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 2008  giugno 25 Mercoledì calendario

Corriere della Sera, mercoledì 25 giugno Il 2008 si è dimostrato un anno tumultuoso per l’immagine che la Cina ha dato di sé al mondo, e manca ancora un po’ di tempo alle Olimpiadi di Pechino

Corriere della Sera, mercoledì 25 giugno Il 2008 si è dimostrato un anno tumultuoso per l’immagine che la Cina ha dato di sé al mondo, e manca ancora un po’ di tempo alle Olimpiadi di Pechino. Il terremoto del Sichuan ha seguito a ruota i disordini in Tibet e le dimostrazioni al passaggio della fiaccola olimpica. Simpatia e solidarietà, assieme all’ammirazione per gli sforzi del governo cinese nei soccorsi, hanno attenuato gli spiacevoli ricordi dei disordini di Lhasa e dei militari cinesi. Il mondo sta facendo un corso di aggiornamento accelerato sulla Cina. La nostra visione degli eventi è inevitabilmente determinata dalla nostra mentalità occidentale. Ma poiché il centro di gravità del mondo si sta allontanando dall’Occidente, è sempre più importante riuscire a superare i preconcetti e ad ampliare gli orizzonti. Indignati per la questione del Tibet, non abbiamo notato che nella maggior parte delle città le dimostrazioni a favore delle Olimpiadi erano assai più consistenti di quelle contrarie. A Londra, Parigi, Atene e San Francisco, è vero, i dimostranti pro-Tibet erano molto più numerosi di coloro che esprimevano il sostegno ai giochi. A Canberra, però, 10 mila persone hanno dimostrato a favore dei giochi, superando di molto il numero dei contestatori. A Seul i sostenitori sono stati migliaia, come pure a Nagano in Giappone, anche qui superando i contestatori; la stessa cosa è successa a Kuala Lumpur, Giacarta, Bangkok, Ho Chi Minh City e Hong Kong. Tra i dimostranti a favore dei giochi di Pechino vi era una preponderante presenza di cinesi: studenti provenienti dalla madrepatria o esponenti delle comunità cinesi locali. La diaspora cinese ha in molti Paesi una lunga storia, a volte risalente all’Ottocento o, nel caso delle migrazioni verso il Sudest asiatico, a tempi anche più lontani. Ha sovente caratteristiche non omogenee: è formata da chi è arrivato da varie generazioni, provenendo da Hong Kong e dalla Cina meridionale, ma anche da ondate di nuovi emigrati, spesso poveri e irregolari; bisogna poi considerare gli studenti, in numero crescente, e il personale che tratta gli interessi economici internazionali della Cina, presente soprattutto nei Paesi confinanti. In Africa si stima che vi siano attualmente almeno mezzo milione di cinesi, molti dei quali sono arrivati di recente. Più di 7 milioni di cinesi vivono in Indonesia, altrettanti sia in Malaysia che in Thailandia, un milione sono in Birmania e un milione in Russia, 1,3 milioni in Perù, 3,3 negli Usa, 700 mila in Australia e 400 mila in Gran Bretagna. Il totale supera, probabilmente di molto, i 40 milioni. Nonostante le disomogeneità delle loro comunità (riferibili sia alle origini che alla data di arrivo), i cinesi espatriati hanno in comune un forte senso di identità e un grande attaccamento alla madrepatria, sentimenti che tendono a travalicare le differenze locali e politiche. Quest’affinità si manifesta in molti modi. I cinesi all’estero hanno avuto un ruolo cruciale nella crescita economica della Cina, dato che a partire dalla fine degli anni Settanta sono stati tra i maggiori investitori nel loro Paese d’origine. Secondo la Banca Mondiale, nel 2007 la Cina è stata seconda solo all’India per la quantità delle rimesse: quasi 26 miliardi di dollari. In altri casi di diaspora, chi vive all’estero gode spesso di maggior prestigio di chi rimane; nel caso dei cinesi succede il contrario. Per loro il prestigio sociale ha origine dal Regno di Mezzo, al punto che gli immigranti più recenti tendono a godere di maggior stima rispetto a chi si è stabilito da tempo in una comunità all’estero. Fino a qualche tempo fa la Cina tendeva a disprezzare chi lasciava il Paese, ma da quando è cominciato il periodo delle riforme, da circa trent’anni, il governo ha avuto sempre più considerazione per le comunità cinesi all’estero e ha cercato di stabilire con esse maggiori legami culturali ed economici. Non è difficile immaginare l’orgoglio con cui i cinesi residenti all’estero guardano alla crescita della Cina. Il loro Paese, che per due secoli è stato considerato sinonimo di povertà e fallimento, è ora giunto in breve tempo a una posizione di grande importanza e prestigio internazionale. Canali tv di tutto il mondo trasmettono programmi sulla Cina, e in molti Paesi sempre più persone vogliono imparare il mandarino. Non deve quindi sorprendere che l’attrazione esercitata dalla Cina sulle sue comunità estere sia notevolmente cresciuta. Scendendo in piazza in così tante città e in così gran numero per dimostrare a favore delle Olimpiadi di Pechino, i cinesi all’estero hanno dimostrato di essere una grande forza politica, sia nei Paesi adottivi che per il governo cinese. Un fenomeno di questo tipo, naturalmente, non è né nuovo né limitato ai cinesi. Le comunità formate dalle diaspore hanno spesso avuto un ruolo importante nell’appoggiare la madrepatria: l’esempio più significativo è quello della diaspora ebraica nei confronti di Israele. La diaspora dei cinesi, però, ha tre caratteristiche distintive. In primo luogo è di notevole entità ed è estesa a tutto il mondo, dall’Africa all’Europa, all’Asia orientale alle Americhe. In secondo luogo, per ragioni storiche e culturali, ha un legame insolitamente forte con il Regno di Mezzo. Infine la Cina è già una potenza mondiale ed è forse destinata a diventare il Paese più potente del mondo. Mentre la sua crescita continua, e i suoi interessi internazionali si espandono esponenzialmente, è probabile che la diaspora aumenti, sostenuta dal successo economico della madrepatria, che diventi sempre più prospera, goda di sempre maggior prestigio in conseguenza del maggior prestigio della Cina, e trovi sempre più affinità con il Paese d’origine. Per mantenere il senso delle proporzioni storiche bisogna però dire che la diaspora cinese sarà sempre meno influente di quella europea. Quest’ultima è infatti talmente diffusa, e si è protratta così a lungo, da essere data per scontata al punto da non riconoscerne neppure più l’esistenza, per non parlare dei suoi effetti. A differenza della diaspora cinese, causata soprattutto dalla povertà della Cina, la diaspora europea è stata in gran parte conseguenza dell’espansione coloniale. I monumenti più importanti della diaspora europea sono quei Paesi in cui i colonizzatori bianchi sono riusciti a diventare la maggioranza dopo aver eliminato le popolazioni indigene, come è avvenuto negli Usa, in Canada, Australia e Nuova Zelanda. Oggi parliamo abitualmente di Occidente e di mondo occidentale, ma questo si identifica in realtà con l’Europa e le terre in cui gli europei della diaspora si sono installati, cioè di «ramificazioni occidentali », come le chiama lo storico Angus Maddison. L’Occidente, come sappiamo, ha dominato il mondo negli ultimi 200 anni. Per quanto potente possa diventare la Cina, sembra inconcepibile che la sua diaspora possa mai esercitare un’influenza simile a quella europea. Martin Jacques