Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

Boss e massoni congelavano le sentenze. La Stampa 18 giugno 2008 La Cassazione è sempre stata la «croce e delizia» dei mafiosi

Boss e massoni congelavano le sentenze. La Stampa 18 giugno 2008 La Cassazione è sempre stata la «croce e delizia» dei mafiosi. E il desiderio di esercitare un pieno controllo sulla Corte suprema ha spesso tentato gli strateghi giudiziari di Cosa nostra. Quella scoperta dai carabinieri e bloccata dall’iniziativa della procura antimafia di Palermo è una rete di faccendieri, impiegati infedeli, poliziotti e massoni, «specializzata» nella tecnica di «teneri fermi» - con l’aiuto di chissà quanti impiegati ancora sconosciuti - i processi giunti in Cassazione, con lo scopo di far scadere i termini e ottenere la prescrizione dei reati. La rete è stata smantellata da un’ordinanza del gip Roberto Conti che ha portato in carcere otto persone, tra cui un ausiliario civile in servizio a piazza Cavour (sede della Cassazione), un faccendiere di Orvieto che opera a Roma, una poliziotta palermitana in servizio nella Capitale e un ginecologo di Palermo che si era rivolto alla «rete» per ritardare una sentenza della Cassazione (violenza carnale) che gli avrebbe provocato, tra l’altro, l’espulsione dall’albo dei medici. Gli altri arrestati sono massoni e mafiosi che funzionavano come cerniera tra i boss «bisognosi di aiuto» e la «rete di soccorso», molto sollecita ma anche abbastanza interessata al soldo. Già, perchè i favori non erano fatti alla mafia (ma anche a normali inquisiti, come il ginecologo) a titolo gratuito. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali - «preziosissime» precisano il procuratore Francesco Messineo e l’aggiunto Roberto Scarpinato - non lasciano dubbi sul fatto che le «pratiche» costavano migliaia di euro. Ma non è tutto: secondo le risultanze delle indagini, la «rete» avrebbe coinvolto nei suoi traffici un prete gesuita di grande prestigio, convinto a scrivere delle «lettere di raccomandazione» ai giudici in favore di imputati poco presentabili ed appartenenti all’associazione mafiosa di Mazara del Vallo. Si tratta di padre Ferruccio Romanin, 79 anni, rettore della chiesa di Sant’Ignazio a Roma, che per la sua attività meritò una Medaglia del Giubileo. Secondo i magistrati, padre Ferruccio ha fornito alla «rete», anch’egli sembra a pagamento, un sostegno autorevole per «intervenire» presso gli uffici giudiziari che si occupavano del processo a carico di Epifanio Agate, figlio del boss di Mazara del Vallo. Sono almeno cinque i casi in cui si è stabilito un «ponte» tra la Sicilia e l’organizzazione capeggiata dal faccendiere Rodolfo Grancini, che nel «Palazzaccio» di piazza Cavour sembrava muoversi come a casa propria. Un primo intervento riguardava il ricorso di Calogero Russello, albergatore del Villaggio Mosè di Agrigento. L’imprenditore, condannato nel 2005, chiedeva di far ritardare la fissazione del processo definitivo che avrebbe cambiato lo status di detenuto agli arresti domiciliari. Ma anche dopo l’udienza non andò male all’imputato, perchè inspiegabilmente ritardò anche la notifica che lo avrebbe dovuto riportare in carcere. Per aiutare Alberto Sorrentino, invece, furono stanziati circa ventimila euro. Servivano per «oleare» i meccanismi di corruzione «necessari» per entrare nel sistema informatico della Cassazione e ottenere una «visualizzazione sintetica del procedimento» e scegliere la strategia migliore per «procrastinare la trattazione del ricorso». Ma è la vicenda del ginecologo Renato De Gregorio (arrestato ieri), la più impressionante. Il professionista era stato condannato in Appello, nel 2005, per violenza nei confronti di una ragazza. Anche lui chiede aiuto. E lo fa tramite un’amica palermitana, una poliziotta che aveva prestato servizio nella questura di Palermo. Francesca Surdo, l’agente, è anche in amicizia con la «mente» dell’organizzazione, Rodolfo Grancini. Secondo l’accusa, la poliziotta interviene per favorire un intervento in direzione dell’amico ginecologo e, sempre secondo i pubblici ministeri, mette a disposizione anche la tecnologia del proprio ufficio. Persino «forzando» il sistema informatico che consente di entrare negli archivi del ministero dell’interno. Ma il motore che muove la macchina illegale della Cassazione sembra essere l’interesse di alcuni massoni siciliani e romani per le sorti degli imputati di Cosa nostra: Michele Accomanno a Mazara (già condannato per mafia e massoneria) e Calogero Licata a Canicattì. FRANCESCO LA LICATA