASHINGTON - Lo spot è una successione di insinuazioni e condizionali, a cominciare dal titolo: «E se Barack Obama fosse un musulmano?». L’unica presunta pezza d’appoggio è che nel registro della scuola elementare cattolica dove sua madre lo iscrisse in Indonesia, accanto al suo nome venne apposta la parola musulmano. Circostanza vera, ma ampiamente spiegata: il secondo marito della mamma e suo padre adottivo era ufficialmente islamico, anche se non praticante. In realtà, Obama è nato ed è sempre stato cristiano. Il video non ha ancora preso il volo nelle televisioni commerciali. Per adesso viene mandato in onda nell’area di Detroit. E’ in attesa di avere il via nel resto del Michigan. Ragioni finanziarie e in parte legali, ci vogliono decine di migliaia di dollari e il via dell’emittente, che deve verificare se è compatibile con le norme di legge, per farlo passare. Ma Floyd Brown, l’autore dello schizzo infangato rimane in agguato. Son tempi di magra. Almeno finora i ricconi repubblicani non sono stati di manica larga, intimiditi dal fenomeno Obama e forse frenati da una normativa più severa che in passato. Ma l’uomo non dispera: prima o poi, ha detto al New York Times, i soldi arriveranno e lui di letame nel sito ExposeObama. com, la sua macchina da guerra, potrà gettarne a palate. Contro Obama. Nonostante abbia appena 47 anni, Brown è nel business da due decenni. Fu lui nel 1988 uno degli autori del leggendario video su Willie Horton, un ergastolano nero del Massachusetts che l’allora governatore e candidato democratico alla Casa Bianca, Mike Dukakis, aveva rilasciato, applicando un programma di riabilitazione del suo predecessore repubblicano. Appena libero, Horton derubò e stuprò una donna. Il video affondò Dukakis, sconfitto a valanga da George Bush padre. Sembra difficile crederci, ma Floyd Brown e ExposeObama sono i nemici più temuti da Obama e dai suoi strateghi, in una corsa alla presidenza che è già nella Storia. Per due volte negli ultimi giorni, il senatore dell’Illinois ne ha fatto il nome, additandolo a emblema del pericolo costituito dai gruppi indipendenti della destra più conservatrice, onorati professionisti della menzogna. «Vi diranno di tutto, che sono giovane, che ho un nome strano, a proposito, ho già detto che vi diranno anche che sono nero?», ha ironizzato venerdì. E’ al fine di contrastare Brown and friends, fra i quali il celebre gruppo Swift Boat Veterans for Truth che nel 2004 riuscì a far passare per un millantatore anche l’eroe del Vietnam John Kerry, che la campagna di Obama ha lanciato www.fightthesmears. com, un sito web destinato a smentire all’istante ogni più piccolo pettegolezzo o bugia sul candidato democratico, che appaiono regolarmente sulla rete o negli spot a pagamento sulle tv via cavo. Ed è anche pensando a Brown, alla possibilità che hanno i gruppi indipendenti di far propaganda indiretta raccogliendo soldi privati senza i limiti imposti dal finanziamento pubblico, che Obama tre giorni fa ha rinunciato al contributo statale. Ha rovesciato un precedente impegno, ma ora potrà usare in pieno la macchina da soldi, rivelatasi per lui la raccolta via Internet. Soffiato sin dall’inizio, il ponentino della calunnia si è gonfiato, man mano che Obama si è avvicinato alla nomination: è un musulmano nascosto; non saluta la bandiera; ha giurato sul Corano; fa pugno contro pugno, in un gesto che sarebbe comune fra i terroristi, con sua moglie Michelle, la quale secondo un’altra leggenda avrebbe in un’occasione usato il termine razzista «whitey», biancastri, contro i bianchi. La reazione dello staff di Barack è stata aggressiva e metodica. Ma forse anche eccessiva e secondo alcuni concettualmente sbagliata: «La prima regola quando si combatte una bugia è non ripeterla, invece fightthesmears per smentirle le riporta interamente e rischia di generare confusione», dice Farhas Manjoo di Salon, blog vicino ai democratici. Di più, nel tentativo di rafforzare il controllo sull’immagine di Barack, la campagna è incorsa in alcuni infortuni, primo fra tutti quello di una volontaria che ha impedito a due ragazze musulmane, con un velo in testa, di essere nel gruppo che faceva da sfondo a un comizio di Barack, per paura che nel clima imperante, ciò alimentasse nuovi sospetti su di lui. Obama si è scusato personalmente con le due donne. Ma l’episodio ha lasciato il segno. Paolo Valentino