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 2008  maggio 18 Domenica calendario

Nel paese degli scontenti. La Repubblica 18 maggio 2008 Sono stato in un paese dove non mettevo piede da trent’ anni

Nel paese degli scontenti. La Repubblica 18 maggio 2008 Sono stato in un paese dove non mettevo piede da trent’ anni. E ne sono tornato con una sensazione strana, e non proprio confortevole: che abbia col mio più tratti di somiglianza di quanto potessi immaginare, e comunque più di quanto vorrei. Tutti hanno qualcosa da ridire: sul governo, sull’ aumento dei prezzi, sugli immigrati che portano delinquenza, sul traffico insopportabile e sul fatto che niente funziona come dovrebbe, sull’ incompetenza e la corruzione imperanti a tutti i livelli. Ma nessuno sembra voler davvero un cambiamento, tanto meno un cambiamento brusco. Forse perché quello che hanno avuto trent’ anni fa gli basta e gli avanza. Forse perché a molti tutto sommato va bene così. Finché dura. Mi è bastato accendere la tv per provare la strana sensazione di trovarmi a casa. Davano Distretto di polizia. Se non avessi acceso anche l’ audio, non mi sarei accorto che i personaggi così familiari parlavano persiano. Poi mi hanno spiegato che si tratta di uno dei programmi più seguiti: pare che il sogno della gioventù iraniana sia arruolarsi nella polizia italiana; darebbero chissà cosa per stare in squadra con Claudia Pandolfi o Isabella Ferrari. Figurarsi se vengono a sapere che ci si può imbattere in Emanuela Arcuri arruolandosi tra i carabinieri. Rischiano una crisi di reclutamento i pasdaran. Da qualche tempo sono scomparsi dalle strade. Le uniche divise che si vedono in giro sono quelle della polizia stradale, e dei soldatini in licenza. Per i miliziani islamici la nuova consegna è farsi notare il meno possibile. Ma non dovrebbero avere di che lamentarsi della scarsa visibilità: in cambio, a quanto pare, col governo di Mahmud Ahmadinejad hanno più o meno discretamente occupato quasi tutti i posti che contano, ad ogni livello: sono diventati governatori, funzionari, rettori, imprenditori. Neanche fossero l’ Esercito popolare di liberazione nella Cina di Mao. Autorevoli commentatori occidentali hanno parlato di «golpe strisciante», a proposito delle conseguenze delle ultime due elezioni. La cosa che mi ha più impressionato è che ormai non scandalizzi più di tanto nemmeno i moderati l’ idea di una modernizzazione dell’ Iran "alla turca", protetta dalle baionette dei generali, o l’ idea di sviluppo economico senza democrazia, "alla cinese". Che cosa dovremmo proporgli? Di provare una via "all’ italiana"? Zap. Il canale successivo presenta una telenovela locale, che si indovina all’ ennesima puntata. Situazioni e personaggi sembrerebbero quelli di Incantesimo o di Beautiful, bellocci ricchi e parvenu, non fosse per il kitsch del mobilio dorato e del lusso ostentato. è questo che fa sognare le casalinghe di Teheran? Zap. Un telegiornale: la massima autorità religiosa, il capo del governo, il ministro tale, il ministro talaltro~ Manca solo il "panino". Seguono le notizie dall’ estero: a Gaza missili sionisti hanno ucciso una mamma e i suoi quattro bambini. Zap. è venerdì. Un canale ha il resoconto completo dei sermoni del venerdì in tutte le principali moschee del paese. Zap. Zap. Un canale con della pubblicità. A una marca di "macaroni". A un prodotto per la pulizia della casa. Una reclame di elettrodomestici. Mi passa per la mente che la televisione era stata la prima cosa che avevo acceso quando ero arrivato per la prima volta da inviato in Iran nel 1978. E anche quando ero arrivato per la prima volta a Pechino nel 1980 e a New York nel 1987. Avrei dovuto