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 2008  giugno 10 Martedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 23 GIUGNO 2008

Stamattina mezzo milione di studenti affronta la terza prova scritta dell’esame di Maturità, il cosiddetto ”Quizzone”. La settimana scorsa le prime due prove hanno suscitato molte polemiche, in particolare ha fatto discutere una traccia per il tema in cui veniva chiesto di commentare «il ruolo salvifico e consolatorio svolto dalla figura femminile» nella poesia Ripenso il tuo sorriso di Eugenio Montale, che fu invece dedicata al ballerino russo Boris Kniaseff. Altre polemiche per la seconda prova scritta: agli aspiranti tecnici turistici è stata fornita un’intervista ai titolari di una struttura alberghiera della Namibia dotati di scarsa familiarità con l’inglese. L’anglista Sergio Perosa: «Poveri noi, in che mani». [1]

La caccia agli errori (la lista potrebbe continuare) è andata avanti per giorni, i responsabili hanno respinto ogni accusa (l’inglese era sgrammaticato apposta ecc.), qualcuno ha fatto da capro espiatorio. [1] PERTURA FOGLIO DEI FOGLI 23 GIUGNO 2008.

Siccome episodi simili si ripetono ogni anno, l’Aduc (associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori) ne ha tratto la conclusione che «la grande riforma di civiltà scolastica e umana sarebbe una sola: abolire gli esami di maturità». [2] Tutto questo mentre si parla di un ritorno degli esami di riparazione, cancellati nel 1996. [3]

La settimana scorsa Mariastella Gelmini, da un paio di mesi ministro dell’Istruzione, ha sollevato il problema degli stipendi degli insegnanti. «Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. Fosse in Germania, ne guadagnerebbe ventimila in più. In Finlandia sedicimila in più. La media Ocse è superiore a 40 mila». [4]

Il problema di fondo è il rimbalzo psicologico che lo stipendiuccio produce sugli insegnanti. Marco Lodoli (insegnante/scrittore): «Un insegnante dovrebbe sentirsi partecipe della vita culturale della nazione, dovrebbe poter comprare libri e riviste letterarie e scientifiche, vedere al cinema i film di cui si discute, andare a teatro, alle mostre, ai convegni, riflettere su tutto quanto per trasmettere ai suoi allievi il senso e l’energia del tempo presente. Tutto questo - proprio per una certa indigenza di fondo - non avviene». [5]

Nessuna azienda privata penserebbe mai di aver successo con dipendenti sfiduciati, senza entusiasmo per il loro lavoro. Francesco Giavazzi: «Sono pagati troppo poco i nostri insegnanti? A Milano forse sì, a Noto, dove la vita costa la metà, non so. Ma se gli stipendi fossero davvero così bassi, perché ci sono le code ai concorsi, perché cinquantamila precari premono per essere assunti nella scuola anziché cercare lavoro altrove? La realtà è che la scuola oggi offre un contratto perverso: un salario modesto in cambio di nessun controllo, neppure se l’insegnante è evidentemente incapace, neppure se passa da una assenza per malattia all’altra. Gli ottimi insegnanti, e sono moltissimi, in particolare negli asili e nelle scuole elementari, non lo sono per effetto di un sistema di incentivi ben disegnato. Sono semplicemente dei ”santi”. Questo, ognuno lo vede, non può essere il criterio sul quale fondare un sistema scolastico». [6]

La questione economica esiste ma ce ne sono molte altre. Paola Mastrocola (insegnante/scrittrice): «Oggi le graduatorie si basano sul numero dei figli e sull’anzianità. Proporrei una valutazione non sulla quantità di ore che si sta a scuola ma sulla qualità. La verità è che dovrebbero ridarci una dignità prima dei soldi perché la stanno distruggendo. Prendiamo il caso dei corsi di recupero, un’idea giusta ma si sta rivelando un disastro, gli insegnanti sono subissati di pratiche burocratiche, di documenti che certifichino il recupero o la sua insufficienza, carte per autotutelarsi, per non avere ricorsi. Noi professori siamo subissati di competenze che non ci competono e l’alunno sa che il professore può essere colto in fallo». [7]

All’inizio del mese il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso dei Cobas che chiedevano l’annullamento del decreto e della circolare dell’ex ministro Fioroni sul recupero dei debiti formativi per gli studenti delle superiori. Mario Reggio: «Al termine dell’anno scolastico si svolgono gli scrutini definitivi. Ma con quanti debiti formativi si rischia di essere bocciati e ripetere l’ anno? il collegio dei docenti a fissare quale dovrà essere il limite massimo di materie che potrà essere recuperato e stabilire il nesso tra carenze gravi e lievi. In base a questi principi il Consiglio di classe stabilisce quali e quanti sono i debiti formativi per gli studenti che sono in ritardo nella preparazione. I recuperi durante il periodo estivo sono obbligatori». [8]

