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 2008  giugno 25 Mercoledì calendario

Corriere della Sera, mercoledì 25 giugno La polizia ha trovato il sotterraneo nel quale sarebbe stata segregata Emanuela Orlandi, secondo il racconto della ex amante del «bandito della Magliana» Enrico De Pedis

Corriere della Sera, mercoledì 25 giugno La polizia ha trovato il sotterraneo nel quale sarebbe stata segregata Emanuela Orlandi, secondo il racconto della ex amante del «bandito della Magliana» Enrico De Pedis. Una serie di cunicoli con l’accesso diretto in un appartamento del quartiere di Monteverde. Non solo. Nel periodo successivo alla scomparsa della ragazza allora quindicenne emerge un consumo di energia in quei sotterranei che prima e dopo, come emerge dalla bolletta elettrica, non c’era. E in quei meandri fu realizzato un bagnetto, come se effettivamente avesse dovuto viverci qualcuno. Particolari che – riferiti così – darebbero credibilità al racconto di Sabrina Minardi, la donna che visse i primi anni Ottanta, poco più che ventenne, al fianco del boss della componente «testaccina» della Magliana; quella che aveva contatti con i servizi segreti, la mafia siciliana, uomini coinvolti nel crack del Banco Ambrosiano. Ma c’è un particolare che non torna e rischia di demolire alla base il racconto sulla prigionia di Emanuela Orlandi dell’ex ragazza innamorata del bandito e della «bella vita»: la padrona di quella casa, che attraverso la sua governante avrebbe avuto il compito di accudire la sequestrata, in quel periodo era in carcere. E dunque tutto poteva fare tranne che gestire un sequestro di persona. Si chiama Daniela Mobili, ed era legata a Danilo Abbruciati, un altro «testaccino». Il quale però, all’epoca della sparizione di Emanuela, era già morto da un anno. Ammazzato mentre era «in trasferta» a Milano, dove aveva appena sparato al vice-presidente dell’Ambrosiano Roberto Rosone. Si può leggere così il racconto di Sabrina Minardi agli investigatori della Squadra mobile di Roma, una catena di fatti (o presunti tali) tenuti insieme da qualche riscontro indiretto e spezzati da altrettante clamorose smentite. A chi si occupa di indagini capita di incontrare personaggi così, che dicono cose verosimili condendole di particolari verificabili e altri che non possono esserlo, oppure che appaiono subito delle menzogne. Infilate nel racconto chissà perché: per affascinare chi ascolta o per inquinare tutto, per protagonismo o per paura. Di solito gli investigatori trattano questi particolari testimoni con molta cautela, utilizzandoli come spunto d’indagine al quale, per approdare a qualcosa di concreto, devono necessariamente aggiungersi altri elementi. E così si sta facendo con la Minardi, oggi quarantottenne, che la polizia è andata a cercare di sua iniziativa, dopo alcune dichiarazioni televisive risalenti a un paio d’anni fa. Sottoponendo le dichiarazioni della donna a un «vaglio particolarmente critico», come si dice quando l’affidabilità del testimone è ancora incerta. Il fatto che la donna del boss sia stata cercata per chiederle se sapeva qualcosa del «caso Orlandi » (davanti alle telecamere di Chi l’ha visto? aveva detto di no), nel tentativo di trovare la soluzione di uno dei tanti misteri romani irrisolti, esclude il protagonismo della «supertestimone » in cerca di notorietà e di qualche vantaggio a 25 anni dai fatti. Ma subito dopo ecco la clamorosa incongruenza di mescolare la presunta morte di Emanuela con quella di Domenico Nicitra, scomparso dieci anni dopo e quando De Pedis era stato ucciso da tre. Inoltre in tv la donna dà un’altra versione sull’omicidio del ragazzino, «sciolto nell’acido» anziché gettato in un cantiere. Anche sul capitolo dedicato a monsignor Marcinkus, che ha provocato l’indignata reazione del Vaticano, c’è qualcosa che torna e qualcosa che no. La Minardi, oltre che indicarlo come mandante del sequestro Orlandi, racconta che procurava le prostitute al monsignore presidente dello Ior (la banca vaticana che lei chiama «Ilor», confondendola con la vecchia tassa locale sui redditi). Gliele portava a casa, dice. Le accompagnava personalmente. Ha descritto l’appartamento, che gli investigatori ritengono di aver individuato. E su altri particolari credono di poter trovare ulteriori riscontri. A partire dall’identificazione di alcuni personaggi che popolano i racconti della donna. Ma il fatto che nei verbali di polizia non ci sia ciò che l’ex amante di De Pedis ha detto nell’intervista televisiva del 2006 su come conobbe Marcinkus – una cena a a casa del «faccendiere» Flavio Carboni, dove incontrò il presidente dell’Ambrosiano Roberto Calvi che glielo presentò, e poi le mise a disposizione il suo aereo privato per portare i genitori malati a Parigi – potrebbe tradursi in indebolimento della sua credibilità. Perché su quegli episodi si possono cercare riscontri solo se finiscono in una testimonianza ufficiale. L’altra cena riferita dalla donna – stavolta a casa di Andreotti in compagnia del ricercato De Pedis, questa sì raccontata agli investigatori oltre che in tv – sembra un’aggiunta poco credibile, anche se la Procura non ha ancora affidato alla polizia i relativi accertamenti. Restano quindi le ambiguità di una testimonianza tutta da verificare, a proposito di una vicenda che ha comunque dei capisaldi ben piantati nella realtà: il lungo rapporto tra la Minardi e De Pedis; l’incomprensibile sepoltura del bandito in territorio vaticano, la basilica di Sant’Apollinare, motivata da «iniziative di bene » e dall’interesse del defunto «per la formazione cristiana e umana dei giovani»; il coinvolgimento dei «testaccini» della banda della Magliana nella vicenda del Banco Ambrosiano (dove Marcinkus ebbe un ruolo non certo secondario) confermato dal ferimento del vice-presidente Rosone per mano di Abbruciati, rimasto ucciso nell’agguato. Giovanni Bianconi