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 2008  giugno 18 Mercoledì calendario

MILANO

Appena il 7 marzo scorso, Nicoletta Gandus era il giudice più corretto del mondo: soltanto perché, contro il parere del pm Fabio De Pasquale e diversamente da altri giudici che in passato si erano trovati a presiedere un processo a Silvio Berlusconi sotto elezioni, aveva accolto «per opportunità» la richiesta di rinvio a dopo il voto avanzata dai difensori dell’allora capo dell’opposizione. Adesso, invece, per gli stessi avvocati- parlamentari del premier, che nel processo rimettono la toga da legali indossata sopra la veste di legislatori proprio delle norme che sospenderanno questo processo, Gandus diventa un giudice mosso da «grave inimicizia» verso un Berlusconi «avversario politico in tutti i campi». Eppure Gandus è, non da oggi ma dai 33 anni che è in magi-stratura, sempre lei. E’ il pretore che propizia la conciliazione tra un’ortolana senza soldi e il suo denunciante, sulla base di una intesa che vincola l’una a risarcire l’altro con frutta gratis pari per due anni al fabbisogno giornaliero della vittima e di sua figlia; ed è la toga che s’interroga quando un tossicodipendente che non ha messo ai domiciliari ferisce a coltellate un agente. Una figura storica di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe; e però anche il giudice che assolve il big di Forza Italia e presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, dalla corruzione contestatagli nel processo per la discarica di Cerro Maggiore. E’ la tricoteuse che cuce da sola gli abiti che veste e che esordisce a un convegno di Md rivendicando la sua passione per il fare la maglia; ma anche la femminista attiva nel «collettivo donne in magistratura» e l’assidua della «Libreria delle donne».
Incarna il volto della giustizia che assolve dalla resistenza a pubblico ufficiale due marocchini risultati invece vittime delle botte dei poliziotti; ed è lo stesso volto che scagiona il poliziotto che rischiava 3 anni perché calunniato dai due tunisini che dicevano d’essere stati da lui derubati di 17 milioni di lire in una perquisizione.
Apre la strada quando addirittura già nel 1993 con alcuni colleghi del tribunale prepara e fa distribuire un manualetto per orientare gli imputati stranieri nelle regole dei processi (a cominciare dalla presenza almeno dell’interprete); e macina tanta strada quando con la sua famiglia allargata partecipa alle manifestazioni nazionali per la difesa della legge 194 e per la libertà femminile. E’ la firmataria su il manifesto di «Non in mio nome», appello di condanna nel 2001 della politica israeliana nei confronti dei palestinesi; e invoca la libertà della prima donna curda eletta deputato nell’Assemblea nazionale turca. Si spende contro i termini della legge sulla procreazione medicalmente assistita votata «non solo dal centrodestra» in un Parlamento «composto per più del 90% da uomini»; e fa l’inviata di Md alla sessione della magistratura al Social Forum brasiliano di Porto Alegre nel 2002.
Interpellata spesso da Radio Popolare sui temi generali della giustizia milanese, una volta a Radio2 confessa invece scherzando che, di notte, preferirebbe di gran lunga fare un giro di danza che stare a scrivere le motivazioni di una sentenza che sta per scadere. Ma ieri sera, non era aria proprio da volteggi per la Gandus, pur grande appassionata di ballo liscio. Altro che danze, ieri – spiegava ai colleghi compagni di sbocconcellamento di panino tardopomeridiano nei corridoi del tribunale – aveva da risolvere un grosso e improvviso problema pratico. Scossa dalla ricusazione di Berlusconi, come hanno pensato tutti? Più che altro, spiazzata dall’essere rimasta proprio ieri senza aiuto domestico.
