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 2008  giugno 22 Domenica calendario

la Repubblica, domenica 22 giugno «Lo so, vi ho rotto molto i coglioni;/ un fatto, badate, biunivoco;/ datemi atto: io l´ho scontato, l´equivoco/ di aver amato l´Alfieri e il Manzoni/ (ma voi, d´altronde, cosa amate davvero?)

la Repubblica, domenica 22 giugno «Lo so, vi ho rotto molto i coglioni;/ un fatto, badate, biunivoco;/ datemi atto: io l´ho scontato, l´equivoco/ di aver amato l´Alfieri e il Manzoni/ (ma voi, d´altronde, cosa amate davvero?)./ Fu amor sincero il mio, ma d´esito retorico,/ pletorico, fanatico, ché fanatico/ e importuno, indecente, è l´italiano...». E via così apostrofando, insolentendo, versificando, satireggiando, ma soprattutto scrivendo. Perché Vittorio Gassman, l´autore di questo frammento, è stato uno dei più grandi attori italiani di parola del Novecento, ma è stato anche un inguaribile e generoso grafomane. Nella sua casa a un passo da piazza del Popolo, la moglie Diletta D´Andrea ha conservato fedelmente ogni appunto, ogni inedito, ogni abbozzo, ogni nota a margine, ogni epigramma, ogni pensiero famigliare che Gassman depositò in forma di pizzino su qualunque superficie, da un quaderno nero a un foglio volante, da un bloc-notes dei radiotaxi a una pagina della Settimana Enigmistica, da una carta intestata a una carta bollata. Un fitto, vario e prezioso repertorio di creatività intima cui nessuno ha mai finora avuto accesso, e che soltanto a una settimana dall´ottavo anniversario della morte dell´artista, scomparso il 29 giugno del 2000, ci è stato dato di consultare, e in minima parte riprodurre, per privilegio concessoci da Diletta che ha condiviso la vita di Gassman per trentadue anni. Sbirciamo una specie di testamento spirituale del capotribù Vittorio: «Restate come siete, perché mi piacete così. Paola sappia che l´ho amata e stimata sempre, che sempre mi ha infuso una particolare serenità e tenerezza. Lo stesso vale per Vittoria, che ho sempre pensato pure se mi ha avuto vicino meno degli altri. Alessandro sa il bene che gli ho voluto, la mia fiducia nella sua grazia e nei suoi talenti. Jacopo è stato la stella cometa della mia maturità. E tu, Diletta, sei tautologicamente diletta. Datevi tutti da fare e spaccate il culo al mondo. Siete cinque (cinque, e non quattro) figli, compreso Emanuele, e una colonnella. Spaccate, ma con amore, amore che io non ho sempre praticato ma che so essere la più grande e potente delle energie». Trascriveva i suoi sogni che, da buon mattatore che era, paiono mini-sceneggiature o micro-atti unici. Metteva nero su bianco le sue fameliche note di costume sul teatro e sui teatranti, dando spazio a una profonda stima per un altro da sé come Carmelo Bene, nato lo stesso suo giorno dell´anno, il primo settembre. Annotava pensieri sulla depressione («Nulla fa incazzare di più un depresso che sentirsi citare - come consolazione - i tanti grandi che hanno sofferto di quel male. Il depresso si scambierebbe volentieri con un imbecille sereno... «). Documentava con ironica fiscalità i suoi sentimenti, come quando nell´ottobre del 1970 chiese per iscritto la mano a Diletta, per poi sposarla in dicembre. «Tutto cominciò con una lunga chiacchierata a bordo piscina al Torneo Tognazzi», lei ricorda. «Io ero educatamente in crisi con Luciano Salce. Vittorio si presentò con un costume di scena, una giacca tigrata a rigoni neri e viola. Bevemmo. Mi chiese se ci potevamo dare appuntamento la sera successiva, davanti allo zoo. Ci andai col cuore così. Facemmo un salto a Fiumicino per mangiare, e lì c´era un notissimo politico dc con una puttana. Andammo avanti due anni di nascosto. Poi lo dissi a Luciano, cui ho sempre voluto bene. Mi rispose: "Ma te lo meriti?" e subito aggiunse: "Vivi la tua storia". E la nostra prima casa in comune fu questa, la mia, accanto a piazza del Popolo. Poi abbiamo vissuto ai Parioli, poi a via Appennini (nell´abitazione lasciata da mia madre, dove il destino aveva voluto che già fossimo coinquilini quando io avevo 13 anni e lui arrivava atletico ma goffo in piscina, e in ascensore stava a testa bassa), poi a via Flaminia Vecchia, tornando alla fine in quest´attico al centro». Qui Vittorio Gassman aveva per sé uno studiolo che è rimasto impressionantemente uguale, con la scrivania che dà le spalle al finestrone sui tetti di Roma, con le coste dei libri che foderano nello stesso modo lo spazio (Flaubert, Cervantes, Pavese, Hugo, Pound, Diderot, Rabelais, Verlaine, Rousseau, Alfieri, Beckett, Brecht, Camus, Brancati, Brusati, Cechov, Eduardo, Goldoni, Ibsen, Molière, Marlowe, Pasolini, Patroni Griffi, Pinter, Pirandello, i tragici greci, Testori, il manuale dell´attore del Morrocchesi, Wilcock, Shakespeare, Strindberg, Goethe ma anche Calvino, Eco, Bioy Casares e centinaia e centinaia di altri). «Ho sempre stimato il latino più del greco. Il greco è musicale, si attaglia perfino alle canzoni. Ma il latino è chiaro e sintetico. Il primo ha fascino, il secondo persuasione»: è uno dei tanti giudizi gassmaniani su lingue e culture che affiorano come Minima Moralia nelle paginette dense di una calligrafia quasi elementare per nitidezza. E ci sono ovviamente i fascicoli con commenti, studi, analisi logiche ed etimologiche dei testi da lui messi in scena. Ma il collezionista avrebbe un brivido fuori catalogo maneggiando l´introvabile suo volumetto Tre tempi di poesia che lui si pubblicò da solo a 19 anni non ancora compiuti, nel 1941, con un trittico di proprie liriche concettuali e sofferte, e prefazione di Luigi Squarzina, già suo amico e sostenitore. Così come ha una veste unica, con fotocopie di un´edizione Lerici e copertina fatta a mano dall´autore, il romanzo breve Luca dei numeri, sempre risalente agli anni Quaranta, con l´intuizione di un personaggio folgorante. Speculari a quelle inquietudini giovanili piene di presentimenti, affiorano tra cartelline, faldoni e miniere di annotazioni da cassetto gli interrogativi sulla morte e su Dio, sull´esserci e non esserci più. «Alle tre di notte, quella notte, mi svegliai», rammenta Diletta D´Andrea, «e il medico legale disse che era morto proprio alle tre, e io tutte le notti fino ad oggi non vedo l´ora di andare a dormire perché vado a vivere con lui, perché sento che mi vuole vicino. Lo dice anche Steiner, che il sogno è una dimensione della vita. Lui, Vittorio, in sogno mi dice: sai com´è qua? tutti in fila, con la valigetta, io senza dire chi sono, palazzi alti con tante stanzette, e poi arriva Lui, non parla e ti guarda, e io chiedo di poterti telefonare, faccio il tuo numero, e però poi mi metto a piangere, e attacco». Prepotentemente caricaturato, Gassman troneggia anche nel bagno di casa, dove ben sette suoi ritratti ti occhieggiano da ogni lato, infrangendo ogni intimità. Tutto era a misura sua, tutto era programmato, tutto era messo a punto come un copione a orologeria. Come vari pizzini, ritagli e promemoria documentano. «Progettava l´anno, i mesi, la settimana, la giornata. Se una cosa saltava, si scombinava il resto. Scriveva "Giocare con Jacopo dalle 12,00 alle 12,30", e lo faceva. Una volta trovai la dicitura "Voluttà", capii che significava sesso, che mi riguardava, e senza dirglielo gli scombussolai l´orario, divertendomi a confessarglielo dopo. Era ossessionato dagli oggetti, dalle cose, dai conti di casa che teneva di persona lui stesso. Reprimeva con la maniacalità la sua intima tendenza al disordine. Ho cataste di sue pianificazioni, di sceneggiature mai realizzate, di registrazioni di suoi spettacoli, di critiche. Esiste una Fondazione che porta il suo nome, i cui soci fondatori sono la famiglia, Gianni Letta, Walter Veltroni, Carla Fendi, Giovanni Malagò. Spero che arrivi un sostegno pubblico concreto, all´altezza dell´impegno che per decenni ha spinto Vittorio a diffondere la cultura del teatro a tu per tu con varie generazioni». Rimarrà invece di dominio privato tutto il mistero del Vittorio Gassman che amava essere vicino agli altri, che mantenne per anni (anche in casa) un ragazzo gravemente mutilato, o che a Volterra passava molto tempo in totale anonimato coi detenuti, o che dava danaro a chiunque glielo chiedesse per lettera. Così come rimarranno sconosciute certe sue angosce. «Cose che lo colpirono e che non hanno riscontro sulla carta: una perdita di qualche tassello della sua sicurezza alla fine degli anni Ottanta, o, all´ultimo, il fatto che il suo Dante televisivo fosse trasmesso all´una di notte». Diletta è però anche depositaria di felicità mai rivelate. «Come quella volta che lui prese a Venezia il Leone alla carriera, e noi al ricevimento eravamo bellissimi, e uno s´avvicinò e disse: "Lei, Gassman, è depresso perché è un templare che ha smarrito lo scopo, e lei (rivolgendosi a me) è una strega buona che lo aiuta, voi siete stati marito e moglie sempre, e lo sarete ancora nei secoli dei secoli", e Vittorio si girò e sentenziò: "Mi farai diventare piccolo così", e rise, rise come sapeva fare solo lui». Rodolfo Di Giammarco