Curzio Maltese, La questua: quanto costa la Chiesa agli italiani, 16 giugno 2008
La Chiesa costa agli italiani 4,5 miliardi di euro all’anno, 500 milioni in più della politica. «C’è una perenne ”questua” di denaro pubblico da parte del Vaticano» [p
La Chiesa costa agli italiani 4,5 miliardi di euro all’anno, 500 milioni in più della politica. «C’è una perenne ”questua” di denaro pubblico da parte del Vaticano» [p. 29]. «Con molta prudenza, si può stabilire che la Chiesa cattolica costa ogni anno ai contribuenti italiani una cifra vicina ai 4 miliardi e mezzo di euro, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 950 milioni per gli stipendi dei 22.000 insegnanti dell’ora di religione, altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità» [p. 41]. «Il mancato incasso per l’Ici si può valutare in una forbice compresa fra 400 e 700 milioni, in 500 milioni lo sconto del 50% su Ires, Irap e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico». [p. 40]. «Poi i finanziamenti ai Grandi Eventi: il Giubileo (3.500 miliardi di lire), Loreto (2,5 milioni di euro) per una media annua ”nell’ultimo decennio di 250 milioni di euro» [p. 40]. «Gli italiani spendono per la Chiesa più di quanto spendano per mantenere l’odiato ceto politico. Ma non lo sanno. Non lo sa il terzo di cattolici praticanti e non lo sanno gli altri due terzi» [p. 29]. Si parla di Chiesa, indistintamente. Il sottotitolo del libro è ”quanto costa la Chiesa agli italiani”. «Farà storcere il naso sia ai laici che ai cattolici. […] I cattolici sono molto attenti alle distinzioni formali all’interno dell’organizzazione. Vaticano, Santa Sede e Cei, l’assemblea dei vescovi italiani sono in effetti soggetti giuridici differenti, dunque: ”Quanto costano il Vaticano, la Cei e la Santa Sede agli italiani”. Una volta scartati il politicamente corretto e il cattolicamente corretto mi sono concentrato su quello di cui finanche l’autore capiva il senso: il Costo della Chiesa, una e trina» [p. 31]. Avvenire: «In realtà la correttezza non c’entra. Maltese ha bisogno di confondere Santa Sede e Cei perché il mirino è puntato sull’otto per mille, che va alla Cei ma che ai lettori va fatto credere vada al Vaticano, insinuando l’idea che la distinzione sia un cavillo, una pura formalità. Invece è sostanza» [1]. Camillo Ruini. «Quando Giovanni Paolo II lo chiama a Roma da Reggio Emilia, Ruini è un giovane vescovo noto alle cronache solo per avere celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi» [p. 37]. Avvenire: «Le cronache di Eva Express, forse. Com’è arcinoto, Ruini, già stimato docente di teologia dogmatica a Bologna, si fa apprezzare in particolare come vicepresidente del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale di Loreto (1985), dove ricopre un ruolo di primo piano» [1]. Ruini/2. «”Quando sono arrivato allaCei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati”. Camillo Ruini non esagera. A metà degli anni ottanta, le finanze della Chiesa cattolica sono una scatola vuota e nera. Il budget della Cei non arriva a 300 milioni di lire (Ruini lo porterà in venticinque anni oltre i duemila miliardi» [p. 35]. L’otto per mille, «una delle chiavi per leggere la parabola di Camillo Ruini alla guida della Cei». «Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando il prelievo diretto sull’Irpef entra a regime e sfocia ormai nel mare di 1 miliardo di euro all’anno. Ruini ne diviene il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche, come gli stipendi dei preti (riguardo ai quali la Cei gode peraltro di ampi margini di discrezionalità) è il presidente della Conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa, agli investimenti immobiliari e finanziari» [p. 