Luca Villoresi, la Repubblica 22/6/2008, 22 giugno 2008
la Repubblica, domenica 22 giugno La storia della quercia, in fondo, è la storia dell´uomo. E, per raccontarla dall´inizio, bisogna riandare ai tempi dei nostri avi balanofagi
la Repubblica, domenica 22 giugno La storia della quercia, in fondo, è la storia dell´uomo. E, per raccontarla dall´inizio, bisogna riandare ai tempi dei nostri avi balanofagi. La dieta all´epoca non era granché: ghiande a pranzo, a cena e a colazione; con un contorno che, se c´era, arrivava come e quando capitava. La qualità della vita, a modo suo, doveva tuttavia essere abbastanza alta se è vero che miti e leggende rimpiangono quell´albore della civiltà chiamandolo l´Età dell´oro. L´uomo, si narra, viveva in semplicità, senza affanni, trovando la garanzia della sua sopravvivenza nei frutti (più precisamente: le balane) di un albero che evidentemente non poteva non radicarsi nella memoria collettiva fino a diventare un archetipo, una reminiscenza che aleggia in tutte le culture, dall´Oriente all´Occidente. Uno dei primi simboli elaborati dalla psiche primitiva; ma anche, più concretamente, il filo conduttore di quella civiltà del legno che, iniziata dopo la fine della vita nomade, tra i dodici e i quindicimila anni or sono, è andata avanti fino all´avvento della civiltà del carbone e del petrolio, un paio di secoli or sono. William Bryant Logan, autore de La quercia. Storia sociale di un albero (Bollati Boringhieri, 256 pagine, 25 euro), è un arboricoltore, uno che gli alberi li coltiva. E forse proprio per il suo approccio pratico, concretamente interdisciplinare, ha potuto riannodare le mille tracce di una storia che si perde nella notte dei tempi. Partendo da dove si dovrebbe partire: dal sapore della ghianda. Che non è cattiva; ma, di certo, nemmeno buona. Diciamo che, eliminato l´amaro del guscio, una balana non sa di niente; però nutre, sfama, sazia. In alcuni paesi (Stati Uniti, Corea, Spagna, Algeria) le ghiande rientrano ancora, come una curiosità culinaria, nella preparazione di qualche antica ricetta; alcune migliaia di anni or sono, però, rappresentavano ancora la base dell´alimentazione umana. Erano abbondanti. Potevano essere ridotte a farina, conservate, trasportate. E, per avere la conferma di questo legame ancestrale tra uomo e quercia, basta consultare la mappa degli areali occupati dal genere Quercus: la dislocazione dei boschi coincide con i luoghi che hanno visto nascere le grandi civiltà stanziali. Gli uomini si stabilivano dove crescevano le querce. Una sorta di simbiosi; destinata a durare anche dopo l´avvento del frumento e di nuovi regimi gastronomici. La quercia non detiene record particolari. Non è la più alta: una sequoia può doppiare una quercia raggiungendo i cento metri di altezza. Né la più longeva: un pino della California passa i quattromila anni, mentre una quercia si ferma a duemila. Una sequoia, tuttavia, vive solo in una fascia costiera fresca e mite; un pino della California in montagne dove non esistono parassiti. Le querce, viceversa - più caldo o più freddo, più secco o più umido - si sono insediate in tutta la fascia temperata. Sono flessibili. Si adattano, si convertono. E in questo, forse, somigliano all´uomo. Le querce si combinano, mischiano il dna, si ibridano. Una capacità di cambiare che spiega la variabilità di un genere che, a seconda dei vari autori (anche un esperto talvolta distingue difficilmente una varietà dall´altra), conta tra le duecentocinquanta e le quattrocentocinquanta specie: Quercus robur, ilex, pubescens... coi relativi nomi volgari (la quercia è il nome di albero più diffuso nel mondo), nazionali, regionali, provinciali: rovere e roverella, cerro, farnia, sughera... Navi, mobili, tetti, botti, utensili, combustibili. Nella civiltà del legno la materia prima per eccellenza veniva dalla quercia. E la storia della quercia è