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 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

Dostoevskij a Montecatini, che errore. Corriere della Sera 18 giugno 2008 Il breve Romanzo di Dostoevskij Il giocatore incomincia in medias res, con uno scatto fulmineo che ti colpisce in pieno volto e ti tiene sempre avvinto

Dostoevskij a Montecatini, che errore. Corriere della Sera 18 giugno 2008 Il breve Romanzo di Dostoevskij Il giocatore incomincia in medias res, con uno scatto fulmineo che ti colpisce in pieno volto e ti tiene sempre avvinto. La tensione è vieppiù crescente, mentre sotto i tuoi occhi vivono quei personaggi maledetti che provano attrazione verso l’umiliazione di compiere il male senza un perché, e ben consci che quel male fatto ad altri contiene anche la loro propria rovina. E’ libro terribile, Il giocatore. E ora, quando ci troviamo innanzi all’Opera che Prokofiev volle ricavarvi, ricadiamo nel caso tanto frequente del confronto tra un’ opera letteraria e un Dramma Musicale (inteso questo nella più vasta accezione possibile) che ne deriva. Quasi sempre il confronto è impari a pro della fonte. Quando non lo è, è perché il compositore sa aggiungere a ciò ch’è tolto un quid che gli viene dai mezzi espressivi della musica, e solo da questi. Prokofiev ricava dal Romanzo un buon testo drammatico; ma la sua tecnica compositiva è rudimentale sicché, tolti alcuni squarci lirici in specie verso la fine, puro dono del Signore, degrada e rende fastidiosamente omogenea la perfetta trama del Romanzo stesso. Egli non può liberarsi da un’ininterrotta scrittura a mo’ di grottesco, con un tasso di dissonanze così arbitrariamente elevato da dar l’impressione che le dissonanze siano aggiunte a linee originariamente tonali; è come quando un cuoco inesperto crede di arrangiare tutto con abuso di condimenti. Per lunghi tratti pare vi sia una reciproca estraneità tra l’elemento drammatico e la partitura orchestrale: la quale spesso si configura come una sorta di Concerto per bassotuba accompagnato da orchestra e voci. Alla fine, invece dell’atmosfera diabolica e allucinata di Dostoevskij, l’Opera di Prokofiev ne dona una, mi ripeto, grottesca, nella quale i personaggi si muovono a scatti, come marionette. La Scala mette in scena un nuovo Giocatore, co-prodotto con l’Opera di Stato di Berlino «Unter der Linden». Si trasferiscono a Milano il direttore, il maestro Daniel Barenboim, e l’autore di regia, scene e costumi, Dmitri Tcherniakov. Quest’ultimo divide il palcoscenico in tre ambienti frontali, sicché ci è dato di assistere a cose che i personaggi vorrebbero conoscere e non possono. Resto ancora una volta perplesso dall’ambientazione contemporanea data al testo: c’era nell’Ottocento tutta una liturgia delle villes d’eau con presenza del casino che qui viene bruscamente sradicata. Il tutto si svolge in una sala d’attesa aeroportuale o nella hall di un albergo a Montecatini, e i personaggi sono vestiti come clienti della piccola borghesia. Certo, se Il giocatore fosse portatore di valori drammatici forti, la colpa sarebbe maggiore; ma non possiamo noi prendere le parti del regista coll’ invocare che il reato è stato commesso sopra un corpus vile, giacché quest’attenuante la deve formalizzare lui... Il maestro Barenboim dirige con pacata autorità e riesce a impedire che i decibel scaturienti dal palcoscenico assorbano le voci e non le facciano giungere a noi. Il numero di personaggi presenti in quest’ Opera è altissimo; noi ricorderemo per la forza e la serietà con le quali fa fronte all’impegno il protagonista, il tenore Misha Didyk, poi la coppia femminile Kristine Opolais e Silvia de la Muela, infine il basso impersonante il Generale a caccia d’eredità, Vladimir Ognovenko. Paolo Isotta