Pierluigi Panza, Corriere della Sera 24/6/2008, 24 giugno 2008
di PIERLUIGI PANZA La vita, si sa, non è una favola; e non la fu nemmeno quella del più grande scrittore di favole, Hans Christian Andersen
di PIERLUIGI PANZA La vita, si sa, non è una favola; e non la fu nemmeno quella del più grande scrittore di favole, Hans Christian Andersen. Nacque povero, da una lavandaia con problemi di alcool e da un padre ciabattino (proprio come Winckelmann) che morì quando lui era appena un ragazzo, e lasciò questa vita senza aver mai coronato alcun sogno d’amore. A raccontarci la travagliata vita sentimentale dello scrittore danese è un discendente della famiglia, Anthony Majanlahti di padre finlandese, madre inglese, nato a Montreal, cresciuto a Toronto, dottorato a Roma, storico sociale, la cui trisavola, Karen, era la sorella di Hans Christian che gli ispirò La ragazza dalle scarpette rosse, la fiaba dove la protagonista chiede al boia di tagliarle i piedi per smettere di danzare (la famiglia Andersen soffriva di disturbi alle gambe). Più che una fiaba, un noir alla Stephen King. «Il rapporto di Andersen con i sentimenti e la sessualità fu davvero difficile. S’innamorava solo di donne (e qualche volta di uomini) impossibili perché già fidanzate o in vista del matrimonio e non ebbe mai figli, perché pensava che i bambini nuocessero alla creatività. Con questo non voglio dire che non amasse i bambini; era un tenero zio». Di certo aveva un rapporto con i sentimenti di tipo adolescenziale. E nelle avventure dei personaggi delle sue fiabe (autentico paradiso di ogni psicanalista) riflette le sfortune della sua autobiografia sentimentale: «La piccola fiammiferaia è una storia di violenze e casualità che ricorda l’infelice rapporto con la madre. Il brutto anatroccolo è Andersen stesso, che era brutto e timido. L’Usignolo, invece, era una delle tre donne della sua vita: la cantante svedese Jenny Lind. Non ebbe mai il coraggio di confessare i suoi sentimenti alla Lind, né il coraggio di chiederle a voce di sposarlo. Glielo scrisse su un bigliettino che le diede mentre lei stava per salire su un treno». Roba da Ultimo bacio. Morale: lui continuò a scriverle e quando lei si sposò, all’alba dei cinquant’anni, Andersen non se la sentì di andare in chiesa per la cerimonia. Era frustrato perché lei lo chiamava «Caro fratello…». E si sa, se sei amico di una donna «non ci combinerai mai niente...» S’innamorò anche della sorella di un amico di scuola, Riborg Voigt, che, naturalmente, come le altre donne da lui amate, era già impegnata. La Voigt era fidanzata con il figlio del farmacista locale, che sposò nel 1831. «Fu una terribile delusione: una sacca di pelle contenente una lettera della donna fu trovata al collo dello scrittore quando morì. E fu sepolto con quella lettera sul cuore». Un romantico alla Werther! Naturalmente tutto ciò si ritrova «paro paro» nella sua letteratura. In Peer fortunato, ad esempio, Peer, proprio mentre tocca il cielo con un dito, cogliendo insieme il trionfo pubblico e l’amore della ragazza sognata, muore perché il suo cuore non regge all’emozione. Proprio come Hans Christian con i suoi amori mai a buon fine. La vicenda più passionale e intricata fu quella che lo legò a due fratelli: una femmina e un maschio. «Andersen era povero, e per studiare aveva bisogno di soldi. Chiese un patrocinio, che gli venne accordato nel 1822 da Jonas Collin, uno dei direttori del Royal Theater; e così entrò alla scuola di letteratura di Slagelse. Collin aveva quattro figli e di due di questi Andersen si innamorò. Dapprima provò sentimenti per la figlia Louise, che si sposò l’anno dopo con un altro. Poi i suoi sentimenti e le sue emozioni si rivolsero verso il fratello Edvard. E furono sentimenti veri, come rivela una lettera: "I miei sentimenti per te – scrive Andersen a Edvard – sono quelli di una donna. La femminilità della mia natura, e la natura della nostra amicizia devono rimanere un mistero". Edvard, però, non era omosessuale, e quindi non poteva ricambiare certi sentimenti. Restò un fedele amico tanto che, Andersen è sepolto in una tomba tra lui, che per molti anni fu il suo manager, e sua moglie». Non si trasformò in vero amore neanche il sentimento verso il nobile Carlo Alessandro di Weimar, un bel giovane ventenne conosciuto in una sera alla corte di Copenaghen, quando lo scrittore danese era già una celebrità. «Tra loro – racconta Majanlahti – restò solo un sentimento di amicizia, e non è chiaro se Andersen si sia esplicitamente dichiarato». Impotente? «Non saprei dire – afferma il bisnipote ”, ma di certo la sua era una sessualità poco formata ». Andersen, insomma, riversò negli aspetti rituali e un po’ noir di alcune sue fiabe il languido struggimento e l’amarezza delle sue favole di vita mai a lieto fine. «Di fatto non raggiunse mai gli oggetti del suo desiderio: cercava cose impossibili e ostacoli insuperabili. Sofferenza e struggimento lo rendevano creativo. Inoltre aveva coscienza di essere un brutto e timido anatroccolo ». Leggendo in filigrana le fiabe ci si può accorgere di tutto. « Il soldatino di stagno, ad esempio, s’innamora di una ballerina che è di carta, cioè fragile, ma per salvarla viene buttato dal bambino nel focolare dove, sciogliendosi, il suo stagno forma un cuore»: c’è qualcosa di più straziante? Aiuto. E pure la Sirenetta non se la passa bene: «Deve rinunciare a tutto, fare dei sacrifici grandi in vista dell’amore». Insomma, Andersen è stato uno scrittore di grande sensibilità. Ma è bene che i bimbi non sappiano troppo cosa sta dietro le sue quasi cinquanta fiabe. Favole & realtà