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 2008  giugno 20 Venerdì calendario

La prescrizione accorciata dal centrodestra senza calcolare quanti processi avrebbe «fulminato», o l’indulto varato dal centrosinistra con la clamorosa sottostima dei condannati che ne avrebbero usufruito, nulla hanno insegnato: proporre o contrastare riforme della giustizia senza avere la più pallida idea della ricaduta pratica delle norme è il modo più sicuro perché alla lotteria dei numeri sia il cittadino-utente dei Tribunali a estrarre sempre il biglietto perdente

La prescrizione accorciata dal centrodestra senza calcolare quanti processi avrebbe «fulminato», o l’indulto varato dal centrosinistra con la clamorosa sottostima dei condannati che ne avrebbero usufruito, nulla hanno insegnato: proporre o contrastare riforme della giustizia senza avere la più pallida idea della ricaduta pratica delle norme è il modo più sicuro perché alla lotteria dei numeri sia il cittadino-utente dei Tribunali a estrarre sempre il biglietto perdente. Alla stima dell’Associazione nazionale magistrati, secondo la quale sarebbero 100mila i processi che verrebbero sospesi dall’emendamento Vizzini-Berselli fortemente voluto dal premier Berlusconi, il ministro della Giustizia ha obiettato: «Mi è stato detto che complessivamente i procedimenti pendenti arrivano a 3 milioni. Occorre rifare i conti e, rispetto al totale, calcolare quanti se ne sospendono. Ma non si può far credere alla gente che andrebbero tutti a regolare conclusione in quest’anno ». Così, però, il ministro confonde il dato dei 3 milioni di procedimenti pendenti (fascicoli iscritti a registro ma pendenti nelle varie fasi procedurali) con il numero dei dibattimenti fissati in Tribunale (racchiusi fra il rinvio a giudizio e la sentenza di primo grado), cioè la fascia di processi (352mila la rilevazione a fine 2006) entro la quale opererà la norma che punta a sospendere per un anno i processi per reati puniti con pene non superiori ai 10 anni. Anche l’Anm, tuttavia, nel lanciare il suo fondato allarme sul non preventivato impatto della legge, nonché su alcuni suoi clamorosi paradossi (dibattimenti che proseguirebbero per vicende bagatellari e altri che si fermerebbero per questioni serissime come gli omicidi colposi o alcune violenze sessuali), si avventura sulla scivolosa strada di numeri dall’incerta plausibilità. Dire infatti che i processi a rischio sono 100mila – stima operata dall’Anm partendo dal presupposto che il 30% dei 352mila processi pendenti riguardino fatti commessi prima del 30 giugno 2002, e che questi siano reati puniti nel 90% dei casi con pene non superiori ai 10 anni – è poco più di una proiezione già spannometrica nella dimensione cronologica, ma addirittura del tutto cieca in quella qualitativa. L’Anm non distingue i processi che, pur incentrati in ipotesi su fatti davvero precedenti il 30 giugno 2002, riguardano reati o presentano condizioni che la nuova legge comunque escluderebbe dalla sospensione. E non li distingue perché non può farlo. Esattamente come non è in grado di farlo il ministero. E come nessuno oggi può fare in Italia. Perché questo è il vero nodo di quest’ultimo carosello politico-giudiziario: per come sono fatte le statistiche giudiziarie, nessuno (né a livello locale di singolo tribunale né a livello centrale di ministero) è in grado di aprire un computer, immettere i termini della nuova legge, schiacciare un tasto e sapere quanti processi si bloccherebbero. A poco, infatti, serve il registro generale nei tribunali, perché da quello si può ricavare solo la data di iscrizione del processo, non la data di commissione del reato che quel processo sta accertando. Bisognerà che in ogni tribunale ogni cancelleria di ciascuna sezione verifichi a mano, fascicolo per fascicolo, se il reato risale a prima del 30 giugno 2002, se è punito con più o meno di 10 anni, se è tra quelli per cui la sospensione è esclusa dalla legge: per esempio, se gli imputati non siano magari detenuti anche per causa diversa dal processo teoricamente da sospendere (altra circostanza che i registri non attestano e che subisce ripetuti aggiornamenti). Ad aggravare l’impasse c’è il fatto che questa verifica non potrà essere scaglionata giorno per giorno, man mano che verranno chiamati i relativi processi; ma dovrà essere fatta tutta insieme e in una volta, prima che entri in vigore la legge, perché essa impone ai Tribunali di notificare «immediatamente» agli imputati la sospensione dei processi congelabili. E per notificarli, bisogna prima sapere quali siano. Sotto questa massa di notifiche da fare, schiatteranno le cancellerie già sotto organico del 12% a livello nazionale e con picchi del 30% al Nord: se i processi da sospendere fossero anche solo qualche decina di migliaia anziché i 100mila stimati dall’Anm, e tenendo presente che in quasi tutti i dibattimenti gli imputati sono più di uno, difficilmente le cancellerie potranno reggere la moltiplicazione delle notifiche sia nella partita di andata (quando bisognerà notificare le sospensioni) sia in quella di ritorno (quando dopo un anno bisognerà rifare i ruoli di udienza e rinotificare la data di ripresa dei processi sospesi). Con spese peraltro enormi, consistenti nel costo della montagna di fax da spedire o dei circa 9 euro a notifica se a mezzo posta. L’assurdità di questo modo di legiferare, prima ancora che nei dubbi costituzionali sul suo contenuto, sta proprio in questo irresponsabile prescindere dalle ricadute pratiche delle norme. «Occorre rifare i conti» è un sano proposito. Solo che sarebbe stato meglio pensarci prima di presentare la legge, non dopo.