La Repubblica 20 giugno 2008, MAURIZIO RICCI, 20 giugno 2008
E le "grandi sorelle" del petrolio si dividono l´oro nero iracheno. La Repubblica 20 giugno 2008 "No blood for oil", niente sangue per il petrolio, era lo slogan delle manifestazioni contro la guerra in Iraq
E le "grandi sorelle" del petrolio si dividono l´oro nero iracheno. La Repubblica 20 giugno 2008 "No blood for oil", niente sangue per il petrolio, era lo slogan delle manifestazioni contro la guerra in Iraq. Allora, l´idea che l´America muovesse guerra all´Iraq per conto delle Sette Sorelle (oggi, peraltro, ridotte a sei, per via di fusioni a catena) di Big Oil fu respinta con sdegno dalla Casa Bianca: la guerra era necessaria per distruggere le armi di distruzione di massa, per fermare il terrorismo, per portare la democrazia. Cinque anni dopo, si scopre che Big Oil sta, in effetti, passando all´incasso. A fine giugno, rivela il New York Times, la compagnia statale irachena aprirà i suoi pozzi e le sue riserve - che non è in grado, tecnicamente e logisticamente, di sfruttare da sola - ad una serie di compagnie straniere. La decisione è stata presa dal ministero del Petrolio, dove ancora siedono consiglieri americani, ricorda il quotidiano. E i contratti sono stati assegnati senza asta, cioè su chiamata nominativa, una procedura assolutamente insolita nel settore petrolifero. La lista delle compagnie non presenta sorprese: Exxon Mobil, Shell, Total, Bp, probabilmente, anche Chevron-Amoco. Del gotha di Big Oil, manca solo la Conoco-Phillips. Il ministero ha scartato, invece, le domande di una quarantina di altre compagnie, fra cui i giganti statali cinesi, indiani e russi. La decisione va molto più in là dei confini dell´Iraq ed è, potenzialmente, in grado di terremotare il mondo del petrolio, da anni sul filo di una crisi delle risorse. Le riserve ufficiali dell´Iraq sono pari a 115 miliardi di barili, cioè il terzo patrimonio al mondo, dopo Arabia saudita ed Iran. Ma molti esperti sono convinti che il sottosuolo iracheno ne contenga molto di più, in particolare nel Deserto Occidentale, che Saddam Hussein non ha mai avuto i mezzi per esplorare. Il dipartimento per l´Energia Usa riferisce che, negli ultimi due anni, diverse multinazionali hanno rivisto i dati geologici e condotto prospezioni nel deserto, giungendo alla conclusione che ci sono nuove riserve da sfruttare per 45-100 miliardi di barili. Un fiume che non si potrebbe concretizzare in benzina prima di una decina d´anni, ma che, già ora, avrebbe un enorme impatto geopolitico, detronizzando i sauditi dal ruolo di arbitro unico delle forniture di petrolio, e anche geoeconomico, ridando fiato alle prospettive di utilizzo del petrolio come principale forma di energia, almeno a medio termine (il mondo consuma, oggi, 32 miliardi di barili di greggio l´anno). Al momento della guerra, le analisi più sofisticate indicarono questo rimescolamento delle carte sul tavolo della produzione di greggio come il vero obiettivo di Bush e Cheney, piuttosto che un regalo diretto - e sospetto - alle multinazionali. La realtà si è rivelata meno elegante. Fosse previsto dall´inizio o meno, la Casa Bianca si è preoccupata di allargare il portafoglio di riserve in mano alle multinazionali, che, da anni, si lamentano di essere escluse dai pozzi migliori da monopoli nazionali, come quelli saudita e russo. Anche se i contratti preparati a Bagdad per Big Oil sono un po´ tortuosi. Formalmente, gli accordi studiati dai burocrati iracheni - con l´aiuto o meno dei consiglieri americani - prevedono solo dei "servizi": fra uno o due anni, pozzi e riserve scoperte torneranno, comunque, nelle mani del governo iracheno. Si aggira, così, il vuoto creato dalla mancanza di una nuova legge per il petrolio, inutilmente in discussione da anni, anche perché gli americani insistono che preveda accordi di spartizione della produzione, di sapore ancora coloniale: nessuno dei grandi paesi produttori (dal Venezuela alla Russia) li adotta più. Ma questo passo indietro di Big Oil è solo fittizio. Fonti interne ai negoziati hanno riferito al New York Times che, una volta che i pozzi andranno all´asta, le compagnie scelte oggi avranno la priorità, a parità di offerta. L´accordo può avere ripercussioni importanti anche in Iraq. Per un verso, è un ritorno all´epoca coloniale: quattro delle compagnie scelte (Exxon, Total, Shell e Bp) formavano la Iraq Petroleum Company, padrona del petrolio iracheno, fino alla nazionalizzazione degli anni ´60. Per un altro verso, la scoperta di giacimenti di greggio nel Deserto Occidentale darebbe una quota del greggio nazionale anche ai sunniti, la cui esclusione dalla torta petrolifera (concentrata nel nord e nel sud del paese) è una delle ferite aperte del dopoguerra. MAURIZIO RICCI