Il Sole 24 ore 15 giugno 2008, Ugo Tramballi, 15 giugno 2008
E i sauditi creano la supercittà del futuro. Il Sole 24 ore 15 giugno 2008 «Chiedo a Vostra Maestà, Custode delle due Sante Moschee, di approvare il progetto della Città Intelligente, premendo il bottone»
E i sauditi creano la supercittà del futuro. Il Sole 24 ore 15 giugno 2008 «Chiedo a Vostra Maestà, Custode delle due Sante Moschee, di approvare il progetto della Città Intelligente, premendo il bottone». Fahd al-Rasheed, 31 anni, l’amministratore delegato di Emaar, la compagnia che a Dubai sta costruendo il grattacielo più alto del mondo, rivolge un gesto ossequioso ad Abdullah. «Nel nome di Dio benevolente e misericordioso», recita il re saudita. Quindi schiaccia il tasto di un telecomando. E il progetto è inaugurato. Fanno 24 miliardi di rials, circa 7 miliardi di dollari. E la smart city è solo un quartiere della Città Economica Re Abdullah per la cui costruzione si stanno investendo 130 miliardi di rials, 37 miliardi di dollari, quasi tutti privati. Sagia, l’autorità statale per gli investimenti, è il facilitatore pubblico, ed Emaar, il più grande costruttore arabo, è il lottizzatore che distribuisce gli appalti. Ci sarà il porto, uno dei più grandi del mondo, amministrato dalla Dubai Port Authority che due anni fa gli americani avevano cacciato dai loro scali; ci sarà il distretto degli affari, la zona industriale, quella dedicata all’educazione, la zona residenziale e poi la turistica. Saranno 168 milioni di metri quadrati. «Grande come Washington DC. La finiremo in 15 anni», semplifica al-Rasheed. Nella zona di Rabigh, fra Mar Rosso e deserto, 150 chilometri a Nord di Jeddah. Preoccupato dalla lentezza dei lavori, iniziati più di un anno fa, il re è tornato a vedere la sua città, la più importante delle sei in costruzione che cambieranno il volto dell’Arabia Saudita. I connotati del Paese sono noti a tutte le economie del mondo: il petrolio, 8 milioni e mezzo di barili al giorno, garantisce l’80% delle esportazioni; le esportazioni garantiscono l’80% del bilancio statale. Un giorno il barile tornerà a costare poco. E anche se le riserve dei sei Paesi del Golfo valgono al momento 48mila miliardi di dollari, prima o poi il petrolio finirà. Quel giorno Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati e Oman, i 6 Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, intendono avere un volto diverso: un’economia che faccia a meno del petrolio e contemporaneamente resti ricca. Ma questo è futuro. Il presente è quello descritto dal dipartimento americano all’Energia: 10 anni fa, col barile a 10 dollari, i 13 Paesi dell’Opec guadagnavano 10 miliardi di dollari; quest’anno mille. L’Arabia Saudita, il cui costo d’estrazione continua ad essere 2 dollari al barile, da sola ne prenderà un terzo. Il presente è l’allegria con la quale re Abdullah depone virtualmente la prima pietra dei quartieri della sua città. Non occorre che passi da un distretto all’altro, affrontando 42 gradi di caldo umido. Lo fa virtualmente, col telecomando, dentro una grande tenda con aria condizionata. "Bismillah al-Rahmani al-Rahim", nel nome di Dio Benevolente e Misericordioso, e il progetto è fatto. Qualcuno funzionerà fra un anno, quando gli abitanti saranno 30mila. Un giorno diventeranno 2 milioni. l’altro lato del barile a 135 dollari. A una estremità ci sono gli autotrasportatori europei, i pescatori, gli agricoltori, gli automobilisti che fanno il pieno di gasolio a 1,54 il litro. Ci sono le compagnie aeree che non stanno nei bilanci e le considerazioni del Fondo Monetario Internazionale: «L’economia mondiale è entrata in un territorio nuovo e precario». All’estremità opposta c’è l’ottimismo del Golfo. Per ogni parte del mondo che piange calcolando la crescita americana allo 0,5% e dell’eurozona all’1,4 (Ocse), ce n’è sempre una che sorride, contando crescite fra il 15 e il 17 per cento. Il Custode delle Due Moschee, Mecca e Medina che sono a poche centinaia di chilometri da qui, continua a premere bottoni. Il filmato della città intelligente mostra al re e agli invitati cose mai viste in Arabia Saudita e in molti Paesi arabi: un poliziotto che consegna sorridendo e in fretta il passaporto a un cittadino; studentesse che alzano la mano per avere la parola: interagiscono in un mondo dove la sola misura del giudizio scolastico era quanto fedelmente ripetessero il Corano; donne al lavoro, qualcuna senza velo. C’è un po’ di propaganda ma anche tanto desiderio di essere quello che il filmato mostra. Il re preme il bottone del progetto della fabbrica di lubrificanti Total, degli impianti di plastica e alluminio, 20 miliardi di rials; del distretto turistico, 7 miliardi e mezzo; di quello logistico, 20 miliardi; del settore dei servizi, 90 miliardi, che sarà regolato dalla "legge del 60-24-7": «Funzionerà 60 minuti l’ora, 24 ore al giorno, sette giorni la settimana», spiega Fahd al-Rasheed. Cifre, statistiche, posti di lavoro, progetti e investimenti che restano ancorati a un cambio fisso di 3,75 rials per un dollaro debole. Ma la bonanza petrolifera assorbe anche il moltiplicarsi delle importazioni in euro dalla Ue. Nella penisola arabica macchinari, impianti energetici, aerei, treni, auto, personale specializzato sono europei. Cento miliardi di dollari l’anno d’importazioni vengono dalla zona dell’euro. Nel 2006 erano il 21% dell’import dei 6 Paesi del Golfo, più del doppio dell’americano. L’anno scorso una prima visita nel deserto destinato a diventare la Città di re Abdullah, aveva sollevato qualche dubbio. Quante gru, quanti operai, quali imprese internazionali l’avrebbero costruita? Ora «è un’opportunità straordinaria. Non ci era mai successo di partecipare alla creazione dal nulla di un’intera città», dice Maurizio Tucci, amministratore delegato di Selex Communications di Finmeccanica. Tucci ha appena firmato un memorandum d’intesa per garantire sistemi di mobilità, sicurezza e comunicazioni wireless. Un business da un miliardo di dollari in sette anni. Con Selex, l’ex Selenia, lavoreranno Cisco, Hp, Oracle. Ma in una città che vuole avere 53 ponti, 3mila chilometri di strade e 50 di canali, Finmeccanica è anche interessata ad altro: metropolitane, impianti energetici, sistemi informatici. Nell’accordo con Sagia ed Emaar Tucci si è riservato d’indicare altre aziende che possono partecipare all’impresa della Città del re. «Se ci aggiudichiamo il sistema dell’e-government potremo creare una filiera di imprese italiane». Obbligatorio crederci nell’altra faccia del barile più caro della giovane storia del petrolio. «Qualche dubbio c’è sempre ma qui io vedo fatti, vedo cose che accadono», precisa Tucci. Nell’eroica elencazione dei progetti di Fahd al-Rasheed c’era stata una certa discrepanza fra il costo di ognuno e il totale di 130 miliardi degli investimenti. A cominciare da re, non se ne è preoccupato nessuno. «Non si rompa la testa sui numeri, quello che conta sono la volontà e i progetti», ha sussurrato un funzionario di Sagia. il minimo che si possa fare quando il barile è a 120 dollari e - solo per dare un altro numero - le compagnie della penisola hanno pianificato l’acquisto di 870 nuovi aerei di linea. Ugo Tramballi