38]. «Ogni anno rimane mezzo miliardo di euro nelle casse della Cei, che lo distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere, sotto voci generiche e imperscrutabili come ”esigenze di culto”, ”spese di catechesi” attività finanziarie e immobiliari» [p. 42]. Avvenire: «In realtà i criteri di distribuzione dell’otto per mille sono oggettivi. I preti italiani, ovunque prestino servizio pastorale (anche i fidei donuma all’estero), ricevono la stessa remunerazione, a partire da 853 netti mensili; idem i vescovi, che alla soglia della pensione ne ricevono 1.309. […] La quota assegnata alle singole diocesi viene divisa per metà in parti uguali, per l’altra metà in base al numero di abitanti. Per l’estero, un apposito comitato riceve le richieste e provvede le assegnazioni. tutto così misterioso che l’elenco dettagliato dei primi 6.725 interventi è stato pubblicato nel 2005 in un volume di 386 pagine, Dalla parola alle opere; 15 anni di testimonianze del Vangelo della carità nel Terzo Mondo» [1]. Il meccanismo dell’otto per mille, che assegna anche le donazioni non espresse, su base percentuale. «Il 60% dei contribuenti lascia in bianco la voce ”otto per mille”, ma grazie al 35 per cento che indica ”Chiesa cattolica” tra le scelte ammesse la Cei si accaparra quasi il 90% del totale. […] Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul ”Sole 24 Ore” lo storico Piero Bellini» [p. 42]. «L’Italia versa alla Cei un anticipo di circa il 90 per cento sull’introito dell’anno successivo, mentre alle altre confessioni versa il danaro con tre anni di ritardo» [p. 58]. Avvenire: «Il meccanismo dell’otto per mille è analogo a quello di una votazione. Se per il Parlamento vota l’80% degli elettori, non per questo il 20% dei seggi rimane non assegnato. Chi si astiene si rimette al voto di chi partecipa. In effetti non si firma per il proprio otto per mille, ma per l’otto per mille complessivo, di tutti» [1]. Su quanti scelgono la Chiesa cattolica come destinatario, «è vero, sono il 60% se si considerano tutti i contribuenti. Sbagliato se si considerano quelli obbligati a presentare la dichiarazione con il 730 e l’Unico (esclusi 13 milioni di italiani, per lo più pensionati). Tra questi la partecipazione alla firma è del 61,3%» [1]. Il sesso. «Lo Stato italiano finanzia direttamente e indirettamente un’azienda, la Chiesa, che opera una clamorosa discriminazione sessista nei confronti dei propri dipendenti. I preti hanno infatti riconosciuto il diritto allo stipendio e alla pensione, le suore no» [p. 55]. Gli stipendi. Dal 1990 al 2007 l’incasso dall’otto per mille della Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa in proporzione della metà: dal 70 al 35 per cento [p. 56]. Avvenire: «Le vocazioni non c’entrano e i preti inseriti nel sistema sono invece aumentati. Repubblica non tiene conto che sono pure aumentati firme e gettito complessivo Irpef» [1]. Lo stipendio di tutto il clero valdese: 650 euro a testa. I valdesi usano il 94% del loro otto per mille (5,7 milioni di euro) per la carità, il resto per la pubblicità. «Maria Bonafede,moderatrice della Tavola Valdese: ”Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere”» [p. 58]. Avvenire: «Che cosa Dio voglia o non voglia siamo convinti non lo possa stabilire con tanta certezza nessuno, cattolico o valdese che sia. E i soldi tornano assolutamente tutti a quegli italiani che li affidano alla Chiesa. Tornano sotto forma di tempo dedicato a loro, di servizi, di strutture educative, formative, sanitarie e sportive, di luoghi in cui pregare» [1]. La Turco e la concorrenza sleale. Nel 1996 il ministro per la Solidarietà Livia Turco propose di destinare la quota statale di otto per