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 2008  giugno 24 Martedì calendario

I comuni che vogliono emigrare. Avvenire, martedì 24 giugno «Dieci, cento, mille La­mon! » . Era l’urlo di tanti, da molto tem­po trattenuto in gola e infine e­sploso nell’autunno del 2005

I comuni che vogliono emigrare. Avvenire, martedì 24 giugno «Dieci, cento, mille La­mon! » . Era l’urlo di tanti, da molto tem­po trattenuto in gola e infine e­sploso nell’autunno del 2005. La richiesta di passaggio del paese veneto dalla provincia di Belluno a quella autonoma di Trento, at­traverso referendum, aveva rap­presentato l’inizio di quella che qualcuno ha chiamato « secessio­ne dolce » : piccoli centri situati al confine con le Regioni a statuto speciale ( ma non solo) che chie­devano di migrare per poter so­pravvivere. Sopravvivere alla fuga dei propri abitanti, all’invecchia­mento della popolazione, alla scomparsa progressiva di scuole e servizi sociali essenziali. In al­tri casi l’obiettivo è migliorare la qualità della vita e ridare linfa a comunità in crisi. Oggi il fronte dell’Italia profonda nato a La­mon, è a metà del guado e la bat­taglia per un autogoverno che faccia (ri)vivere il territorio rischia seriamente di essere persa. Per­ché i Comuni di confine, quelli piccoli e ancor più quelli picco­lissimi, procedono ormai in ordine sparso e la com­pattezza degli ini­zi è un ricordo. C’è chi ha deciso di muoversi attraver­so la consultazio­ne popolare com’è accaduto già in u­na trentina di casi, buoni ultimi, nel marzo scorso, i Comuni di Sappa­da e Pedemonte, che hanno seguito l’esempio della più famosa Cortina. C’è chi ha seguito l’invito a unire le forze nell’Associazione comu­ni confinanti ( Asscomiconf) che riunisce centinaia di municipi in­tenzionati a chiedere fondi al go­verno centrale proprio per pre­venire la fuga dei Comuni; c’è in­fine chi, la maggioranza, mantie­ne il piede in due scarpe e aspet­ta di capire cosa porterà di nuo­vo la legislatura appena comin­ciata, soprattutto in tema di fe­deralismo fiscale. La mappa della «rivolta» . I fatti dicono che il percorso dei Co­muni referendari si è interrotto il 26 luglio 2007, quando la Com­missione Affari costituzionali del­la Camera ha riconosciuto il di­ritto di «distacco» dei Comuni che lo richiedono. L’iter è tutt’altro che concluso, visto che sulla car­ta sarebbe necessario il doppio voto di Camera e Senato e il voto dei Consigli regionali di partenza e d’arrivo. In que­sta situazione di impasse si trovano, secondo i dati for­niti dal ministero dell’Interno, 34 Comuni: il males­sere si annida so­prattutto a Norde­st, dove le sirene del Trentino e del Friuli hanno finito per sedurre 20 Co­muni, ma segnali di ribellione arri­vano anche dalle località al confine tra Marche ed E­milia- Romagna ( 11 casi di refe­rendum validi) dal Nordovest ( 2 casi) e dal Sud, con la richiesta di Savignano Irpino di passare dal­la Campania alla Puglia. Quelli che aspettano. In lista d’at­tesa ci sono invece due centri in provincia di Brescia ( Valvestino e Magasa) che dalla Lombardia vorrebbero passare in Trentino e che hanno già avuto ordinanza di ammissione al referendum dalla Corte di Cassazione, presso cui ha da pochi giorni depositato la stessa istanza il Comune di Me­duna di Livenza che da Treviso vorrebbe passare al Friuli- Vene­zia Giulia. Nel frattempo è suc­cesso dell’altro. Nel marzo scor­so 99 Comuni appartenenti al­l’Asscomiconf hanno ottenuto i finanziamenti del fondo Lanzil­­lotta: 25 milioni di euro distribuiti rispettivamente all’area confi­nante con la Valle d’Aosta (5,5 mi­lioni) alle zone confinanti con il Trentino Alto Adige ( 11,9 milioni) e ai Comuni veneti limitrofi al Friuli- Venezia Giulia ( 7,6 milio­ni). « Non c’è dubbio che il rischio della frammentazione nelle i­stanze dei piccoli Comuni ci sia – ammette Sergio Reolon, presi­dente della Provincia di Belluno ”. Il problema non è solo di fon­di, ma anche di competenze. Co­me tutti gli strumenti, il referen­dum ha dato delle risposte radi­cali, creando da Lamon un effet­to domino che fa sembrare tutti i casi uguali. Invece è necessario distinguere e differenziare » . Bel­luno ad esempio mira all’istitu­zione delle Province speciali montane a partire dal ragiona­mento secondo cui chi vive in un Comune di montagna vuole es­sere governato con criteri e poli­tiche adatte a quel tipo di territo­rio, mentre spesso e volentieri è ancora la metropoli, sia essa il ca­poluogo di regione o di provin­cia, a determinare tutto: obietti­vi e strategie, sia del centro che della periferia. Così i piani d’azio­ne dei sindaci si dividono: chi cer­ca di convogliare il consenso popola­re su azioni come la consultazione tra i cittadini per­messa dall’artico­lo 132 della Costi­tuzione e chi pun­ta a ottenere quel che serve dal pun­to di vista econo­mico per garantire lo scuolabus ai bimbi, gli incen­tivi per le ristrutturazioni delle case nei centri storici, i benefit per i piccoli imprenditori del posto. Alleanze anomale. «Normalmen­te i Comuni molto piccoli – spie­ga l’ex ministro agli Affari regio­nali, Linda Lanzillotta – non han­no la forza per indire un referen­dum. Prima viene il loro bisogno di sopravvivenza, che li porta a cercare soluzioni di breve e me­dio periodo per garantire la sus­sistenza quotidiana ai loro citta­dini» . Il successore della Lanzil­lotta, Raffaele Fitto, in attesa di capire quali risorse verranno messe a disposizione dal Tesoro per affrontare la questione, ha ri­mandato a settembre il confron­to su un altro tema, quello delle comunità montane e delle pro­vince, mentre più esplicito è sta­to il suo collega ( veneto) Mauri­zio Sacconi. « Il federalismo fisca­le – ha detto – arriverà comun­que, prima di ogni istanza, e tra­volgerà tutti» . Quel che già sta av­venendo è un ri­mescolamento, intorno alle ri­chieste dei Co­muni confinanti, delle alleanze su base nazionale. Un esempio? Due senatori della Le­ga Nord, il trenti­no Sergio Divina e il « feltrino » Gianvittore Vac­cari, hanno so­stenuto per con­to del Carroccio le istanze dei Co­muni referendari e lo stesso ha fatto il deputato veneto del Pd Gianclaudio Bressa, che ha pre­sentato tre proposte di legge in appoggio alla richiesta di cam­biare regione da parte di alcuni centri. Più freddo invece il Popo­lo della libertà, che ha nel gover­natore del Veneto Giancarlo Ga­lan uno strenuo difensore degli attuali confini. Lui, all’urlo del po­polo di Lamon, ha sempre rispo­sto a modo suo. «Vogliono la se­cessione dolce? Bene, allora per­ché non pensare che tutto il Ve­neto passi in Trentino?». Diego Motta