Luigi Ferrarella (CORRIERE)

Oggi ho preso 120 decisioni... Tutte sbagliate!». Impossibile quando si entra nell’ufficio della dottoressa Nicoletta Gandus non notare il monito di Linus che campeggia proprio sopra la scrivania del giudice a ricordarle l’umana fallacità. Il giudice ”di sinistra” che ha fatto infuriare Berlusconi, ride guardandoti in tralice da sotto gli occhiali: «Anche lei qui per vedere la notizia del giorno? Di me non dirò nulla, se vuole dia un’occhiata all’ufficio e poi arrivederci».
Tipa di poche parole la dottoressa Gandus, donna di polso e assai spiritosa: in 33 anni di onorata carriera nella magistratura milanese non si ricordano polemiche suscitate da sue clamorose sentenze, spesso considerate all’avanguardia. Semmai, plausi di ammirazione. Ma con moderazione. «Sempre stata ai piani bassi, io...». Dichiarazione di umiltà ma anche di pragmatismo lombardo unito a una naturale diffidenza per la ribalta. Prima pretore, poi giudice di tribunale come presidente della decima sezione, Gandus effettivamente non si è mai spostata dal pianterreno del Palazzaccio, lato San Barnaba, il suo regno. Eppure il carattere è battagliero: femminista storica, tra le anime più attive della corrente di Magistratura Democratica, la dottoressa Gandus, oggi 58 anni, è sempre stata considerata a palazzo di giustizia uno ”spirito libero”. Sicuramente un giudice che ha saputo mostrare «indipendenza e imparzialità», come le ha riconosciuto di recente il Csm nominandola all’unanimità appunto presidente di sezione del tribunale.
E’ vero: nel 2002 si recò a Porto Alegre in Brasile per partecipare al Forum mondiale dei giudici che rivendicavano l’indipendenza della magistratura nelle democrazie: «Ovviamente - dichiarò lei - indipendenza solo in quanto garanzia dei diritti fondamentali, e non in senso corporativista». Che magari per qualcuno sarà anche stato un gesto eversivo ma certo a lei non ha impedito, ad esempio, di assolvere nel 2005 il presidente della Lombardia Roberto Formigoni dall’accusa di corruzione, abuso d’ufficio e favoreggiamento per la vicenda della discarica di Cerro Maggiore che vedeva tra i protagonisti, giusto per fare un nome, Paolo Berlusconi (che invece patteggiò versando 50 miliardi di lire). Oppure di assolvere nel 1981 l’allora presidente della Regione Cesare Golfari dall’accusa di violazione della legge sull’aborto. O, ancor più recentemente di assolvere una radio privata del gruppo Riffeser per non aver pagato la Siae. Così come polemiche o giudizi affrettati, non le impedirono di sfilare, con il pm Ilda Boccassini e il giudice Oscar Magi, per le vie di Milano il 25 aprile del 2005 dedicato alla difesa della Costituzione. A un certo punto, come hanno ricordato nella loro ricusazione i legali del Cavaliere, finì perfino in un elenco di 60 magistrati scovati dai collegi di difesa ai tempi dei processi Previti e Berlusconi, titolari di azioni Mediaset: si voleva in questo modo che i processi fossero trasferiti a Brescia. Ovviamente non se ne fece nulla, perché quelle azioni («credo non più di 100 euro) erano collocate in fondi comuni di assicurazioni private di cui i magistrati in questione non conoscevano la composizione. Che il giudice Gandus offra pochi appigli alla polemica facile, si evince poi dall’andamento dello stesso processo Mills, durante il quale non si sono mai verificati particolari momenti di tensione con le difese. Uno dei pochi risale al settembre scorso, quando i legali si erano risentiti perché il giudice li aveva bacchettati sostenendo che alcune domande poste al teste Flavio Briatore erano state fatte ad uso e consumo dei giornalisti in aula. Il tutto si risolse con fair play: Nicoletta Gandus dettò a verbale che si era trattato di «una doverosa attività di direzione del dibattimento» e che in quanto tale non metteva ovviamente in discussione «la professionalità né la deontologia di alcuno».