prendere nota della pubblicità televisiva nei miei trent’ anni da corrispondente, della sua evoluzione, sarebbe anche questo un modo per sbirciare nell’ anima di un paese, pensate solo al confronto tra Carosello e le pubblicità di oggi. Niente ballerine discinte ovviamente sugli schermi della tv iraniana. Quello del porno, su cassetta o via satellite, è un mercato a parte, proibito quanto, dicono, fiorentissimo. Se ne sentono di crude e di cotte. "Bigotti e perversi", si potrebbe dire, rubando il titolo di un articolo di Francesco Merlo sul nostro Belpaese. Di rigore per le donne coprirsi pudicamente i capelli. «It is the law!», è la legge, avvertono i cartelli già in aeroporto. Sono convinto che anche la moda, i mutamenti nel modo in cui la gente si veste e si muove, possano dirla lunga sugli umori di un paese. Noto qualche signore più anziano in cravatta: sono i medici, mi viene spiegato; è un modo per distinguersi, e forse protestare. Ho scoperto qual è l’ uniforme dei loro vitelloni: maglietta nera, jeans, scarpe di pelle a vistosissima punta ricurva all’ insù. In America mi colpiva il fatto che ciascuno si vestiva come gli pare, tranne i gangsta rapper. La cosa che balza all’ occhio per le strade di Teheran, ma anche in provincia, è che moltissime ragazze, e anche qualche giovanotto, portano un vistoso cerotto sul naso. Per proteggersi dal sole? Macché: c’ è un boom delle operazioni per assottigliarsi il naso, e anche di quelle per siliconare le labbra. Mi fa una certa impressione pensare che sette iraniani su dieci trent’ anni fa non erano ancora nati. L’ esatto contrario dell’ Italia, dove i pensionati sono già maggioranza. Ho sempre considerato i giocattoli un altro indice rivelatore degli umori di un paese. Tranquilli: anche se ho letto che le Barbie sono state "sconsigliate", se non proibite, non sono riuscito a trovare da nessuna parte le bambole col ciador. «Non le vuole nessuno», mi hanno spiegato al bazar. In compenso sono sommersi da ogni tipo di arma giocattolo, bambolotto robot e videogioco made in China. Ancora televisione. Che quella ce l’ hanno tutti, anche i nomadi nelle tende, anche i profughi nelle baracche. Zap. Un film americano in bianco e nero, un western. Chissà come andrà a finire col cambio della presidenza americana. «Obama? Ma come fa un musulmano a diventare cristiano?», la risposta più frequente. Orde di ragazzine e ragazzini incontrati nei parchi e in gita scolastica nei musei ci hanno fermato per far pratica d’ inglese. Where do you come from? Italia. Sorrisi, entusiasmo. Dovevo provare a rispondere: America. Sono pronto a scommettere che la reazione non sarebbe stata ostile. Israele forse meglio di no. Gli insegnano da mattina a sera che quelli ammazzano i bambini. Eppure non c’ è mai stata particolare simpatia del mondo persiano, rispetto agli arabi. E non solo perché tra sciiti e sunniti è stato sempre molto peggio che tra cattolici e protestanti. Ho visto bambini e bambine dell’ asilo recitare poesie sulla tomba di Hafez. A scuola si imparano ancora a memoria passi dello Shahnameh, il Libro dei Re di Firdusi. «Maledetto questo mondo, maledetti questi tempi, maledetta la sorte/ in cui gli arabi incivili sono venuti a farmi musulmano». Qualcuno mi ha chiesto se credo in Dio. Ho sorvolato. L’ imam di una madrassa di Shiraz mi ha chiesto di che religione sono. «Uno dei popoli del Libro», gli ho risposto. Ha annuito soddisfatto: «Nel giorno in cui tornerà l’ Imam nascosto, anche Gesù e Mosè lo seguiranno». Zap. Cartoni animati. Zap. Un talk show. Dove si discute animatamente di elezioni e di politica. Per combinazione sono capitato in Iran poco dopo le nostre e le loro elezioni. Che hanno