mille a progetti per l’infanzia povera. «Il ”cassiere” pontificio, monsignor Attilio Nicora, rispose che ”lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa”» [p. 53]. Avvenire: Quella attribuita a Nicora è una «frase mai scritta né pronunciata, infatti Maltese non è in grado di citarne la fonte» [1]. L’esenzione dall’Ici. Nel 2004 la Corte di Cassazione ha chiarito che l’esenzione vale solo per gli immobili che «non svolgono anche attività commerciale». Il governo Berlusconi, con un decreto del 2005, ripristina l’esenzione totale dell’Ici per i beni della Chiesa. Nel 2006 il governo Prodi stabilisce che non devono pagare l’Ici gli immobili a uso ”non esclusivamente commerciale”. Secondo l’Anci il 90-95% delle proprietà ecclesiastiche continua a non pagare. «Non esiste infatti albergo religioso, cinema, o perfino libreria, di proprietà ecclesiastica che non adduca la presenza di una cappella, o anche soltanto di una teca, comeprova della sua natura ”non esclusivamente commerciale”» [pp. 64-65]. Brigidine. L’albergo delle Brigidine, a Roma, in Piazza Farnese. «Il prezzo di una camera è di 120 euro per la singola, 190 per la doppia – compresa la colazione – maggiorato del 3 per cento se si paga con carta di credito. La Casa di Santa Brigida – 4 mila metri quadri nella zona più cara di Roma, più lo sterminato terrazzo – ha un valore di mercato di circa 60 milioni di euro, ma è iscritto al catasto nella categoria ”convitti”. E non paga una lira di Ici» [p. 62]. L’Anci. Secondo l’Anci: 400 milioni all’anno di perdita per l’esenzione Ici, 1 miliardo se si considerano «gli immobili considerati unilateralmente esenti da sempre e mai dichiarati ai comuni» [p. 62]. Avvenire: «Le strutture alberghiere pagano, e se non pagano vanno fatte pagare; ma le strutture alberghiere vere, non i convitti universitari o le case alpine, che hanno finalità sociali (come ogni struttura con tali finalità). Lo studio è di qualche comune, forse, non dell’Anci in sé, con la quale la collaborazione, della Cei e delle Curie, è cordiale» [1]. In più le esenzioni Ici, risalgono al 1992, quando il governo Amato introdusse la nuova tassa. «La Chiesa è soltanto uno dei moltissimi soggetti risparmiati dall’Imposta, el’esenzione vale solo in alcuni casi e molto circoscritti». Non pagano gli edifici che appartengono allo Stato o agli altri enti pubblici come i comuni, le province, le regioni, le Asl, gli ospedali, le scuole, le camere di commercio. Gli immobili di proprietà degli Stati esteri e delle organizzazioni internazionali. Tutti i terreni agricoli montani anche se di proprietà di privati. Gli edifici di biblioteche o musei. I fabbricati destinati all’esercizio del culto, gli immobili non commerciali, ma solo se svolgono in maniera esclusiva otto attività considerate meritevoli: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive [2]. Gli immobili. Chiedersi quanti immobili abbia la Chiesa è un interrogativo disperato. «La Chiesa fa il possibile per impedire il calcolo sui beni ecclesiastici e per non collaborare, a livello nazionale come a quello locale. Il patrimonio ecclesiastico è suddiviso in 56 mila sigle di enti in Italia, senza contare l’estero (la Chiesa è una ”multinazionale” con 4649 diocesi): un dedalo al cui confronto le ”scatole cinesi” in uso nel mondo della finanza risultano un trucco puerile» [66 ]. Roma. «Quasi un quarto di Roma è di proprietà della Chiesa» [p. 68]. Il patrimonio immobiliare dell’Apsa (Amministrazione patrimonio della Sede Apostolica): 50 milioni di euro nell’area romana. «Briciole» [p. 67]. «A Roma, è difficile separare cosa appartiene alla Chiesa e cosa no» [p. 123]. Nella capitale risiedono 400 istituti di suore, 300 parrocchie, 