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 2008  giugno 19 Giovedì calendario

SE IL RAPITO NON FA POLITICA

Corriere della sera 19 giugno 2008
Perché in queste settimane nessuno è sembrato occuparsi di Jolanda Occhipinti e di Giuliano Paganini? Perché – pur dando ovviamente per scontata una comprensibile discrezione da parte degli organi di governo – quasi tutti ne ignoriamo perfino i nomi, come ignoriamo quello di Abdirahaman Yussuf Harale, rapito insieme a loro in Somalia circa un mese fa? Perché le cose vanno così, mentre invece di altri nostri connazionali spariti in circostanze analoghe abbiamo sentito ripetere i nomi in continuazione, nelle aule delle Camere, nei consigli comunali, nei cortei, in decine di trasmissioni radio-televisive, li abbiamo visti stampati sulle prime pagine dei giornali, ripetuti nei tanti manifesti che ne effigiavano anche i volti? Cos’è che innesca il meccanismo del rapito di serie A e del rapito di serie B, dell’ «unità di crisi» sì e dell’ «unità di crisi» no, dei due pesi e due misure tra gli ostaggi? Cosa bisogna fare, insomma, per meritarsi il trattamento mediatico- istituzionale «due Simone », se così posso chiamarlo?
Qualche spiegazione per questa distrazione generale l’hanno già fornita gli autorevoli personaggi del mondo giornalistico intervistati ieri dal Corriere:
perché Occhipinti e Paganini erano due sconosciuti, hanno detto, perché l’opinione pubblica oggi è stanca e distratta, infine perché l’Italia non è in alcun modo coinvolta in Somalia come lo era invece in Iraq o in Afghanistan, e così via. Tutte risposte, però, che girano intorno al problema vero: che, cioè, in Italia continua a esserci poca nazione, e il vuoto di questa è riempito da troppa politica. la politica – la feroce, pervasiva, politicizzazione di questo Paese o, almeno, della sua parte che conta – a spiegare il vasto silenzio in cui è precipitata la sorte dei due cooperanti italiani e del loro collaboratore somalo di cui non si sa più nulla. Non appartenevano ad alcun movimento politico, con la loro opera in Africa non intendevano rappresentare alcuna posizione politica, insomma non interessavano politicamente a nessuno. Questa è la verità. E dunque – dispiace dirlo ma è così – per la stessa ragione oggi essi non interessano neppure alla stampa, alla radio e alla televisione, ormai abituate troppo spesso, qui da noi, a pensare a se stesse come a un’articolazione della sfera politica, una specie di terzo ramo del Parlamento.
Ma se non basta essere italiano per avere l’appoggio dei propri connazionali perché quel che conta è stare dalla parte giusta (e mettiamoci pure conoscere le persone e gli ambienti «giusti»), questo significa che l’Italia si porta ancora appresso quella fragilità, quell’inconsistenza congenita come Paese, che l’affligge da sempre e che insieme a molte altre cose ci impedisce anche di avere istituzioni forti ed efficaci, di essere uno Stato capace di stare alla pari con gli altri, di avere un’idea esatta dei nostri interessi e la capacità di farli valere. Tutte cose per le quali, infatti, è necessario preliminarmente credere nell’esistenza di un vincolo comune, di una cosa che, piaccia o non piaccia, ha un solo nome: nazione. E che in molti altri posti si è soliti, pur se nei modi e con le eccezioni dovute, far venire prima di tutto.
Ernesto Galli Della Loggia