Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  giugno 21 Sabato calendario

L’ambientalista scettico. Capitolo XXIV: Riscaldamento globale – Parte seconda Si sente spesso dire che il riscaldamento globale provocherà condizioni meteorologiche estreme

L’ambientalista scettico. Capitolo XXIV: Riscaldamento globale – Parte seconda Si sente spesso dire che il riscaldamento globale provocherà condizioni meteorologiche estreme. Dunque aumenteranno tempeste e uragani, inondazioni, tsunami, temporali, cicloni, tornado, tifoni ecc. Il Global Environment Outlook 2000 diceva: «I modelli del riscaldamento globale indicano come probabile che l’incremento delle temperature influisca su molti parametri atmosferici tra cui precipitazioni e velocità dei venti, e faccia aumentare l’incidenza degli eventi meteorologici estremi, tra cui tempeste e piogge intense, cicloni e siccità». Dichiarazioni di questo tipo si moltiplicano da tempo, anche se non ci sono dati che possano confermarle. Per esempio i cicloni nell’area del Pacifico nordoccidentale sono aumentati a partire dal 1980, ma nel ventennio precedente c’era stata una diminuzione. Dagli anni Sessanta nel Pacifico nordorientale si è avuta una significativa tendenza all’aumento, nell’Oceano indiano settentrionale un calo, nell’Oceano indiano sudoccidentale e nel Pacifico sudoccidentale non sono state osservate variazioni. Nell’area australiana il numero di cicloni tropicali invece è diminuito a partire dalla metà degli anni Ottanta. Per l’Atlantico settentrionale i dati, nonostante variazioni decennali, indicano una tendenza alla diminuzione: in particolare risulta che stiano calando i cicloni violenti, che provocano danni maggiori. Per gli Stati Uniti sono disponibili dati sui cicloni che raggiungono la terraferma a partire dal 1899. Da questi non risulta alcun aumento. Si dice spesso che per i cambiamenti climatici i cicloni siano diventati più violenti, dal momento che fanno un maggior numero di vittime e anche i danni economici sono più ingenti. Ma è ovvio che sia così, dato che è aumentata la popolazione: oggi le due contee della Florida meridionale, Dade e Broward, contano più abitanti di quanti ne vivessero nel 1930 in tutte le 109 contee costiere dal Texas alla Virginia, lungo le coste del Golfo Messico e dell’Atlantico. Mentre la popolazione degli Stati Uniti è quadruplicata nel corso dell’ultimo secolo, il numero di abitanti lungo le coste della Florida è aumentato di oltre 50 volte. Le temperature sono di fatto aumentate di 0,6 °C nell’ultimo secolo. Tuttavia tale aumento globale non significa che tutte le temperature siano ora più alte. Sono aumentate soprattutto le temperature fredde: le minime (notturne) molto più delle massime (diurne), e ciò risulta vero per tutte le stagioni e per entrambi gli emisferi. Allo stesso modo, in inverno il riscaldamento è stato maggiore che in estate, soprattutto nell’emisfero boreale. Infine le temperature invernali sono aumentate maggiormente nelle aree più fredde (i sistemi di alta pressione della Siberia e delle regioni nord occidentali dell’America settentrionale). In generale è preferibile che il riscaldamento riguardi i periodi freddi piuttosto che quelli caldi. Ciò comporta una riduzione dei disturbi associati al freddo, senza che subentrino quelli collegati al caldo. Inoltre una diminuzione del freddo senza un corrispondente aumento del caldo significa una maggiore produzione agricola. inoltre probabile che il riscaldamento produca un aumento delle precipitazioni, accompagnate anche da una maggiore intensità. Un aumento di piogge potrebbe provocare un maggior rischio di inondazioni, anche se bisogna considerare che la pianificazione del territorio (come per esempio la conservazione delle aree palustri che rallentano le ondate di piena, il controllo dei deflussi a monte, la manutenzione delle dighe e degli argini ecc.) può scongiurare un’eventuale catastrofe. Può risultare sorprendente invece che all’aumento delle piogge non corrisponda una diminuzione della siccità. Infine, l’aumento congiunto delle temperature, dell’anidride carbonica e delle precipitazioni renderà la Terra più verde: un esperimento ha dimostrato che la biomassa planetaria aumenterà di oltre il 40% nel corso del XXI secolo. Il riscaldamento globale comporterà costi notevoli: nell’ordine di 5000 miliardi di dollari l’anno. Il fenomeno inoltre colpirà in modo assai più duro i paesi in via di sviluppo, perché hanno minori capacità di adeguarsi alla mutata situazione. Se si vuole evitare almeno parte del riscaldamento è necessario ridurre le emissioni di gas serra e in particolare di anidride carbonica originata dalle attività umane. Ma nel fare questo si deve scegliere le corrette modalità. Bandire immediatamente l’uso di combustibili fossili porterebbe il mondo alla paralisi, con conseguenza incalcolabili. Scegliendo di lasciare le cose così come stanno significherebbe invece prepararsi ad adeguare la società ai cambiamenti futuri: trasferire popolazioni, modificare metodi agricoli, costruire dighe. Fra questi due estremi si colloca l’opzione di ridurre parte delle emissioni di anidride carbonica e accettare parte dell’effetto serra. Gli studi dimostrano che il costo di un drastico abbattimento delle emissioni di anidride carbonica sarebbe molto più elevato dei costi di adeguamento all’innalzamento della temperatura. L’ipotesi operativa ottimale comporta riduzioni di emissioni di poco al di sotto dei tassi non regolamentati fino almeno alla metà del prossimo secolo. Il dibattito sul riscaldamento globale mostra chiaramente che non si dovrebbero spendere enormi quantità di denaro per mitigare in minima parte l’incremento termico globale se ciò rappresenta un cattivo uso delle risorse a disposizione e se queste somme potrebbero essere utilizzate in modo più efficiente, per esempio aiutando i paesi in via di sviluppo. Dal momento che ridurre le emissioni di anidride carbonica può diventare presto un’operazione costosa e addirittura controproducente, l’impegno dovrebbe essere orientato soprattutto alla ricerca di modi per ridurre le emissioni sul lungo periodo. Ciò significa investire di più per la ricerca e lo sviluppo di energia solare, fusione e altre possibili fonti di energia per il futuro. Testo elaborato da Daria Egidi (18 - continua)