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 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

Il disegno? Preghiera laica. ItaliaOggi 18 giugno 2008 «Ecco, io penso che per fare l’architetto si debba avere soprattutto una salute di ferro»

Il disegno? Preghiera laica. ItaliaOggi 18 giugno 2008 «Ecco, io penso che per fare l’architetto si debba avere soprattutto una salute di ferro». Franco Purini abbozza un sorriso. seduto davanti alla scrivania sommersa da libri, progetti e giornali di settore nel suo studio di via Tagliamento: un labirinto luminoso dalle pareti bianche e spoglie. Vicino a lui, la moglie, l’architetto Laura Thermes, con la quale vive e lavora da una vita. «Il problema è questo: progettare opere pubbliche in Italia a volte è esasperante. I tempi di realizzazione sono lunghissimi e i budget sempre troppo limitati». Per fortuna che a salvare Purini c’è una certa allegra propensione ad astrarre. «Fosse per me», sorride, «i progetti potrebbero vivere anche solo sulla carta. Certo, mi fa piacere vedere realizzate le mie opere, ma non lo considero un obiettivo prioritario». Per questo architetto, progettista e teorico dell’architettura, il massimo della felicità è tracciare linee su un foglio e delineare forme che esplodano in plastiche contraddizioni le une a contatto con le altre. «Il disegno è una bellissima preghiera laica», dice. La sua passione per le forme, del resto, la coltiva sin da quando era bambino. Da quando, nei primi anni Cinquanta, vede crescere sotto ai suoi occhi i palazzoni del quartiere Tuscolano, a Roma. «Fu uno dei primi piani di edilizia pubblica del dopoguerra», ricorda, «avevo 10 anni e abitavo al Quadraro. Mi viene in mente l’incessante rumore delle gru che modellavano un territorio ancora poco urbanizzato, dove i pastori vivevano in rudimentali costruzioni di tufo». A partire da quel momento decide che anche lui, da grande, plasmerà gli spazi. Così, dopo un percorso scolastico non proprio senza intoppi («Fui bocciato al quarto anno del liceo scientifico», ammette, «ma devo dire che anche questa è stata un’esperienza molto formativa»), si iscrive alla facoltà di architettura di Valle Giulia, con il silenzio assenso dei genitori. «La mia scelta non è stata influenzata dalla famiglia. Mio padre fabbricava protesi ortopediche. Quanto di più distante dal lavoro di architetto. Eppure da lui ho ereditato il senso della competizione con la materia». La tesi di laurea la discute nel 1971 con Ludovico Quaroni, noto urbanista esponente del Movimento moderno. Ma più che a lui, Purini deve molto a Maurizio Sacripanti. Il suo vero maestro, con il quale collabora sin dalla metà degli anni Sessanta, non ancora laureato. «Lo studio era vicino a piazza del Popolo, in pieno centro a Roma». Sono gli anni della Dolce vita. Anni di grande fermento culturale. «Al bar Rosati mi capitava spesso di incontrare Moravia e la sera passeggiare per via di Ripetta era un piacere: incontravi intellettuali e pittori che discutevano animatamente fino a tarda notte per le vie del centro. A volte ubriachi. Ricordo ancora quando una sera io e un mio collega riportammo in albergo lo scrittore beat Jack Kerouac. Era completamente sbronzo». Divertimento e tanto lavoro. «Da Sacripanti non esistevano né i sabati né le domeniche. Si lavorava sempre. Quella forse è stata l’esperienza lavorativa che più mi ha formato». Poi sono arrivati il Sessantotto («Sono sempre stato di sinistra, ma del movimento studentesco non mi piaceva un certo ribellismo narcisistico»), gli anni della docenza universitaria a Reggio Calabria e infine la collaborazione con l’architetto Gregotti, il progettista del quartiere Zen di Palermo. «Negli anni Ottanta ho partecipato insieme a lui al progetto di ricostruzione di alcuni comuni della Val Belice, in Sicilia. stato un momento di grande impegno civile. A Gibellina ho realizzato l’opera di cui vado più fiero: la Casa del Farmacista. Ancora oggi quell’edificio mi suscita domande, sorpresa ed emozione». Ma oltre all’architettura c’è anche qualcos’altro che lo appassiona. «Amo leggere i libri horror di Stephen King e Bram Stoker, guardare il profilo delle montagne e viaggiare in treno. Da giovane ho anche praticato il pugilato». Flavia Gamberale