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 2008  giugno 24 Martedì calendario

Corriere della Sera, martedì 24 giugno Milano. La stanza è la stessa di Enrico Mattei. Una grande foto del fondatore dell’Eni campeggia tra le due finestre che si aprono sul panorama della pianura padana

Corriere della Sera, martedì 24 giugno Milano. La stanza è la stessa di Enrico Mattei. Una grande foto del fondatore dell’Eni campeggia tra le due finestre che si aprono sul panorama della pianura padana. In quell’ufficio alle porte di Milano dal 2002 siede Roberto Poli che alterna l’impegno di presidente con il suo studio professionale, uno dei più considerati in campo societario e di finanza aziendale; ma in questi sei anni quello che era un lavoro, la presidenza dell’Eni, è diventata oltre che una passione una solida e profonda conoscenza del mercato dell’energia. Iniziando il suo terzo mandato all’Eni, usa questa chiave come passepartout per capire quella che si sta dimostrando una delle fasi sia economiche sia politiche più complesse, tra le quali spicca «il nuovo urbanesimo», termine da lui coniato per dare una spiegazione originale al sempre maggiore bisogno di energia del mondo contemporaneo. Intanto il prezzo del barile continua la sua corsa. Ed è inutile chiedergli previsioni. Già, ma come è potuto accadere? «Da questo osservatorio privilegiato che è la presidenza dell’Eni ho capito quanto la globalizzazione abbia reso veloci i cambiamenti». Qualche mese fa ci disse in un’intervista che un anno di oggi corrisponde a 5 anni di trent’anni orsono, è questo il ritmo? «Non sono l’unico a pensarla così. Anche Tony Blair in una recente intervista al Corriere della Sera ha sostenuto che l’accelerazione dei cambiamenti è ormai un fattore cruciale della nostra epoca». Ma se il mondo è così veloce, l’Italia e l’Eni possono giocare una partita così complessa e in evoluzione come quella dell’energia? «Certo. Si deve essere consapevoli di lavorare e agire in un mondo in profondo cambiamento. Se la Total va a fare il nucleare negli Emirati è chiaro che si stanno producendo modificazioni non uniformi. Le compagnie che oggi si dicono petrolifere si avvieranno a diventare compagnie energetiche anche se il core business rimane petrolio e gas. Non solo. Non tutte seguiranno un modello unico». E quale sarà quello dell’Eni? «Eni è sempre stata, e lo sarà ancora di più in futuro, fortemente integrata. Si pensi alla Saipem (oggi la migliore azienda del mondo nel suo settore) oppure alla integrazione completa del settore gas ove Eni è non soltanto la più grande azienda europea ma l’unica ad avere un’attività dalla ricerca, alla produzione, al trasporto fino alla vendita al cliente. E questo per le intuizioni del fondatore Mattei, la cui figura è stata rivalutata da me e da Paolo Scaroni negli ultimi anni tanto che tra di noi diciamo di "aver riportato Mattei a casa sua"». Mattei però lavorava in una situazione ben diversa e lontana. «Il tipo di strategia conteneva fondamentali che ancora oggi sono decisivi. Si pensi alla relazione con i Paesi che posseggono risorse e si capirà quale qualità di rapporto noi intendiamo avere con i Paesi produttori come dimostrano le decisioni di investimento recenti». Russia, Venezuela sono Paesi difficili... «E’ per questo che parlo di qualità delle relazioni. Tese ad una politica di grande attenzione nei confronti di quei Paesi». Ma in Europa prevale la paura della Russia, di un colosso come Gazprom. «Una paura eccessiva. E’ chiaro che volendo emergere la Russia utilizzi la sua migliore società come piattaforma di espansione. Per chi conosce e frequenta ad esempio l’ambasciatore a Roma Aleksei Meshkov sa quanto lui si senta europeo e quanto incarni un comune sentimento a Mosca. Per quanto ci riguarda, quella con la Russia è una relazione che risale ancora una volta a Mattei. Quello stesso Mattei che ebbe intuizioni come il progetto dell’Autostrada del Sole e la costruzione – subito dopo la nascita di Euratom (1957) – della centrale nucleare di Latina, la più grande tra le poche esistenti allora». Le sue connessioni con la politica erano forti però. «Era sicuramente un personaggio scomodo per i politici e quindi doveva venirci a patti, anche se il comportamento poteva sembrare disinvolto. Ma se non avesse ragionato in termini strategici oggi l’Eni non sarebbe esistita. E per l’Italia la partita energetica sarebbe stata ben più difficile. Ed energia e finanza come riconosciuto da Giulio Tremonti nel suo libro, sono i due fenomeni più rilevanti assieme a un terzo che vorrei aggiungere: il nuovo urbanesimo ». Cosa intende per nuovo urbanesimo? «Si è sempre parlato del fabbisogno rilevante e crescente di energia dei nuovi Paesi emergenti senza correlazioni con il nuovo urbanesimo, vale a dire quegli epocali flussi migratori che hanno cambiato radicalmente la geografia: nel 1950 il 29% della popolazione mondiale era urbana e il resto rurale, nel 2008 la proporzione sarà 50 e 50 mentre nel 2050 si prevede che si sarà invertita: il 70% delle persone vivranno in città il 30% in campagna». Un altro effetto di un mondo che si restringe o che si globalizza... «Non si muovono solo le merci, i servizi, i capitali, ma anche le persone. E coesistono due tipi di migrazioni, quelle interne (il nuovo urbanesimo) e quelle da Paesi poveri a Paesi sviluppati». Ma questo cosa produce? «Intanto spiega gli incrementi di produttività: in città lavorando nelle industrie si hanno forti incrementi di produttività; nel tempo il fenomeno, come accaduto in Italia, tende a decrescere e così accadrà anche in Cina. E poi i nuovi stili di vita dalle case riscaldate ai mezzi di trasporto, agli uffici con aria condizionata creano fabbisogni sempre maggiori di energia. E creano crescenti quantità di rifiuti urbani il cui utilizzo razionale è un fenomeno non soltanto ecologico ma da correlarsi alla produzione di energia ed al recupero dei materiali». E come si farà fronte al fabbisogno di energia? «I filoni sono tre: risparmio energetico, energie da fonti alternative, combustibili fossili (solidi, liquidi e gassosi), con un vincolo preciso: il rispetto dell’ambiente che ci circonda». Daniele Manca