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 2008  giugno 19 Giovedì calendario

BIBBIA IN VOLGARE LACUNA ITALIANA

Corriere della Sera 19 giugno 2008
Nella cultura italiana c’è una carenza legata al fatto che nella storia della nostra nazione è mancata la presenza di una traduzione della Bibbia che si imponesse per accreditamento ecclesiale e culturale. Ne ha sofferto in particolar modo il linguaggio, cui è mancato l’apporto di un vocabolario espressivo dell’esperienza religiosa e in particolare della vicenda di fede di cui i testi biblici offrono testimonianza. Tutto ciò ha avuto come principale – ma anche necessariamente limitata – mediazione il testo latino della Vulgata di San Girolamo, nella forma di non pochi calchi in volgare dal lessico della lingua antica. Forse anche a questa assenza di una Bibbia in italiano, che si accreditasse come «ufficiale» di fronte alla cultura, si deve quella distanza che la cultura nel nostro Paese ha spesso avuto a fronte della riflessione teologica e in senso più ampio del rapporto con la fede.
Pensare di superare questo svantaggio non è cosa facile, anzi potrebbe apparire come un’ambizione indebita e azzardata. E tuttavia, con i suoi molteplici limiti, la traduzione a cui la Cei diede la propria approvazione nel 1971 – e che dal 1974 mise in circolazione nelle assemblee liturgiche cattoliche – ha avviato un processo di diffusione del linguaggio biblico che non va sottovalutato, incrementato peraltro dal fatto che questa stessa traduzione è diventata di fatto il punto di riferimento di altre esperienze di circolazione della Bibbia, come la «lectio divina » o la scuola della Parola.
Questa traduzione, largamente ripensata e rivista, viene ora proposta in terza edizione, con un atto al tempo stesso di rigorosa attenzione scientifica e di fiduciosa intrapresa culturale. La rinnovata traduzione è infatti anzitutto un tributo agli studi di critica testuale, che hanno fornito in questi anni testi critici – nelle lingue dei testi originali della Bibbia – più attendibili e attenti alle acquisizioni recenti delle scienze archeologiche e filologiche. A ciò si è aggiunto lo sforzo di essere aderenti alla struttura linguistica dei testi originali, anche al prezzo di qualche asperità sintattica per l’italiano, ma con lo scopo di favorire il confronto interno ai testi biblici e una certa uniformità di vocabolario, che agevoli la costituzione di parametri linguistici di riferimento costanti per la comunicazione religiosa e tra questa e la comunicazione culturale in genere.
 difficile ipotizzare ora quanto di questi propositi e aspirazioni potrà trovare in futuro riscontro. Progetti di tal genere, d’altronde, non si fanno calcolando i ritorni, bensì osando gettare il cuore e la mente oltre i confini visibili di mondi che altrimenti tendono per se stessi alla ghettizzazione. Ciò permette di inserire la nuova traduzione nel contesto più ampio di quel «progetto culturale » che la Chiesa in Italia va perseguendo da qualche tempo e che vorrebbe creare legami più solidi tra la capacità della rivelazione cristiana di farsi cultura e storia e la natura stessa della cultura, che quando è autentica non può rifiutarsi a nessuna contaminazione, anche religiosa.
Per chi crede, dietro a tale proposito sta la convinzione che nel Vangelo è racchiuso un di più di umanità che non può non incontrare le attese del cuore e della mente della gente e farsi promotore di crescita del bene comune per una società aperta. Ci si può augurare che gli scontri tra le pretese egemoniche appartengano al passato. Oggi è da auspicare che per tutti, inclusi i cattolici, sia l’ora di mettere nell’agorà delle buone idee e delle esperienze positive il proprio patrimonio, inteso come un bene condivisibile perché razionalmente apprezzabile, come continuamente ci ricorda il papa Benedetto XVI, e magari anche esteticamente attraente.
A partire da questa convinzione molti tra i più accreditati artisti italiani contemporanei sono stati coinvolti nella realizzazione di tavole di commento alle letture bibliche contenute nel Lezionario liturgico, i cui volumi vanno rinnovandosi a seguito della nuova traduzione biblica. Una scommessa sulla possibilità di dialogo tra arte e fede che non è meno urgente di quella, aperta e da irrobustire su altri fronti, tra fede e scienza o tra fede ed ethos condiviso di un popolo. Sono queste le strade per cui la Chiesa italiana può uscire dallo stretto luogo comune dell’agenzia solidale di servizi sociali e al tempo stesso di ufficio di erogazione di prodotti liturgico-sacrali, per essere testimone credibile della fede in Cristo risorto e fermento di innovazione vitale del tessuto umano e sociale. Solo così potrà dare continuità alla sua storia millenaria di forte radicamento tra la gente del nostro Paese.
GIUSEPPE BETORI
Segretario generale Cei