250 scuole cattoliche, 200 chiese non parrocchiali, 90 istituti religiosi, 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 20 case di riposo e altrettanti seminari, 18 ospedali, 16 conventi, 13 oratori, 10 confraternite, 6 ospizi. «Sono quasi 2 mila gli enti religiosi residenti nella capitale e risultano proprietari di circa 20 mila terreni fabbricati» [p. 123]. L’Italia. «Il 20-22 per cento del patrimonio immobiliare nazionale è della Chiesa» [p. 69]. In Italia gli enti locali e lo Stato fanno a gara per finanziare i beni ecclesiastici. «Una legge lombarda, adottata da altre regioni, obbliga i Comuni a versare l’8 per cento degli oneri di urbanizzazione secondaria a ”enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica”. In soldoni significa che il solo Comune di Milano ha versato nel 2006 la somma di 3 milioni 231 mila 600 euro a favore della Chiesa. Il Comune di Roma nel 205 ne aveva versati 2 milioni 310 mila, Bologna 679 mila, Firenze 491 mila» [p. 79]. In Francia le chiese le demoliscono. «Chiese, conventi e monasteri si svuotano e mantenerli costa sempre di più. In Francia, alcuni sindaci cominciano a ricorrere alle ruspe per risolvere la questione, sull’esempio di un villaggio della Loira, Valanjou, dove con voto unanime della giunta è stata abbattuta una delle tre chiese» [p. 78]. Avvenire. «Maltese trascura un dettaglio che certo non può ignorare: lo Stato francese è proprietario di tutti gli edifici di culto costruiti prima del 1905. Sono suoi, e quindi se li può restaurare (a sue spese) o demolire» [1]. Turisti. «Secondo un’indagine di Trademark, la Chiesa controlla ogni anno un traffico di 40 milioni di presenza, 19 milioni di pernottamenti, oltre 200 mila poti letto in 3.500 strutture. Il volume d’affari è stimato in 4,5 miliardi di euro all’anno: il triplo del fatturato dell’Alpitour, primo tour operator nazionale» [p. 78]. Nel campo del turismo, i privilegi fiscali della Chiesa si traducono in un vantaggio sula concorrenza. «Nel volgere di quattro o cinque anni, il volume d’affari potrebbe sfondare il tetto dei 10 miliardi di euro. […] A Roma ogni anno le case religiose tolgono clienti ai normali alberghi in ogni quartiere, centro o periferia» [p. 83]. Cesar Atuire. Ghanese, amministratore quarantenne dell’Opera romana pellegrinaggi. «Una delle molte prove viventi del sistema rigorosamente meritocratico della struttura cattolica. Originario del Ghana, con alle spalle studi di Ingegneria a Londra e di Filosofia in Germania, conoscitore di una dozzina di lingue, coltissimo e assai dinamico, padre Atuire è in pratica il ministro per il Tursimo del Vaticano» [p. 81]. Moggi e il blog del Papa. «Dal blog di Papa Ratzinger, ufficioso ma benedetto dal Santo Padre, si legge: ”Nell’era del low cost, l’Opera romana pellegrini si adegua. La ricerca di Dio si affida a voli rigorosamente a basso costo. Il Boeing 737-300 della flotta Mistral, fondata nel 1981 dall’attore Bud Spencer,e ora targato Orp, è decollato il 27 agosto da Roma con destinazione Lourdes. I pellegrini, 148 fra i quali l’invitato Luciano Moggi, hanno intrapreso il viaggio spirituale supportati da una guida d’eccellenza: il cardinale Camillo Ruini» [P. 75]. Avvenire: «Grande giornalismo d’inchiesta, davvero». ”Papa Ratzinger blog” è tenuto da una fedele cattolica che però sotto la testata si affretta a precisare ”Si tratta di una iniziativa personale che non ha alcun riconoscimento ufficiale”. «Dov’è la benedizione ufficiale?». La notizia di Moggi è «falsa, in fondo marginale. Ma serve a comprendere come sia stata concepita l’inchiesta. […] Su quel volo Moggi non c’era, andò a Lourdes per i fatti suoi come privato cittadino». Dei quattro articoli su quel pellegrinaggio pubblicati su quel sito «uno solo, dell’Eco di Bergamo, tira in ballo Moggi. Gli altri tre no. Uno è anonimo. Uno è del Giornale. L’ultimo, sorpresa, è di Orazio La Rocca di Repubblica. Non ci sono né Moggi né il rettore della Lateranense che avrebbe benedetto il viaggio. Maltese farà bene a mettersi d’accordo con il collega» [1]. Zeno Maltese. 