COLONNELLO


L’atmosfera che si respira nei due campi è pesante. Ricorda quelle che precedono le guerre. Davanti alla porta che immette nell’aula di Montecitorio l’ex-comandante della Gdf e ora deputato Pdl, Roberto Speciale, già prepara le difese. «Se mi danno carta bianca - confida - qui militarizzo la maggioranza. Farò l’appello tutte le mattine. Certo qualche dubbio ce l’ho. Sull’uso dell’esercito sarei stato più cauto: dobbiamo impiegare i militari che tornano dall’Afghanistan e superati 35 anni hanno anche la pancia, ma noi abbiamo anche 25mila carabinieri imboscati. Comunque il vero problema è tenere la linea: in guerra si fa così, altrochè dialogo no, dialogo sì. Il problema del presidente è che si è circondato da parrucconi. Se si vincono le elezioni e, di molto, si mette in atto lo spoyl-sistem e basta». Anche dall’altra parte il Pd si prepara alla guerra, incalzato da Antonio Di Pietro. «Il quadro è cambiato - osserva Pierluigi Castagnetti -. Da una parte non possiamo accettare le ultime mosse del Cavaliere nel merito. Dall’altra noi dobbiamo far vedere alla gente che esistiamo. In Sicilia siamo spariti».
Appunto, ci saranno almeno tre mesi guerra. E’ fatale. I magistrati di Milano sono in rivolta assecondati da Csm e Anm. Di Pietro li sobilla paragonando Berlusconi addirittura al boss mafioso Provenzano. Veltroni è risucchiato da questo meccanismo perverso ed è costretto ad andargli dietro. E Berlusconi, fiutata la trappola, tira dritto come un carro armato. Ieri riunito con il suo stato maggiore prima di salire al Quirinale per ascoltare le lagnanze del Capo dello Stato, Berlusconi è stato chiarissimo. E a nulla sono valsi i richiami alla prudenza del suo Gran Visir, Gianni Letta. Anzi. Il Cavaliere ha spiattellato anche davanti al suo consigliere principe le prove che dimostrano quanto la linea adottata con la lettera al presidente del Senato, Schifani, fosse obbligata. «Se pensano di mettermi in un angolo come nel ”94, si sbagliano - ha spiegato -. Io vado giù dritto e non mi fermo. Non mi faccio ricattare da un giudice quando ho dimostrato la mia innocenza. Lo dirò a Napolitano. Ho un testimone che ha ascoltato una conversazione tra il presidente del Tribunale, Nicoletta Gandus, e un altro magistrato. La Gandus ha detto questa frase al suo interlocutore: ”A questo str... di Berlusconi gli facciamo un c... così. Gli diamo sei anni e poi lo voglio veder fare il Presidente del Consiglio”». Arrivato al Quirinale con questo stato d’animo il Cavaliere ha tenuto il punto: Napolitano si è lagnato per questi continui inserimenti di emendamenti in decreti che arrivano in Parlamento dopo aver ottenuto il visto del capo dello Stato; Berlusconi ha spiegato le sue ragioni. Alla fine i due sono rimasti sulle rispettive posizioni ma il Capo dello Stato probabilmente alla fine metterà la firma sul provvedimento.
E il dialogo con Veltroni? Qualche ora prima, sull’aereo che lo ha portato da Milano a Roma, il premier aveva dedicato qualche parola all’argomento. «Il dialogo - aveva osservato - ha un senso se si fa su qualcosa. Ma finora Veltroni su cosa è stato disponibile? Su niente. Sui regolamenti parlamentari mi ha detto ”vai avanti che io non ce la faccio”. Su tutto è così. Non è colpa mia se non governa l’opposizione. Inoltre non dimentichiamo che il paese è con noi. In Sicilia abbiamo ottenuto una maggioranza bulgara». Insomma, Berlusconi a cambiare linea non ci pensa proprio. I sondaggi lo confortano: domenica sera Sky diceva che l’82% degli italiani è d’accordo sull’impiego dell’esercito per l’ordine pubblico; ieri il 59% approvava la sua uscita sulla giustizia. Per cui il personaggio va avanti come un treno. Anche perchè pure Veltroni, per convinzione o per necessità, è costretto alla guerra. Lo ha spiegato agli intimi: «Dopo il voto in Sicilia quelli che dentro il Pd vogliono farmi la festa, si daranno ancora più da fare. E io non posso farmi scavalcare sempre da Di Pietro nello scontro con Berlusconi. Se non reagisco mi ruba spazio». Quindi, il leader del Pd è costretto ad interrompere un dialogo senza fatti, non per scelta quanto per istinto di sopravvivenza.
