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 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

Menotti: «Fui usato dal regime Non rifarei le foto con Videla». Corriere della Sera 18 giugno 2008 Perché non disse no? Certe domande marcano stretto tutta la vita

Menotti: «Fui usato dal regime Non rifarei le foto con Videla». Corriere della Sera 18 giugno 2008 Perché non disse no? Certe domande marcano stretto tutta la vita. Terzini mastini. Gentile e Maradona. S’incollano, strappano la maglia, levano il fiato. Cose che non ti chiedi da solo, ma gli altri ti chiederanno sempre. Ce n’è una che non ha mollato Luis Cesar Menotti in questi trent’anni, come non mollerà chi andrà ai Giochi di Pechino. Lui che era un democratico convinto e disse sì ai generali. E accettò d’allenare la loro Argentina. E vinse quel Mondiale di regime. E a Buenos Aires alzò la coppa, col suo doppiopetto e il suo doppiogioco. E intanto fuori dallo stadio crepavano. Erano armi di distrazione di massa, señor Menotti: perché non disse no? « un discorso miserabile. Un Mondiale non è undici giocatori e un allenatore. Si fa con milioni di persone. Una dittatura è lo stesso. Ci vogliono i dittatori e milioni di complici. In Argentina, oggi vedo al potere molti che nel 1978 stavano coi generali. Non li critico. Ma non mi vengano a dire che ero come loro…». El Flaco è tornato. Le 40 sigarette al giorno e il capello lungo non l’accompagnano come una volta. Il resto, sì: la linea smilza, il calcio lento, le auto, la caccia, la filosofia, suonare al piano Scarlatti e Vivaldi, pensare a sinistra. «L’unico che mi piace è sempre Che Guevara. Ma ne ho abbastanza di rivoluzioni e populisti. Preferisco la Bachelet, Lula, Cristina Kirchner, chi migliora l’America Latina nel mondo». Menotti sarà venerdì a Broni, nel Pavese, serata del festival «Alla salute!», ad ascoltare un monologo scritto da Mario Ciriello e recitato da Gigio Alberti, a confrontarsi su calcio e dittatura con una nonna della Plaza de Mayo, Estela Carlotto. Racconterà un po’ della sua «vita da non lamentarsi»: chimico mancato, riserva di Pelé, direttore di giornale, candidato governatore, l’unico a tenere in panchina Maradona («aveva 16 anni, l’avrei bruciato»), il primo a dire che Ronaldo non sa giocare a pallone, il primo a far vincere un Mondiale agli argentini e a doversi giustificare di quelle foto col generale Videla. «Oggi non le rifarei. Ma è facile parlare adesso. Nessuno aveva i coglioni di dirlo allora. Fui usato, chiaro. Il potere che sfrutta lo sport è vecchio come l’umanità, i feudatari strumentalizzavano i cavalieri dei tornei. Ricordo Pertini che tornò dalla Spagna con Bearzot: se l’Italia avesse perso, se lo sarebbe portato sull’aereo presidenziale? Però il calcio è solo calcio: l’Italia del ’32 non vinse perché c’era Mussolini, ma perché era forte. Videla era il presidente dell’Argentina, non potevo impedirgli io d’entrare allo stadio. Nessuno immaginava che in quelle ore stava buttando i cadaveri nel fiume. Si fosse saputo, i lavoratori, i contadini, gl’intellettuali, i calciatori, tutti avremmo dovuto uscire e chiedere la fine di quella merda. Ma la lotta politica è una cosa più grande del calcio. Se il Milan vince la domenica, qualcuno crede davvero che il lunedì starà meglio? Lo spettacolo non è la vita. E se un Berlusconi va al governo, beh, che almeno faccia per l’Italia un decimo di quel che ha fatto Baresi per il Milan». Di quell’anno incredibile, il 1978 di Moro e dei tre Papi, Menotti è una foto d’album. La sua squadra, una poesia: Fillol-Olguin-Tarantini-Gallego- Luis Galvan-Passarell a-Bertoni-Ardiles-Luque-Kempes-Ortiz. Dice che nessuno di quei calciatori è rimasto suo amico. E che a settant’anni, un passato così non si sgombera: «Puoi smettere di correre, puoi non entrare in gioco per un bel po’, l’unica cosa che non puoi smettere di fare è pensare». Non ha mai smesso: «Sono contento di tornare in Italia. Però l’Italia è una strana persona. Ama la bellezza, la moda, l’estetica e poi vive, gioca da combattente. Da voi si discute sempre l’uomo di talento, mai l’uomo di muscolo. Il genio, l’irregolare si deve sempre giustificare. Il soldato, il diligente non è mai in discussione. Sempre lì a chiedervi se deve giocare un Baggio o un Del Piero. Ma perché non chiedete se deve giocare un Gattuso o un Ambrosini? Il declino italiano è questo: via i talenti, avanti i normali. Donadoni è l’immagine di questo. Bearzot, Trapattoni, Lippi conoscono la bellezza e sanno sfruttarla». C’è sempre stato un calcio di destra e uno di sinistra, Menotti ci crede. «Oggi va quello di destra. Muscolare, veloce, egoista, utilitaristico, che non pensa allo spettacolo. Per fortuna ci sono i creativi, gl’innovatori a cambiare la storia. Gattuso è la destra e Totti la sinistra: uno è il muratore, importante per fare le mura, l’altro è l’architetto che fa la casa più bella. La sinistra moderata è Iniesta del Barcellona. L’estrema sinistra è Ibrahimovic…». La storia gli piace cristallizzata, com’è stata raccontata la prima volta. La storia che lui stava in ritiro con una Smith&Wesson… «Un’infamia ». La storia dei peruviani pagati dal regime per perdere con la sua Argentina… «Altra infamia». La storia che Videla venne nello spogliatoio e le disse… «Una balla, Videla non sapeva parlare, era uno senza qualità». El Flaco è tornato per dirci che forse è vero, ci fu qualche hombre vertical che rifiutò di giocare, come Carrascosa. Ma non che lui perse l’anima, in quella notte finale con l’Olanda. Erano tutti nel corridoio, dovevano entrare in campo. I ragazzi gli si raggrupparono intorno e gli sentirono dire una cosa che Tarantini non ha mai dimenticato: «Non vinciamo per quei figli di puttana. Vinciamo per il nostro popolo». Francesco Battistini