Francesco Manacorda, La Stampa 25/6/2008, pagina 21, 25 giugno 2008
La Stampa, mercoledì 25 giugno Una mini-recessione per gli Stati Uniti. Poi, verso fine anno, una ripresa che non sarà certo effervescente, ma che manterrà comunque a galla l’economia Usa, mentre i tassi resteranno per ora fermi
La Stampa, mercoledì 25 giugno Una mini-recessione per gli Stati Uniti. Poi, verso fine anno, una ripresa che non sarà certo effervescente, ma che manterrà comunque a galla l’economia Usa, mentre i tassi resteranno per ora fermi. Robert Solow, premio Nobel per l’Economia nel 1987, tra i maggiori esperti mondiali di crescita e ospite in questi giorni della Iseo Summer School, non condivide le paure dell’ex presidente della Fed Alan Greenspan secondo cui gli Stati Uniti sono «sull’orlo» di una recessione. Perché lei è più ottimista di Greenspan, professor Solow? «Penso che il secondo trimestre dell’anno, quello che sta finendo, segnerà probabilmente un lieve calo del Pil e c’è la possibilità che lo stesso accada anche nel prossimo trimestre. Dunque è assolutamente possibile che negli Usa si abbia una piccola recessione, ma allo stato delle cose non appare come un rallentamento importante». E poi che cosa dovrebbe succedere? «Nell’ultimo trimestre dell’anno, diciamo in autunno, la probabilità è che la crescita economica ricominci, anche se lentamente. Non bisogna aspettarsi certo un boom, piuttosto si tratterà di un ”galleggiamento”». Ma perché già a fine anno le cose miglioreranno? «Negli Stati Uniti sono avvenute due cose. Negli ultimi tre anni sono state costruite troppe case basandosi sull’estrema facilità di ottenere mutui e così nel prossimo futuro l’edilizia e il mercato immobiliare resteranno sostanzialmente fermi. Ma questo è un problema tutto sommato non enorme del ciclo economico, che durerà un paio di anni». E allora dove stanno i rischi? «Sui mutui si è creata un’enorme massa di strumenti derivati grazie ad operazioni di vera e propria ingegneria finanziaria. Da lì nasce il vero pericolo per l’economia, ossia che tutto il meccanismo del credito si blocchi, frenando così la crescita nel suo complesso. Questo è quanto è accaduto nei mesi passati, ma alcuni segnali ci dicono che si sta uscendo da questa fase. Ecco, nel quarto trimestre del 2008 se il credito ripartisse davvero, i settori e le società con buone prospettive sarebbero in grado di ottenere di nuovo finanziamenti e quindi di tornare a crescere facendo ripartire l’economia». Lei ha sempre studiato la crescita e l’economia reale. La crisi dei subprime è l’ennesima bolla che scoppia o qualcosa è cambiato nel rapporto tra finanza ed economia? «Quello che caratterizza questa crisi non è il modo in cui la finanza si relaziona all’economia reale, ma un cambiamento nella quantità di rischio generata all’interno dello stesso sistema finanziario. Ogni studente di economia impara che una delle funzioni del sistema finanziario è quella di allocare il rischio insito nelle attività produttive, spostandolo da chi non lo vuole ed è disposto a pagare un certo prezzo per questo e chi invece - in cambio di un compenso - è disposto ad assumersi il rischio. E nel caso dei subprime, invece? «Quel che è avvenuto negli ultimi anni, è che all’interno del sistema finanziario si è cominciato a generare rischi che avevano ben poco a che fare con l’economia reale. E questo è anche il motivo per cui alla fine bisognerà cambiare il modo in cui è regolamentato il sistema finanziario». Le grandi banche americane sono state comunque abilissime a «spalmare» i rischi sul mercato attraverso gli strumenti più oscuri. In Italia proprio il conflitto d’interessi delle banche finisce adesso anche nel mirino dell’Antitrust. Un problema anche negli Usa? «A dire il vero no, non penso che i conflitti d’interesse abbiano giocato un ruolo serio in questa crisi. Non voglio dire che non ci siano conflitti di questo genere, ma certo non sono il problema principale». Come dovrà muoversi adesso la Fed, stretta tra un’inflazione Usa che in maggio ha toccato il 7,2% e il rallentamento dell’economia? «Ha un grosso problema da risolvere. La pressione inflazionistica al momento deriva infatti dal prezzo del petrolio, del cibo e di altre materie prime e non certo dalla crescita dei salari che può essere controllata attraverso la politica monetaria. E non tocca certo alla Fed cercare di far cambiare il corso della domanda e dell’offerta di petrolio o di grano. Quello che l’autorità monetaria può e deve fare è evitare che i prezzi più alti a causa dell’aumento delle materie prime trasmettano i loro effetti all’intera economia». Dunque per ora la Fed resterà ferma... «Con il prezzo del petrolio che è raddoppiato nel giro di pochi mesi non avrebbe alcun senso spingere verso la recessione gli Stati Uniti, attraverso un aumento del costo del denaro, per controllare qualcosa che non si può controllare». Francesco Manacorda