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 2008  giugno 17 Martedì calendario

La vera storia di Cavallo Pazzo. La Repubblica 17 giugno 2008 Si chiamava Mario Appignani, ma al tempo degli indiani metropolitani diventò Cavallo Pazzo: e mai nome di battaglia si adattò meglio alla realtà

La vera storia di Cavallo Pazzo. La Repubblica 17 giugno 2008 Si chiamava Mario Appignani, ma al tempo degli indiani metropolitani diventò Cavallo Pazzo: e mai nome di battaglia si adattò meglio alla realtà. Il punto è che questa pregiudiziale pazzia si fece in lui arte, vita, rischio, dolore, spettacolo, condanna e tante altre cose difficili da esprimere, forse perché confusamente esprimono esse stesse il senso ultimo e nascosto di una trasformazione collettiva, l´ombra distorta di una società che andava imbizzarrendosi. Per cui, sì, Cavallo Pazzo, con tanto di linguaggio apache, segni di guerra sul volto e piccola tribù al seguito. Ma prima e dopo il Settantasette qualunque pazzia mise in atto Appignani per conquistare l´attenzione, irresistibile guastafeste, sabotatore di eventi, flagello di scorte e servizi d´ordine, a suo modo profeta e vittima di quella smania che ancora non si chiamava "visibilità". E quindi. Scrittore di successo a vent´anni, autore di "Un ragazzo all´inferno", con prefazione di Pannella, acerba autobiografia di trovatello cresciuto fra istituti, marchette, carceri minorili, adulti crudeli. Si intravede Appignani in mezzo alla folla nella celebre foto di Pasolini con Veltroni e Adornato adolescenti a una festa di giovani comunisti. Di lì a poco quel ragazzo si sarebbe esibito sui parapetti dei ponti sul Tevere, spericolatissimo aspirante suicida, come pure si sarebbe mostrato nudo a piazza Navona, su un palco dei radicali che, pur tolleranti, presero a evitarlo come la peste. Schiaffeggiò Moravia e ne ebbe in cambio da Amanda Lear, oltre che da un numero spropositato di poliziotti, guardiani e body-guard nel corso della sua carriera di inesorabile guastatore professionale di eventi. Lo si incrociava dovunque e a qualunque ora, in quegli anni. Una notte al festival di Spoleto penetrò nella stanza riservata a Menotti facendosi trovare a letto con il pigiama del maestro. L´anno dopo, fasciato come una mummia, irruppe sul palcoscenico rovinando la prima de "Il lebbroso". Cavallo pazzo, ma davvero. Al festival di Sanremo balzò addosso a Pippo Baudo e gli diede una ginocchiata sui santissimi rubandogli il microfono per venti interminabili secondi. Alla mostra del cinema di Venezia s´arrampicò su un pennone strofinandosi la bandiera americana sul sedere. Riuscì a fare un numero pazzesco anche in Vaticano, col Papa che se lo vide di colpo a un metro, urlante e gesticolante. Né mai tralasciò presentazioni di libri, sfilate di moda, premi letterari e quando decise di dedicarsi al calcio, o meglio alla Roma, divenne presto un mito delle invasioni di campo. Non era affatto chiaro perché lo facesse. Ma intanto lo faceva, proprio come Zelig, temerario e instancabile, dividendo il tempo fra ragazzi di vita, artisti affermati, giovani freak, giornalisti smaliziati, rudi coatti e politici fra loro incompatibili, da Craxi, che gli volle bene fino all´ultimo (il carteggio è nell´archivio on line della fondazione), fino a Sbardella, al quale Cavallo Pazzo aveva promesso un busto in marmo che ovviamente lo Squalo non vide mai. Protagonista inatteso e insieme parassitario, soggetto ad alto contenuto d´informazione, arrivò ad autoproclamarsi figlio segreto di Guttuso, come pure depositario dei segreti dell´omicidio Pasolini, fonte di Oriana Fallaci. Una vita di espedienti, prestiti, furti, mangiate a sbafo, compravendita di quadri di scarso valore, pittore lui stesso, alla fine, e truffatore, scenate e fughe, una dopo l´altra, arresti, processi, inaudite e poetiche generosità. Fino a quando, dopo essere stato seriamente incarcerato e ancor più seriamente essersi ammalato, non senza aver messo su un´ultima festicciola con i pazienti e gli infermieri del San Camillo, Cavallo Pazzo se ne andò, forse persino pacificato, nel 1996, ad appena 41 anni. Per chi abbia trovato interessante tutto questo, la notizia è che è appena uscito un libro di oltre 300 pagine, "Assalto alla diligenza - quando Appignani rinacque Cavallo Pazzo" (Memori, 18 euro), scritto con tenera e solenne partecipazione da quello che fu a lungo il suo amico del cuore, Marco Erler, ai tempi "Nuvola Rossa". Ciascuno vi trova un po´ il suo Cavallo Pazzo, attraversando il personaggio "la vita delle persone che incontrava come un essere misterioso, un alieno - scrive Carlo Caracciolo nella prefazione - Così che, quando era lontano, chiunque lo avesse conosciuto ne aveva un ricordo diverso da quello di tutti gli altri: per alcuni era un sognatore, per altri un ladro, per alcuni un generoso, per altri un mitomane, per alcuni un artista, per altri un malato. C´era chi lo evitava a ogni costo, chi stava ad ascoltarlo affascinato, chi chiamava la polizia". Oltretutto Appignani aveva il gusto e forse anche la croce del travestimento: sta di fatto che per compiere i suoi blitz a seconda delle esigenze si improvvisava prete, cameriere, commissario di Ps, ufficiale di Marina. Come in un romanzo picaresco ambientato nella Roma degli anni settanta e ottanta Erler canta la gloria tecnica dell´impostura per nobili fini. Racconta il coraggio e la fantasia che consentirono le "esplosioni insurrezionali" di Cavallo Pazzo. Spiega che lo faceva per rivelare l´apparenza, la finzione, la messa in scena, gli inganni del potere. Può essere. Anche dopo tanti anni, con Mario Appignani, può ancora essere tutto, e così sia. FILIPPO CECCARELLI