Ma la guerra è guerra. Ed è evidente che nelle prossime settimane i due eserciti useranno tutte le armi che hanno a disposizione. Ad esempio, Veltroni ha sul groppone il dissesto del bilancio del Comune di Roma e il centro-destra comincia a ventilarglielo sempre più spesso ( ieri Letta, Tremonti e il sindaco Alemanno hanno affrontato insieme la questione). Confida Luigi Casero, sottosegretario all’Economia e intimo di Giulio Tremonti: «Un aiuto alle casse della capitale lo daremo pure, ma prima ci sarà una sorta di commissariamento per le spese e la dichiarazione di dissesto finanziario». Per cui il dialogo è solo un ricordo. Che fosse impossibile i più avvertiti lo avevano capito da tempo. Bastava analizzare senza retorica lo scenario: da una parte c’è un capo della maggioranza che ha stravinto le elezioni; dall’altra c’è il capo di un’opposizione divisa in tante fazioni come in Libano, che non riesce a garantire la tregua per colpa delle incursioni di Di Pietro e del partito dei pm che si sono calati nei panni degli Hezbollah. Un disastro di cui è consapevole anche il capo di un altro pezzo dell’opposizione, Pier Ferdinando Casini. «Non so che cavolo fare - ha confidato ad un suo ”ex”, Giuseppe Galati, ora con Berlusconi -. Non mi si fila nessuno nè a destra, nè a sinistra. Io, però, solo non ci voglio stare. Prima della fine dell’anno non succede niente, poi vedremo».
Se l’opposizione è in queste condizioni è evidente che Berlusconi non ha problemi a proseguire nella sua offensiva. « la guerre ma tranquilli - sorride Mario Valducci, uno dei consiglieri del premier -. L’intervento del Capo era un dovere. Dopo l’avviso di garanzia a Napoli gli italiani hanno votato Berlusconi per ben 14 anni. Che la procura sia faziosa è un dato. E noi non possiamo permetterci un’altra volta l’immagine di un premier condannato che colpirebbe anche quella del paese. Anche perché Murdoch in Italia è nei guai e non metterà di certo a disposizione di Berlusconi i suoi giornali internazionali».
Il premier Silvio Berlusconi e il vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam sono di nuovo nel mirino dei siti islamici che si rifanno all’internazionale di Osama Bin Laden. Le nuove minacce sono apparse all’interno di uno dei forum islamici più frequentati del web. Nel post dal titolo «Berlusconi e Magdi Allam», si legge: «Sono due morti che camminano...proprio come si autodefiniva Falcone... messaggio in codice? Forse!» A scrivere è «Muhajir Allah Wadàa Ahlahù» (in arabo, «emigrante di Allah che ha dato l’addio alla sua gente»). A differenza del passato, le intimidazioni non sono scritte in arabo, ma in italiano. Nel blog, uno di quelli monitorati costantemente dai servizi d’intelligence e antiterrorismo, non ci sono altri riferimenti al premier. Sul valore da attribuire al messaggio, gli esperti dell’antiterrorismo sono cauti. «Si sta valutando. Non c’è motivo di allarme, ma nulla può essere trascurato - spiega una fonte qualificata - Il sito è aperto e ognuno può mettervi quel che vuole. La frase non è argomentata e si unisce a un quadro di minacce a Berlusconi apparse già in passato».
MINZOLINI