confermato una "maggioranza introvabile" a quelli che, più o meno correttamente, dalle nostre parti vengono definiti i "conservatori", coloro che si richiamano alle origini pure e dure del regime islamico. Dieci anni fa la vittoria elettorale del "riformatore" Khatami aveva sollevato grandi attese. Ma poi aveva finito per lasciare una scia terribile di delusioni. Molti di quelli con cui parliamo - no, non sono uno specchio del paese, sono un’ élite in minoranza - dicono di non essere andati a votare. «Tanto non c’ era una vera scelta», la spiegazione. Delusi dal riformatore col turbante Khatami, la volta prima gli elettori avevano preferito un laico ancora poco conosciuto (Ahmadinejad) a un religioso con lunga esperienza di mani in pasta in politica e affari (l’ ex presidente Rafsanjani). Stavolta non c’ era più neanche l’ imbarazzo della scelta. Ho trovato le edicole di Teheran stracolme di testate di giornali. La cosa che mi ha colpito è che avessero quasi tutti lo stesso titolo principale. Conosco almeno un altro paese dove i giornali si distinguono l’ un l’ altro per sfumature nel trattamento della notizia, ma più raramente nella scelta dell’ argomento del giorno. Per fare un esempio, i giornali iraniani del giorno successivo al mio arrivo titolavano tutti sulle parole della Suprema autorità morale dello Stato, nonché capo della magistratura e delle forze armate: «Votate per i candidati più competenti. Ma votate!». Argomento: i ballottaggi del secondo turno di elezioni ampiamente già decise, svoltisi nel disinteresse generale. L’ ayatollah Khamenei, il cui sorriso tra bonario e furbetto ha sostituito il volto arcigno di Khomeini su tutti i muri, è anche la suprema autorità religiosa. La sua 194 l’ Iran l’ ha abolita da tempo, naturalmente in nome della famiglia e del diritto alla vita, ma recentemente ha "aperto" alla ricerca sulle staminali. In nome della scienza. Come per il nucleare. Non saprei dire se la Teheran rivista oggi sia più felice o più infelice di quella di trent’ anni fa. Certo è cambiata. Nel 1978 era passata rapidamente da tre a sei milioni di abitanti, mi ero fatto l’ idea che questa fosse la ragione principale per cui era scoppiata. Ora ne ha dodici milioni, forse di più. Ci si arriva dal nuovo aeroporto. Di notte se si è partiti dall’ Europa. Il primo edificio che si fa notare, coi quattro minareti al neon, è il mausoleo di Khomeini. Segue una fila infinita di torri grigie, case popolari che sostituiscono i vecchi decrepiti quartieri del sud, da dove era partita la rivolta contro lo Scià. Faccio fatica ad orientarmi nel nuovo reticolo di autostrade e svincoli urbani, ciascuno dei quali sulla nuova mappa ha il nome di un "martire" della guerra contro l’ Iraq. Ma è solo all’ alba che compare tutto l’ orrore dell’ immensa colata di cemento che si estende su su fino alle pendici ancora innevate del monte Albroz. Quelli che si vedono in fondo in fondo, quasi in cima, sono i nuovi quartieri residenziali dove abitano i pasdaran con le loro famiglie, mi dicono. Il traffico è infernale come lo era allora. Mi ero fatto, e non solo scherzosamente, la convinzione che avessero fatto la rivoluzione soprattutto perché non ne potevano più degli ingorghi. L’ ingorgo è rimasto. Mostruoso, totalitario, un testa e coda unico per centinaia di chilometri nelle ore di punta. Malgrado l’ espediente di far circolare a targhe alterne. Malgrado le due nuove linee della metropolitana. Sembra di essere sulla tangenziale nord di Milano, con la coda che a volte va da Bergamo quasi fino alla Malpensa. Tra moto kamikaze e tassì suicidi pare di essere nel caos di Napoli. Con la differenza che non si vede spazzatura in giro. Alle vecchie