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 2008  giugno 25 Mercoledì calendario

La Stampa, mercoledì 25 giugno E se fossero, tutti, attori, attori di una grande, eterna commedia all’italiana? Se non fosse per le conseguenze - talora solamente fastidiose, e oltretutto genialmente comiche, talaltra però in tutti i sensi tragiche - storie come quella dell’imprenditorie pugliese Raffaello Follieri potrebbero indurre a credere che davvero l’Italia recente è stata un immenso palcoscenico per finanzieri sedicenti, scalatori senza soldi, pataccari inventori di rivelazioni a uso e consumo delle commissioni parlamentari, ricconi de noantri, furbetti der quartierino, playboy con l’attico a Manhattan ma i conti disperatamente in rosso, in definitiva grandi emuli dell’Albertone nazionale

La Stampa, mercoledì 25 giugno E se fossero, tutti, attori, attori di una grande, eterna commedia all’italiana? Se non fosse per le conseguenze - talora solamente fastidiose, e oltretutto genialmente comiche, talaltra però in tutti i sensi tragiche - storie come quella dell’imprenditorie pugliese Raffaello Follieri potrebbero indurre a credere che davvero l’Italia recente è stata un immenso palcoscenico per finanzieri sedicenti, scalatori senza soldi, pataccari inventori di rivelazioni a uso e consumo delle commissioni parlamentari, ricconi de noantri, furbetti der quartierino, playboy con l’attico a Manhattan ma i conti disperatamente in rosso, in definitiva grandi emuli dell’Albertone nazionale. «Charming italians», li chiama il «New York Times», istituendo un ardito parallelo tra Follieri e Roberto Calvi, il bancarottiere dell’Ambrosiano morto nell’82 a Londra sotto il ponte di Blackfriars, gente capace di fare affari con Chiesa o massoneria, indistintamente, costruendo un mondo favolistico fatto di suggestioni e millanterie, fascino e piacionerie usate chissà come. Talvolta questi tragicomici millantatori all’italiana erano per davvero attori in parti minori, come Igor Marini, sedicente conte fu Zalewski, co-autore della bufala che ha entusiasmato, nel 2004, i giornali di destra, quella della tangente su Telekom-Serbia. Altre volte, come con Follieri, avevano solo un rapporto di ammirazione per il mondo del cinema che li ha portati, tra una millanteria e l’altra (Follieri: «Sono il direttore finanziario del Vaticano»), a fidanzarsi con le stelle che penseresti più inarrivabili: altro che Anna Falchi di Ricucci, Anne Hathaway di Follieri. Non chiedetevi come abbia fatto. stato semplicemente arci-italiano. Sbruffonate e balle E sarà dura ricordarlo ma anche questo siamo stati in questi anni, e la cronaca ne ha fornito conferma. Ci piacciono i soldi, le sbruffonate, la balla di cui (uno pensa) non si paga pegno. Ci piacciono le attrici americane, genio sublime è considerato chi le porta a cena e meglio ancora a casa, ma va bene anche solo raccontarlo al bar. E adoriamo Hollywood. La adora Follieri, la adorava un suo maestro ideale, il finanziere Giancarlo Parretti, ex cameriere di Orvieto, che nel 1990 diede l’assalto nientemeno che alla Metro Goldwin Mayer. Finì arrestato assieme al socio, Florio Fiorini, ex direttore finanziario dell’Eni già passato dal carcere in Svizzera dopo precedente crac. Da latitante fu beccato al quartiere Flaminio di Roma dopo due giorni di pedinamenti: i carabinieri scrissero che entrava e usciva «dai migliori ristoranti con donne sempre diverse e bellissime». Fine di due miti. Il «Wall Street Journal» aveva dedicato a Parretti un ritratto. La scalata era stata finanziata dal Credit Lyonnais, alla cui filiale di Amsterdam Parretti s’era presentato ottenendo oltre 1200 miliardi. Un anno dopo i francesi capirono e si tirarono fuori, accusando Parretti di inadempienza. Ma diamine, ci misero un anno! Potenza del genio nostrano. Mai sottovalutare le risorse del grande commediante italico, uno che non si lascia spaventare dal timore della megalomania. Un pomeriggio Parretti passò tutto il tempo a cercare di parlare al telefono con Silvio Berlusconi - non ancora sceso in politica - e quando ci riuscì, alla fine, vantò che si davano del tu, al punto che al socio Fiorini disse, sprezzante: «Hai visto, rompicazzo, io mi do del tu con Berlusconi e tu sei rimasto al ”Cavalier Berlusconi”, ”Dottor Fiorini...”». «Certo, Giancarlo, ma io non sono mica socialista come voi due». E non è solo un fatto di battuta pronta: uomini capaci di imprese del genere possono farsi passare Bush chiamando il centralino della Casa Bianca e dopo magari, come Igor Marini (o Mario Scaramella, altro storico propalatore di surreali intrecci fantapolitico spionistici tra Russia e Inghilterra, che arrivò a sostenere di essersi autointossicato di polonio), possono figurarsi storie da mille a una notte. Su tutto: su un rubino cinese da 33 milioni di dollari che Marini e un suo sodale, Antonio Volpe, vantano, dalla Thailandia, a garanzia di certi crediti; su un incendio che - accidenti - bruciò i veri e originali documenti d’identità attestanti la nobiltà di Igor; o su come fossero perigliosamente trasbordati a Belgrado i miliardi della «stecca» Telekom: in sacchi di juta, con un altro socio all’italiana, Vincenzo Zagami, che nella carlinga dell’aereo si guarda torvo con il guerrigliero serbo «Jorgo», una delle «tigri» di Arkan, tutti e due armati fino ai denti... L’incredibile è che qualcuno gli crede. Gli ha creduto. Non solo una commissione parlamentare, sarebbe il meno: Isabel Russinova, attrice dall’incerto futuro, ex ragazza del conte Igor come la Hathaway lo era di Raffaello. Ce n’è stato uno che poteva approfittare di un doppio, un omonimo che era davvero truffatore dichiarato: Franco Ambrosio, nei primi anni ”90 re del grano di Napoli, discendente da un casato di mugnai di San Giuseppe Vesuviano, definito da Guido Carli «genio del trading», pomiciniano doc che prima di Tangentopoli avrebbe voluto comprarsi il Napoli e la Philip Morris, e si accontentò poi di un Cessna 650, un fuoribordo Magnum 63 e una villa a La Gaiola, sotto la collina di Posillipo. Quando finì nei guai, i pm trovarono a casa sua una statuina con delfino, sparita dal museo archeologico di Napoli. Amano le belle donne, i grandi commedianti all’italiana; e anche il cinema e l’arte. Jacopo Iacoboni