Tante famiglie italiane con le vacanze rovinate, ha commentato qualcuno appena saputo della decisione del Consiglio di Stato. Fioroni: «Non è più possibile che i genitori facciano i sindacalisti dei figli. Per il loro bene, i genitori devono collaborare con la scuola. Per il bene loro, e per il bene del Paese. Un asino con debiti da 4 in matematica che passa l’anno come il suo compagno di banco che in quella materia ha un 9 è un messaggio velenoso per tutta la società. Significa dire a quello del 9 che si va avanti benissimo facendo i furbi, e a quello del 4 che studiare non serve, meglio appunto fare il furbo». [9]

Dal 1996 abbiamo avuto ottocentomila asini promossi ogni anno con debito. Fioroni: «Perché ci indigniamo che studenti poveri di sapere si rimettano chini sui libri? Perché non ci indigniamo per università a numero chiuso, come la Ca’ Foscari di Venezia, dove la metà dei posti resta vuota perché gli studenti non sanno scrivere correttamente in lingua italiana? Perché non ci indigniamo del fatto che per lo stesso motivo resta vuoto il 33 per cento dei posti ai concorsi per magistrato? E non parliamo poi della matematica... Non si poteva andare avanti così. Bisognava ripristinare il merito. Un principio scritto anche nella Costituzione». [9] Gelmini: «Il merito non è una fonte di disuguaglianza, al contrario. Oggi la società italiana ce lo dicono i dati statistici, è immobile. Il figlio dell’ operaio è, drammaticamente, condannato a sua volta, e se è fortunato, a fare l’operaio». [10]

Oggi gli insegnanti hanno a che fare con padri e madri di figli (spesso unici) che ovviamente sono sempre bravi, buoni, intelligenti. Emma Bontempi, 50 anni, insegnante di Lettere alla scuola media di Borgosatollo: «L’altro giorno una madre mi ha contestato il risultato di una verifica. ”Conti bene, gli errori sono soltanto 59 e non 60 come ha scritto lei”. Insomma, io non mi permetterei mai di andare dal medico e, invece di ascoltarlo, insegnargli il mestiere. Con l’insegnante invece si può fare. Quando io ero l’alunna c’era il problema opposto: per i genitori il professore aveva sempre ragione, anche quando non era il caso. Dal rispetto assoluto si è passati alla considerazione zero». [11]

Occorre ripristinare il principio che a scuola si deve studiare. Giovanni Belardelli: «Segnerebbe davvero una rivoluzione di portata eguale e contraria rispetto a quella - insieme antimeritocratica e antiselettiva - che venne veicolata quarant’anni fa (non solo in Italia, ma specialmente in Italia dove la cultura del merito è stata sempre assai debole) dai movimenti del Sessantotto. Attraverso la contestazione di una scuola e di una università per molti versi effettivamente autoritarie, attraverso richieste come il voto collettivo o la facoltà d’essere interrogati solo su argomenti scelti dallo studente, si affermò allora l’idea di una sostanziale illegittimità di tutto ciò che avesse a che fare con la valutazione individuale e la selezione. Ogni differenza nel merito diventò sinonimo di discriminazione sociale, come tale dunque inaccettabile. Si trattò di una vera e propria catastrofe culturale». [12]

Dai test PISA (una sezione di lettura, una di matematica, una di scienze naturali), le scuole italiane emergono fra le peggiori d’Europa (con importanti eccezioni, come le scuole del Trentino Alto Adige, della Valle d’Aosta e di alcune province lombarde). [6] Paolo Pombeni: « un poco umiliante dover ripetere per l’ennesima volta che il sistema scolastico è la chiave di volta dello sviluppo di un Paese, che senza una eccellente scuola secondaria non si riesce a fare un’istruzione universitaria adeguata ai tempi, e che senza questa non si farà più ricerca, cioè ci si priverà di uno dei motori più potenti per affermarsi nel contesto di economie avanzate». [13]

Il merito deve essere il supremo criterio di gestione del sistema scolastico anche quando si parla di docenti e di strutture ministeriali. [13] Giavazzi: «I presidi di scuola e le facoltà devono poter assumere gli insegnanti che ritengono più adatti, ma se sbagliano devono subire le conseguenze dei loro errori. Altrimenti, come accaduto nell’Università, assumeranno i raccomandati o i figli e i nipoti dei colleghi. La selezione e i poteri dei presidi devono evidentemente cambiare. Oggi i dirigenti scolastici sono di frequente burocrati senza potere: non è quindi sorprendente che siano spesso scadenti». [6]

Luigi Berlinguer, ministro dell’Istruzione nel primo governo Prodi, pensò ad un test per valutare la preparazione degli insegnanti. Lorenzo Salvia: «Andò a finire male: uno sciopero di 320 mila docenti, uno su tre, e l’addio al ministero di Berlinguer». [14] Giavazzi: «Il primo passo per una riforma della scuola è l’abbandono dei concorsi pubblici e la loro sostituzione con un sistema in cui le assunzioni vengono decise da chi poi sopporta le conseguenze di un’eventuale decisione sbagliata, in primo luogo i presidi di ciascuna scuola. Come ha scritto Andrea Ichino su www.lavoce.info, il maggior limite del Libro Bianco sulla Scuola pubblicato dal governo Prodi è la sua reticenza sui concorsi, frutto di un’ideologia che fa fatica ad accettare che gli incentivi, il ”mercato” possano funzionare meglio dello Stato». [6]