scassate Peykan si sono aggiunte caterve di nuovi modelli, e Renault, Volkswagen, Mercedes fabbricate in Iran. L’ Iran è un paese dominato dalle auto, altro che dagli ayatollah. Mi dicono che ha il primato mondiale degli incidenti stradali mortali. Il pedone è spacciabile, non esistono attraversamenti pedonali. Si nota anche qualche segno di nervosismo, insulti tra guidatori, urla, una rissa isolata al semaforo. Mi dicono che si tratta di una novità: finora non succedeva. Ci sono, esattamente come da noi, i lavavetri. Afgani, o nomadi baluci. I loro romeni, albanesi e zingari. Per anni l’ Iran è stato il paese più ospitale per milioni di profughi. Ville lumière, miraggio di tranquillità per chi scappava dall’ Afghanistan o dall’ Iraq. Sono ormai gli afgani a fare i lavori più duri, lo spazzino, il bracciante, l’ edile, la badante, quelli che gli iraniani non vogliono più fare, nemmeno se sono senza lavoro. I nuovi eletti promettono: non più sanatorie all’ immigrazione clandestina, tolleranza zero in materia di sicurezza. Ma c’ è ora una fonte di irritazione fuori controllo: l’ aumento vertiginoso dei prezzi, a cominciare da quello degli alimentari e della benzina. Ma come? Dovrebbero far festa per il greggio a oltre 120 dollari. Il presidente Ahmadinejad ha appena detto che è ancora troppo a buon mercato. Eppure questo è il problema: perché anche l’ Iran consuma fiumi di petrolio, e il caro petrolio si ripercuote su di loro quanto sugli altri, in forma di inflazione galoppante. Pare che su questo anche l’ ayatollah in capo sia molto preoccupato. Tanto che ha pubblicamente bacchettato i trionfatori delle elezioni. Incredibile come l’ oro nero possa diventare una maledizione. Per chi ce l’ ha quanto e forse ancor più che per chi non ce l’ ha. Sotto lo Scià finiva nelle mani degli amici degli amici. Ora finisce a pioggia a oliare gli ingranaggi del consenso sociale. L’ inflazione e la spesa pubblica vengono servite subito. Per il miracolo economico bisognerà aspettare. Una delle viste che più colpisce nella capitale, ma anche un po’ dappertutto, in tutte le altre città che hanno decuplicato gli abitanti, sono i cantieri lasciati a metà. Uno scheletro di putrelle d’ acciaio color ruggine, talvolta un piano completato e gli altri no, talvolta pile di mattoni, talaltra solo detriti, ma nessuno che lavori. è dovuto ai permessi edilizi negati? All’ usanza per cui si inizia a costruire, e poi, mano a mano che si vende, si continua? Avevano iniziato a fare la metropolitana a Shiraz. Poi hanno sospeso per mancanza di fondi. Lungo la strada da Shiraz a Isfahan, ci fermiamo e chiediamo a un ragazzo in motocicletta di indicarci un forno dove comprare del pane. Lui ci porta in paese, a casa sua, a darci il suo. Sono nomadi diventati sedentari. Le donne tessono in casa. Lui e i fratelli lavorano in un grande progetto petrolchimico in costruzione sul Golfo. Si lamenta che le cose hanno più o meno funzionato finché c’ erano gli investitori coreani. Ma tutto è fermo da quando la dirigenza è passata agli uomini mandati da Teheran. Pasdaran paracadutati a fare i dirigenti d’ industria? L’ Iran si presenta insomma come un immenso cantiere. L’ interrogativo è se verrà gestito come l’ Alitalia e finirà come la Salerno-Reggio Calabria. Ho cercato di guardarmi intorno. Ho provato a raccontarvi qualche sensazione. Così, alla rinfusa. Le sensazioni sono per definizione qualcosa di superficiale. Ma può capitare che colgano qualcosa di più profondo. L’ idea che l’ Iran possa in qualche cosa somigliare all’ Italia, in fondo in fondo mi diverte. L’ inverso, che l’ Italia possa assomigliare sempre più all’ Iran, mi toglierebbe il sonno. SIEGMUND GINZBERG