5 anni, figlio di Curzio, non frequenta l’ora di religione. «Una maestra della scuola statale mi ha chiesto con aria avvilita se ero per caso ebreo osservante, o luterano, o di altri culti, e mi ha spiegato che questo avrebbe risolto tutto perché molti genitori ebrei, luterani ”o perfino islamici” iscrivevano ugualmente i figli all’ora di religione ”per non farli sentire isolati”» [p. 97]. Costo dell’ora di religione per i contribuenti: circa 1 miliardo di euro all’anno. « la seconda voce di finanziamento diretto dello Stato alla confessione cattolica, di pochi milioni inferiore all’otto per mille. Ma rischia di diventare a breve la prima. L’ultimo dato ufficiale del ministero parla di 650 miliin di spesa per gli stipendi agli insegnanti di religione, ma risale al 2001, quando erano 22 mila e tutti precari. Nel 2008 sono diventati 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo, grazie a una rapida e un po’ farsesca serie di concorsi di massa inaugurata dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dal governo Prodi” [p. 92]. Gli insegnanti di religione, unici tra i precari ad avere uno scatto di anzianità del 2,5% [p. 93]. Avvenire: Non si può parlare di soldi dati alla Chiesa. «Gli stipendi agli insegnanti di religione vanno a professionisti con laurea e diploma, padri e madri di famiglia. Sono laici l’85% degli insegnanti» [1]. Il Pil pro capite della Città del Vaticano: 407 mila dollari. «Di gran lunga lo Stato più ricco del mondo. […] Secondo le stime della Fed del 2002, la Chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni» [p. 115]. Il ministro delle finanze italiano Preti, il 23 febbraio 1968: «La Santa Sede possedeva titoli azionari italiani per un valore di circa 100 miliardi (oltre a un imponente quantitativo di titoli di Stato e obbligazioni, non nominativi ed esentasse), con un dividendo che oscillava dai 3 ai 4 miliardi all’anno» [p. 149]. Importazioni del Vaticano nel 2005: «1.000 tonnellate di carne; 90 tonnellate di pasta; 174 di latte; 27 di prosciutto e 15 di salumi vari; 700 di liquori, 240 di birra, 50 di vino, 48 di spumante e 3 di champagne; 110 di tabacco; 17 di cosmetici e 14 di profumi; oltre, naturalmente, a 70 tonnellate di medicinali» [p. 125]. Papi. «I risultati concreti del pontificato di Giovanni Paolo II sono il ritorno alla Chiesa preconciliare, l’alleanza privilegiata con le forze tradizionaliste e la progressiva riduzione, fino all’estinzione, del dissenso cattolico» [p. 37]. Avvenire: «Da pagina 37 Maltese si avventura in brevi cenni di storia recente della Chiesa che farebbero sorridere un redattore di Topolino» [1]. Lo Ior. «La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all’interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V nel 1493, l’anno della caduta di Costantinopoli, come simbolo di baluardo della cristianità assediata. Ha mura spesse 9 metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere ne segnala l’importanza. All’interno, si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat» [p. 105]. Depositi dello Ior. Secondo le stime: 5 miliardi di euro. «Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto ”ente centrale della Città del Vaticano”» [p. 105]. Paul Marcinkus.«Figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago)a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più calmorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della Chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l’uomo che aveva salvato Paolo VI dall’attentato nelle Filippine del 1970, disarmando con piglio da esperto l’artista boliviano che voleva accoltellare il Santo Padre. […] Un prete guascone, che in pieno crac Ambrosiano si giustificava così: ”Non si può dirigere la Chiesa con le Avemarie”» [p. 107]. Tangenti. «Passa dallo Ior una parte della ”madre di tutte le tangenti”: 108 miliardi della mazzetta Enimont. Il presidente dello Ior è il laico Angelo Caiola. Caloia a Giancarlo Galli, giornalista cattolico: «Monsignor Dardozzi, col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano». La risposta inviata dal Vaticano al pm Francesco Saverio Borrelli: Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale» [p.110]. Confessioni. Giampiero Fiorani, in carcere, ai magistrati, il 10 luglio 2007: «Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro» [p. 112].Il Pentito Francesco Marino Mannoia: «Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano. […] Quando il Papa venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano» [p. 111]. Carità. Il 20% del miliardo ricevuto con l’otto per mille la Cei lo destina alla carità: 115 milioni in Italia e i restanti 85 nelle missioni all’estero (dati 2006) [p. 135]. «Alex Zanotelli, padre comboniano da sempre in prima linea nella lotta per alleviare le sofferenze dei dannati della Terra, era sbalordito nell’apprendere che soltanto il 7-8 per cento della raccolta dell’otto per mille è destinato dalla Cei alla carità internazionale: ”Siete sicuri, avete controllato i dati? Se fosse così sarebbe grave”» [p. 136]. Complotti. «Esiste un tacito patto per cui, mentre lo Stato smantella pezzo per pezzo il welfare, la chiesa si incarica del ”lavoro sporco”, di tappare le falle più grosse e arginare la massa crescente di esclusi senza più diritti, garanzie, protezione» [p. 136]. «Una chiave dell’anomalo rapporto economico fra Stato e Chiesa, di sicuro la più presentabile, è proprio questa: in una formula, ”soldi in cambio di servizi”. Privilegi fiscali, esenzioni, pioggia di finanziamenti a vario titolo sono giustificati con la delega al mondo cattolico di quel ”lavoro sporco” che lo Stato non vuole e non sa fare. […] Questo fa sì che la Chiesa guadagni consensi nelle zone più deboli e periferiche della società e lo Stato ne perda in proporzione, figurando agli occhi dei più svantaggiati soltanto in veste di persecutore burocratico e fiscale» [p. 139]. Guerre. L’Occidente ha lasciato la lotta alla fame e alla povertà «lasciando il campo libero in Africa e Asia alle confessioni religiose, Islam e cattolicesimo, a scuole coraniche e missioni. […] Il rovescio della medaglia del ritorno alla fede nei paesi poveri è il moltiplicarsi delle guerre di religione. Anche se si è trovato il modo di chiamarle con un altro termine: ”conflitti etnici”. Ma nell’ex Iugoslavia o nell’Iraq dei nostri giorni non esistono etnie diverse, piuttosto religioni ”nemiche”: serbi ortodossi contro cattolici croati e muslmani bosniaci; sciiti contro sunniti» [p. 143]. Spazi al tg. «Dal giorno dell’elezione a pontefice di Benedetto XVI, 19 aprile 2005, a quello della mancata visita alla Sapienza, 17 gennaio 2008, il primo telegiornale pubblico, il Tg1, ha riservato al Santo Padre e alle gerarchie cattoliche 27 ore di informazione. Una volta e mezzo il tempo dedicato ai presidenti del Consigio Silvio Berlusconi e Romano Prodi (18 ore), e più del doppio di quello riservato ai presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano (13 ore)» [p. 26]. [1] Umberto Folena, Avvenire, 23/05/2008; [2]Massimo Calvi, Avvenire, 05/09/2007