anche la storia delle arti e dei lavori che le ruotavano attorno. Dal taglialegna al carbonaio, dal mastro d´ascia al conciatore. Ognuno con la sua sapienza e i suoi trucchi del mestiere. Dal boscaiolo, che deve saper scegliere e preparare i tronchi al carpentiere, calato nei dettagli delle venature che si trasformeranno in giunti, ossature, incastri. O il bottaio che, seguendo i consigli impliciti in un legno che già suggerisce con la sua conformazione il come farsi tagliare e modellare, è arrivato di generazione in generazione a fissare, empiricamente, la forma ideale di un contenitore, la vecchia botte, che Keplero tentò inutilmente di migliorare. Nessun albero è capace di mantenere rami così lunghi e pesanti, così a lungo e così saldamente. La quercia, ha scoperto la scienza moderna, tende naturalmente a distribuire le sollecitazioni sulla linea dell´intera superficie: se su un punto si verifica una pressione eccessiva l´albero la controbilancia sviluppando nuovo legno. L´hanno chiamato assioma di sollecitazione uniforme. E sta alla base della tecnologia che realizza le viti chirurgiche per le fratture ossee. La quercia dà buoni consigli. E molti aiuti concreti. Teofrasto sosteneva che «sulla quercia ci sono più cose che su qualunque altro albero». Ghiande, legno, la corteccia indispensabile alla concia delle pelli... Senza dimenticare le galle - quelle palline prodotte dalle punture di un insetto - che per secoli hanno fornito la base degli inchiostri che si ritrovano nei disegni di Leonardo o nella dichiarazione di Indipendenza americana. La quercia, molto concretamente, rappresenterà per un paio di millenni sia la principale fonte energetica della società umana, sia la materia prima indispensabile a ogni tipo di costruzione, a partire dalle navi che, in molti casi, arrivavano a utilizzare il legno di tre o quattromila querce. Vittima della sua stessa generosità la regina della foresta non poteva, si direbbe, non diventare una presenza sempre più rara, sia nel paesaggio agrario che in quello cittadino dove l´unica quercia utilizzata sembra essere il leccio sempreverde. Il declino, tuttavia, non è stato causato solo dal super sfruttamento, dalla competizione ecologica con l´uomo, che proprio dall´ambiente più amato dalle querce (il versante caldo delle pendici collinari) si procaccia campi arabili e terreni edificabili, o dalla nota lentezza di un albero che spinge i selvicoltori a preferirle le conifere, più veloci e produttive. Sul tramonto di un´epoca aleggia anche qualcosa che ha a che vedere con la cultura, la religione, l´idea dello spazio e del tempo. L´inizio della fine per l´albero sacro a Giove e a Thor, comincia con l´avvento del cristianesimo, una religione che priverà la quercia e altri venerabili alberi della loro anima pagana. La fine della fine potrebbe invece essere simbolicamente annessa alla fine dell´era della botte: un contenitore ottimale per ogni tipo di merce che poteva essere spostato facendolo rotolare. Un secolo or sono, in Inghilterra, solo per stipare le aringhe, si producevano ancora un milione di botti all´anno. Poi sono nati i bracci meccanici. E con loro i contenitori squadrati, stile container. La botte, figlia della quercia, apparteneva a una società piena di curve; uccisa dal trionfo del rettilineo. Resta, se non altro, l´eredità di un ricordo inscritto in ogni risvolto della società, nei nomi dei luoghi, nei modi di dire, o nei cognomi delle famiglie: Barker, Tanner, Becker... Logan, un anglosassone, enumera centinaia esempi tratti dalla sua cultura. Ma, proprio in quanto presenza universale calata, di volta in volta, in un ambiente specifico, la quercia può ancora suggerire a ognuno di noi - «Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande?» - la sua personale antologia: Ghiandai, Della Rovere, la Madonna della Quercia, la Quercia delle Cinque passere... Luca Villoresi